Introduzione
L’epatite autoimmune è una malattia caratterizzata dall’infiammazione cronica del fegato sostenuta da un processo di tipo autoimmune, ma la cui causa è ancora oggi sconosciuta.
Spesso colpisce persone che presentano già un’altra patologia autoimmune concomitante, come ad esempio
I sintomi principali sono quelli tipici di un’epatite cronica, anche se nel 30% dei casi la patologia può decorrere in maniera asintomatica (cioè senza segni e/o sintomi clinici):
A lungo andare, se non si imposta tempestivamente una terapia efficace, si arriva allo sviluppo di cirrosi, un processo irreversibile che evolve verso un quadro d’insufficienza epatica.
La diagnosi è basata su anamnesi ed esame obiettivo, coadiuvati dagli esami di laboratorio ed esami di imaging (ecografia, TC e risonanza magnetica); il 30% dei pazienti presenta un quadro di cirrosi al momento della diagnosi.
La cura per l’epatite autoimmune è basata sulla prescrizione di farmaci corticosteroidi e immunosoppressori, con un trattamento che può durare anche fino a 2 anni. Nell’80% dei casi sopravviene la guarigione completa, e solo raramente sarà necessario il trapianto di fegato: la prognosi diventa negativa nella forma di tipo II che colpisce soprattutto in età infantile, nelle forme refrattarie al trattamento e nelle fasi terminali di cirrosi, con un quadro di insufficienza epatica cronica.

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Cause
Ad essere colpite dall’epatite autoimmune sono soprattutto le giovani donne, con un rapporto rispetto al sesso maschile di circa 3:1. A volte si presenta anche in età infantile o negli anziani dopo i 65 anni.
Nel complesso arriva a colpire 1 persona su 1000, senza differenze etniche o geografiche.
I ricercatori hanno scoperto l’esistenza di una predisposizione genetica caratterizzata dall’associazione di HLA-DR3 e HLA-DR4; la sola componente genetica non è tuttavia sufficiente a giustificare la comparsa dell’infiammazione, che viene invece scatenata da un attacco autoimmunitario da parte di anticorpi contro le cellule epatiche innescato da uno più fattori esterni, quali ad esempio:
- Infezioni precedenti:
- morbillo,
- epatite virale,
- citomegalovirus,
- Epstein-Barr virus (agente eziologico della mononucleosi),
- Farmaci (ad esempio atorvastatina, minociclina, trazodone).
Il meccanismo alla base di questo attacco autoimmune è il cosiddetto “mimetismo molecolare”: alcuni antigeni virali o farmacologici sono simili a quelli dei normali epatociti (cellule del fegato) e questo porta gli anticorpi che vengono prodotti contro questi antigeni a riconoscere erroneamente le cellule epatiche come non-self, attaccarle, e scatenare così un processo infiammatorio che si traduce in epatite.
Classificazione
Distinguiamo due varianti di epatite autoimmune:
- Epatite autoimmune di tipo I: Rappresenta il 75% dei casi totali. È caratterizzata dalla presenza di anticorpi ANA (anti-nucleo) e SMA (anti-muscolo liscio). Può esordire a qualsiasi età, soprattutto in età giovane-adulta a partire dai 30 anni. Risponde piuttosto bene al trattamento con guarigione quasi sempre completa.
- Epatite autoimmune di tipo II: Rappresenta il 25% dei casi, con presenza di anticorpi anti-KLM (anti-micorosomi epatici e renali) e anti-citosol. Questa forma si presenta soprattutto nei bambini, con un quadro clinico più grave, esordio fulminante, ed evoluzione piuttosto rapida verso la cirrosi. Presenta una scarsa risposta al trattamento, con diverse ricadute e con necessità di un trattamento a lungo termine che si protrae per molti anni, fino alla necessità di un trapianto epatico.
Fattori di rischio
L’epatite autoimmune
- è più comune nelle donne,
- può essere diagnosticata ad ogni età, ma più comunemente attorno ai 45 anni,
- riconosce una forma di predisposizione famigliare,
- può essere innescata dall’infezione di malattie virali:
- si associa frequentemente ad altre patologie autoimmuni, tra cui:
- tiroidite di Hashimoto,
- diabete mellito di tipo 1,
- sindrome di Sjögren,
- vitiligine,
- artrite reumatoide,
- retto-colite ulcerosa.
Sintomi
I sintomi dell’epatite autoimmune possono variare da una completa assenza, ad un quadro particolarmente grave; è abbastanza comune non manifestare inizialmente alcun sintomo, ma in questo caso spesso compaiono in seguito.
Il quadro clinico si presenta simile a quello di un’epatite cronica con:
- febbre,
- angiomi cutanei (alterazioni dei vasi capillari visibili sulla pelle),
- ittero e prurito,
- stanchezza,
- dolori muscolari e articolari,
- nausea e vomito,
- epatomegalia (ingrandimento del fegato),
- cefalea (mal di testa).
In altri pazienti si assiste invece ad un esordio più brusco, con i disturbi che compaiono rapidamente e nell’arco di pochi giorni (epatite acuta).
Con il tempo, in assenza di diagnosi e relativo trattamento, possono comparire:
- perdita dell’appetito con dimagramento progressivo,
- amenorrea nelle donne (assenza del ciclo mestruale per diversi mesi),
- altri sintomi tipici di cirrosi conclamata.
La cirrosi è una patologia epatica in cui si verifica la distruzione degli epatociti e la formazione di tessuto fibroso cicatriziale che sostituisce il parenchima epatico sano. A questo consegue un quadro progressivo di insufficienza epatica con sintomi piuttosto gravi come:
- ittero (colorazione giallastra di cute, mucose ed occhi),
- ascite (versamento di liquido all’interno della cavità addominale con notevole gonfiore addominale),
- alterazione degli indici di funzionalità epatica (come le transaminasi),
- encefalopatia epatica (una forma di sofferenza cerebrale con sintomi neurologici quali
- confusione mentale,
- alterazione della coscienza e del comportamento,
- coma),
- emottisi da rottura di varici esofagee (emissione di sangue dalla bocca),
- ipertensione portale (aumento della pressione sanguigna a livello della vena porta, conseguente alla cirrosi).
È opportuno ricordare come fino al 30% dei casi di epatite autoimmune non presenti sintomi eclatanti, il che peggiora la prognosi poiché si giunge alla diagnosi tardivamente, con presenza già di cirrosi e minore risposta alla terapia.
Complicazioni
Un’epatite autoimmune non curata conduce alla cirrosi epatica che a sua volta può portare il paziente a sviluppare:
- insufficienza epatica, in cui il danno presente rende impossibile un corretto svolgimento delle funzioni tipiche dell’organo (è richiesto il trapianto per salvare il paziente),
- tumore epatico (la cirrosi ne è un fattore di rischio).
Diagnosi
Il percorso diagnostico inizia dall’anamnesi: il medico si rivolge al paziente chiedendo informazioni riguardo la comparsa dei sintomi, le loro caratteristiche e la presenza di eventuali patologie concomitanti.
L’esame obiettivo permette di riscontrare i sintomi e i segni tipici di epatite.
Gli esami di laboratorio permettono nella maggioranza dei casi di avere una diagnosi di certezza, escludendo le altre cause di epatite. Si riscontrano in questi pazienti:
- elevati livelli di transaminasi,
- aumento delle γ-globuline, a discapito delle IgG,
- presenza di auto-anticorpi specifici, ANA, anti-SMA, anti LKM, anti-LC1, …
Il 10% dei pazienti tuttavia non presenta positività agli anticorpi.
Gli esami di imaging (ecografia epatica, TC e risonanza magnetica), sono utili per valutare la gravità del danno epatico e per escludere altre patologie epatiche che condividono lo stesso quadro clinico.
In caso di dubbi diagnostici e prima di iniziare la terapia può diventare importante effettuare una biopsia epatica, esame invasivo che tuttavia permette di diagnosticare la malattia dal punto di vista istologico e di valutare la gravità del danno epatico (descrivendo a che stadio di cirrosi si trova eventualmente il paziente).
Cura
Il trattamento di questa forma di epatite è mirata a spegnere il processo infiammatorio di tipo auto-immune, evitando la progressione del danno e l’insorgenza della cirrosi.
La terapia farmacologica si basa sull’utilizzo di:
- Corticosteroidi: che riducono il processo infiammatorio e riducono l’iperattivazione del sistema immunitario. Si utilizzano il cortisone e i suoi derivati sintetici più potenti: prednisone, metilprednisolone e betametasone.
- Farmaci immunosoppressori: molto efficaci nel bloccare la produzione di auto-anticorpi portando ad una immunodepressione temporanea. Si utilizza essenzialmente l’azatioprina.
In base alla gravità del quadro clinico, il trattamento può durare anche oltre i 2 anni, soprattutto nella forma di tipo II.
Nei pazienti che non rispondono al trattamento e con un quadro ormai conclamato di cirrosi epatica è indicato il trapianto epatico. Tuttavia nel 40% dei casi la malattia si ripresenta con recidive anche dopo il trapianto.
Autore
Dr. Ruggiero Dimonte
Medico ChirurgoIscritto all'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Barletta-Andria-Trani n. 2130