Cirrosi biliare primitiva: cause, sintomi, pericoli e cura

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Introduzione

La cirrosi biliare primitiva (anche detta colangite biliare primitiva) è una malattia cronica del fegato che colpisce inizialmente i piccoli dotti biliari, canalicoli che raccolgono la bile prodotta e secreta dal fegato e la trasportano fino all’intestino (duodeno).

Colpisce soprattutto le donne tra i 35 e i 60 anni e consiste in una patologia autoimmune in cui in linfociti T aggrediscono i dotti biliari innescando un processo infiammatorio cronico con cicatrizzazione e successiva distruzione.

Se inizialmente tale processo infiammatorio autoimmune colpisce solo i dotti biliari, e si parla quindi propriamente di colangite biliare primitiva, col passare del tempo l’infiammazione si estende dai dotti biliari sino al fegato con l’esito finale di una cirrosi cronica che porta ad insufficienza epatica (incapacità del fegato di funzionare correttamente).

Semplificazione del meccanismo alla base dei danni causati dalla colangite biliare

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Non esiste una vera causa per la cirrosi biliare primitiva, bensì una predisposizione genetica per lo più nel sesso femminile che porta alla distruzione dei dotti biliari da parte di linfociti T autoreattivi.

Dopo una prima fase asintomatica la cirrosi biliare si presenta con:

Per la diagnosi sono necessari anamnesi ed esame obiettivo, coadiuvati da esami del sangue (che mostreranno la sofferenza epatica e l’aumento della bilirubina) e da esami strumentali (ecografia, TC e risonanza magnetica). La biopsia può rendersi necessaria per la diagnosi istologica definitiva.

Non esiste una guarigione definitiva in caso di cirrosi biliare primitiva, se non per quei pazienti candidabili a trapianto di fegato (con rischio di recidiva del 30%). Per alleviare i sintomi si utilizzano

  • l’acido ursodesossicolico (che stabilizza temporaneamente la patologia aumentando il periodo di sopravvivenza),
  • la colestiramina per combattere il prurito
  • e l’integrazione con vitamine liposolubili.

Causa

In oltre l’80% dei casi la cirrosi biliare primitiva colpisce il sesso femminile, prediligendo un’età compresa tra i 35 e i 60 anni.

Come per le altre malattie autoimmuni non esiste una causa definita alla base della cirrosi biliare, si pensa vi sia un background genetico che predispone alla patologia con una qualche anomalia di regolazione della risposta immunitaria. Ad essere alterata è soprattutto la funzionalità dei linfociti T, che aggrediscono erroneamente cellule proprie dell’organismo (cosiddette strutture “self”) anziché i germi patogeni estranei (strutture “non self”).

Lo stimolo, il fattore d’innesco a questa funzione anomala dei linfociti T potrebbe derivare da un qualche agente infettivo o tossico che per la comunanza strutturale di alcuni loro antigeni, portano i linfociti ad attaccare i dotti biliari.

In definitiva si viene a creare una processo infiammatorio inizialmente acuto che poi cronicizza a livello dei dotti biliari, con conseguente colestasi ed ittero (la bile non riesce a transitare correttamente in duodeno e questo porta all’innalzamento della bilirubina nel sangue con relativo quadro clinico di ittero colestatico).

La colestasi, ossia la compromissione della direzione del flusso della bile, con quadro di ittero cronico a lungo andare inizia a danneggiare i dotti biliari intraepatici e gli stessi epatociti. Il processo infiammatorio cronico ormai estesosi al fegato porta allo sviluppo di epatite biliare e alla cirrosi con un quadro di insufficienza epatica cronica.

La cirrosi biliare primitiva può molto frequentemente (70-80% dei casi) associarsi ad altri tipi di patologie autoimmuni, come

Infine i pazienti affetti da cirrosi biliare primitiva presentano un rischio maggiore di sviluppare un tumore epatico (epatocarcinoma).

Sintomi

Dopo una prima fase asintomatica, con la progressione della malattia il quadro clinico presenta diversi segni e sintomi:

Nella fase ormai cirrotica del fegato si sovrappongono anche i sintomi legati all’ipertensione portale (aumento della pressione sanguigna a livello della vena porta, conseguente alla cirrosi):

  • encefalopatia epatica (una forma di sofferenza cerebrale con sintomi neurologici quali
  • emottisi da rottura di varici esofagee (emissione di sangue dalla bocca),
  • varici ombelicali (caput medusae),
  • varici emorroidarie.

Diagnosi

Il percorso diagnostico comincia con l’anamnesi del paziente, che permette di ricostruirne la storia clinica recente e passata. Il medico pone diverse domande al paziente riguardo:

  • patologie pregresse di cui il paziente ha sofferto in passato,
  • presenza di patologie sottostanti attuali,
  • recente esecuzione di esami di laboratorio o strumentali,
  • come sono comparsi i sintomi e da quanto tempo sono presenti.

Terminata la fase anamnestica, il medico esegue un accurato esame obiettivo allo scopo di caratterizzare meglio i sintomi soggettivi del paziente e riconoscere ulteriori segni clinici oggettivi. Nel caso della cirrosi biliare sono evidenti sin da subito l’ittero con la colorazione giallastra di cute e mucose e i segni dell’insufficienza epatica.

Gli esami del sangue mostreranno valori patologici di diversi parametri:

  • aumento degli indici di infiammazione (VES, Proteina C-reattiva, leucocitosi, aumento delle piastrine,…),
  • aumento delle transaminasi AST e ALT che indicano un danno epatico,
  • aumento della gamma-GT e della fosfatasi alcalina,
  • aumento della bilirubina prevalentemente diretta (con valori che superano i 2 mg/dL),
  • positività di autoanticorpi tipici della malattia come gli anti-mitocondrio (AMA di tipo M2) o gli anti-nucleo (ANA),
  • aumento dei livelli di IgM, che saranno superiori agli IgG,
  • aumento dei livelli di colesterolo.

Dal punto di vista strumentale vengono eseguite:

  • ecografia addominale,
  • TC e risonanza magnetica,
  • biopsia epatica per la diagnosi istologica, che tuttavia non è obbligatoria e si effettua qualora gli AMA siano negativi o quando vi è un aumento massivo delle transaminasi

Cura

Purtroppo non esiste una vera e propria cura che permetta la guarigione definitiva dalla cirrosi biliare primitiva.

Dal punto di vista farmacologico si utilizza l’acido ursodesossicolico che rallenta la progressione istologica della malattia e prolunga la sopravvivenza; tale terapia viene iniziata precocemente, sin da quando il paziente è ancora asintomatico e mostra solo alterazione dei valori di laboratorio.

L’altro sintomo molto fastidioso per gli ammalati è il prurito, che può essere trattato con colestiramina o antistaminici.

Utile risulta l’integrazione con vit.D per ridurre il rischio di fratture ossee patologiche, e delle altre vitamine liposolubili (vitamina A, E e K).

La prognosi non è positiva. La patologia tende a progredire in forma lenta e stabile per parecchi anni con periodi anche lunghi di relativo benessere, ma evolve inesorabilmente verso la cirrosi con tutte le sue complicanze, nel giro di 15-20 anni.

L’unico trattamento curativo può essere il trapianto di fegato, ma si può avere una recidiva della malattia in oltre il 30% dei casi. Per essere candidabili al trapianto è necessario che siano soddisfatti alcuni criteri:

  • bilirubina superiore a 5mg/dL,
  • cirrosi epatica con punteggio MELD superiore a 15,
  • prurito cronico non rispondente alla terapia,
  • fratture ossee ripetute da causa non traumatica.

Purtroppo non esistono misure ad hoc per la prevenzione della patologia, quindi è sempre valida la regola generale che prevede:

Fonti e bibliografia

  • Harrison – Principi Di Medicina Interna Vol. 1 (17 Ed. McGraw Hill)
  • Core curriculum – Gastroenterologia. Okolicsanyi – Roncoroni (McGraw-Hill Education).
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