Sindrome di Wallenberg: cause, sintomi e cura

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Introduzione

La sindrome di Wallenberg è una condizione neurologica causata da un ictus nell’arteria cerebellare inferiore vertebrale o posteriore del tronco encefalico (un ictus consiste nell’interruzione del necessario afflusso di sangue alle cellule servite dal vaso sanguigno in questione).

I sintomi comprendono:

Alcuni individui sperimenteranno inoltre una mancanza di dolore e sensibilità a variazioni di temperatura su un solo lato del viso e/o un insieme di disturbi sul lato opposto del corpo (ad esempio debolezza ed intorpidimento di braccia e gambe).

Può talvolta insorgere un singhiozzo incontrollabile e perdita del senso del gusto su un solo lato della lingua.

Ictus

Shutterstock/GraphicsRF.com

Il trattamento è esclusivamente sintomatico e può comprendere:

  • alimentazione mediante sondino naso-gastrico
  • logopedia
  • antidolorifici.

Le prospettive per il paziente dipendono dalle dimensioni e dalla posizione dell’area del tronco cerebrale danneggiata dall’ictus; se in alcuni casi si osserva una riduzione della severità dei sintomi entro le settimane/mesi seguenti, in altri possono purtroppo possono persistere significative disabilità neurologiche.

Richiami di anatomia e cause

La sindrome di Wallenberg, nota anche come sindrome midollare laterale o sindrome bulbare laterale, è stata descritta per la prima volta dal Dr. Wallenberg nel 1895 e rappresenta la sindrome da ictus ischemico del circolo posteriore più comune nella pratica clinica.

  • Sindrome: Insieme di segni e sintomi
  • Ictus: Interruzione del flusso di sangue ad aree cerebrali
  • Ischemico: L’ictus può essere emorragico (causato dalla rottura di un vaso sanguigni) o ischemico, quando cioè l’interruzione dell’afflusso di sangue è causata dall’ostruzione del vaso sanguigno in questione (molto spesso da placche ateroslerotiche).
  • Circolo posteriore: L’ictus può coinvolgere le arterie del cervello a livello del circolo anteriore (rami della carotide interna) o del circolo posteriore (rami delle arterie vertebrali e basilare).
Arco aortico e origine delle arterie succlavie

Di Aracuano – Image:Gray506_la.svg, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3768131

L’aorta, la più grande arteria del corpo, origina direttamente dal cuore e, dopo un primo tratto che si estende verso l’alto, compie una curva (arco aortico) e punta verso la parte inferiore del corpo).

Arteria vertebrale

Arteria vertebrale (By Mikael Häggström.When using this image in external works, it may be cited as:Häggström, Mikael (2014). “Medical gallery of Mikael Häggström 2014”. WikiJournal of Medicine 1 (2). DOI:10.15347/wjm/2014.008. ISSN 2002-4436. Public Domain.orBy Mikael Häggström, used with permission. – Image:Gray513.png, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2868306)

Le arterie vertebrali (nella precedente immagine quella destra) derivano dalle arterie succlavia (destra e sinistra), che originano direttamente dall’aorta; entrano nel cranio per poi si fondersi formando l’arteria basilare.

L’arteria cerebellare inferiore posteriore (PICA) è il più grande ramo dell’arteria vertebrale, è uno dei tre principali vasi che riforniscono di sangue arterioso il cervelletto.

L’occlusione di

  • arteria vertebrale
  • arteria cerebellare inferiore posteriore (o uno dei suoi rami),

porta allo sviluppo della sindrome di Wallenberg, tipicamente a causa di un’occlusione aterotrombotica.

La pressione alta è il fattore di rischio più rilevante, seguita dal fumo e dal diabete (più rara l’embolia cerebrale, un’occlusione causata da un coagulo od altro materiale proveniente da una diversa parte dell’organismo, come ad esempio il cuore).

Una terza possibilità è infine rappresentata dalla dissezione dell’arteria vertebrale, che annovera tra i suoi fattori di rischio la manipolazione o lesione del collo, la sindrome di Marfan, la sindrome di Ehlers Danlos e la displasia fibromuscolare. La dissezione dell’arteria vertebrale è la causa più comune della sindrome di Wallenberg nei pazienti più giovani.

Un tipico paziente con sindrome di Wallenberg è tuttavia un soggetto anziano, che presenta più fattori di rischio vascolari.

Sintomi

Come per qualsiasi forma di ictus l’esordio dei sintomi è improvviso e violento; le manifestazioni più comuni al momento dell’insorgenza sono capogiri con vertigini, perdita di equilibrio con andatura instabile, raucedine (disfonia) e difficoltà a deglutire (disfagia). Spesso si osserva un peggioramento progressivo che perdura da alcune ore a 48.

Possono essere osservati anche:

  • nausea e vomito associati alle vertigini
  • singhiozzo intrattabile
  • difficoltà a parlare (disartria).

In molti casi il paziente non presenta debolezza, fattore che può confondere in fase di diagnosi, caratterizzata dall’osservazione di altri disturbi caratteristici come l’emiparesi incrociata o emianestesia (alterazioni su un lato del viso e sul lato opposto del copo)

Sul lato della lesione cerebrale il paziente può presentare:

  • Nistagmo (movimenti involontari rapidi dell’occhio)
  • Sindrome di Horner (pupilla ristretta, palpebra cadente, riduzione della sudorazione)
  • Difficoltà a camminare (atassia omolaterale con tendenza a cadere su quel lato)
  • Dolore e intorpidimento con ridotta sensibilità facciale sul viso
  • Sensazione di gusto alterata

Sul lato opposto invece si può sviluppare un’alterata sensazione a dolore e temperatura agli arti (braccia e alle gambe).

Nel complesso i sintomi cambiano in relazione alle strutture cerebrali interessate dall’ictus.

Complicazioni

Nel complesso la sindrome di Wallenberg ha una prognosi migliore rispetto alla maggior parte delle altre sindromi da ictus, con la maggior parte dei pazienti che è in grado di tornare ad attività soddisfacenti della vita quotidiana. La conseguenza più comune è la persistenza di una instabilità dell’andatura.

Quando presenti, le complicanze più comuni comprendono

Diagnosi

Un attento esame neurologico è la chiave per la diagnosi, in parallelo all’anamnesi.

La risonanza magnetica a immagini pesate è il miglior test diagnostico per confermare l’ictus, ma angiogramma TC o RM sono utili per identificare il sito di occlusione vascolare e per escludere cause non comuni come la dissezione dell’arteria vertebrale.

Un ECG (elettrocardiogramma, un esame per il cuore) è utile per escludere un’eventuale fibrillazione atriale sottostante (potenzialmente responsabile della formazione di un embolo) o sindrome coronarica acuta.

Soprattutto nei casi meno tipici è possibile che lo specialista si trovi di fronti alla necessità di diagnosi differenziali come:

  • Altre cause di vertigini, soprattutto vertigini periferiche come nel caso della labirintite acuta: in questi casi in genere il paziente è giovane senza alcun fattore di rischio vascolare, ma ci sono anche valutazioni più specialistiche come:
    • nistagmo periferico e unidirezionale o rotatorio,
    • presenza di tinnito (acufene) senza altri segni caratteristici di interessamento del tronco encefalico,
    • test di spinta della testa positivo;
  • Ictus emorragico: molto meno comune, generalmente accompagnato da un mal di testa molto più evidente;
  • Sclerosi multipla: i pazienti sono generalmente molto più giovani, spesso di sesso femminile;
  • Recidiva/attacco acuto di neuromielite ottica: la paziente è tipicamente una giovane donna adulta e i segni possono suggerire più di una lesione del sistema nervoso centrale.

Cura

La tempestività della cura è la chiave per poter ambire ad un buon recupero; il trattamento mira a ridurre le dimensioni dell’infarto (si ricordi che con il termine infarto si fa riferimento a qualunque tessuto che vada incontro a morte a causa del mancato afflusso di sangue) e possibilmente prevenire eventuali complicanze.

Tra le fasi di gestione del paziente si annoverano:

  1. Trombolisi endovenosa: somministrazione di farmaci endovena volti a dissolvere eventuali coaguli responsabili dell’ostruzione.
  2. Rivascolarizzazione endovascolare: rimozione chirurgica di eventuali coaguli e ostruzioni, con accesso minimamente invasivo.
  3. I pazienti vengono spesso trasferiti nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale, almeno nelle prime fasi.
  4. Terapia medica generale:
    • Somministrazione di fluidi endovena per ridurre i rischi di edema cerebrale (gonfiore).
    • Gestione della pressione sanguigna se necessario.
    • Valutazione logopedica, particolarmente importante per prevenire episodi di aspirazione con rischio di sviluppo di polmonite.
    • Profilassi della trombosi venosa profonda.
    • Monitoraggio ed eventuale correzione della glicemia (quantità di zucchero nel sangur)
    • Monitoraggio della temperatura corporea (la febbre può essere trattata con paracetamolo, ma soprattutto richiede il trattamento della causa scatenante)
    • Terapia fisica precoce e terapia occupazionale per ridurre il rischio e l’impatto di eventuali disabilità.

I pazienti con disfagia o disartria (rispettivamente difficoltà alla deglutizione o del linguaggio) devono essere valutati attentamente prima che possa essere somministrato qualsiasi farmaco per via orale o che possa essere offerto del cibo.

Di assoluta importanza è poi l’impostazione di un piano volto a prevenire nuovi episodi (prevenzione secondaria), attraverso un approccio multidisciplinare:

Fonti e bibliografia

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