Introduzione
Il virus SARS-CoV-2 è caratterizzato da un profilo di mortalità non particolarmente elevato, che secondo un recente studio pubblicato su Lancet risulta compreso tra l’1 e l’1,5%. Se confrontato con un virus salito alla ribalta mediatica solo pochi anni fa come l’Ebola (anche se in realtà conosciuto da decenni), COVID-19 risulta ben 50 volte meno letale. Anche se potrebbe sembrare paradossale, ciò rappresenta uno dei motivi principali per cui la diffusione del coronavirus è così difficile da arginare.
Coronavirus è caratterizzato da un’elevata virulenza e da una moderata mortalità.
La ragione principale per cui la pandemia da COVID-19 è così temuta, alla luce di un tasso di letalità relativamente basso, è legata al sovraccarico delle strutture ospedaliere: semplificando il problema si potrebbe dire che tutto sommato la malattia del singolo è ben gestibile clinicamente (al pari delle altre polmoniti interstiziali), mentre la malattia della collettività porterebbe al tracollo del Sistema Sanitario Nazionale. Le forme più gravi, infatti, necessitano del ricovero in speciali reparti denominati terapie intensive, che non sarebbero in grado di accogliere centinaia di migliaia di pazienti in un breve lasso di tempo.
Cos’è una unità di terapia intensiva?
Le unità di terapia intensiva (abbreviate con UTI) sono reparti ospedalieri specializzati nella somministrazione di cure invasive e radicali, in pazienti con uno stato di salute particolarmente fragile.
Alcune delle caratteristiche di questi reparti sono:
- il monitoraggio costante delle funzioni vitali (temperatura corporea, battito cardiaco, pressione sanguigna, frequenza respiratoria e saturazione di ossigeno),
- la possibilità di erogare un supporto alle funzioni vitali:
- respirazione meccanica,
- somministrazione di farmaci potenti;
- la possibilità di intervento immediato.
In condizioni normali le unità di terapia intensiva rappresentano un’area dedicata soprattutto alla stabilizzazione dei pazienti dopo la chirurgia, ma possono accogliere anche pazienti
- acuti (ossia pazienti in cui una malattia si è aggravata velocemente),
- traumatizzati (ad esempio dopo incidenti automobilistici gravi).
Si tratta di reparti ultra-specialistici e non liberamente accessibili, ciononostante sono presenti in quasi tutti gli ospedali in quanto rappresentano presidi salva-vita che devono essere disponibili rapidamente in caso di emergenza. Proprio perché le attività svolte in questo reparto sono particolarmente complesse, e perché le attrezzature utilizzate sono spesso tecnologie d’avanguardia, le terapie intensive per funzionare richiedono personale sanitario altamente specializzato ed il numero totale dei posti letto è molto ridotto rispetto alle degenze ordinarie.
In quali condizioni si ricovera in terapia intensiva?
I reparti di terapia intensiva accolgono varie tipologie di pazienti, alcuni esempi di patologie cui può conseguire un trasferimento in questo reparto sono:
Ciò che accomuna queste malattie è la necessità di una stabilizzazione del paziente, obiettivo cardine di queste unità speciali. Una volta superato il periodo critico, infatti, il paziente grave può essere trasferito in un reparto specialistico il cui obiettivo diventa invece il pieno recupero della condizione precedente alla malattia.
Il ricovero in terapia intensiva può essere transitorio, come nelle operazioni chirurgiche che hanno avuto esito positivo, ma talvolta i tempi possono dilatarsi anche a diverse settimane: questo può essere il caso dei pazienti COVID-19 più gravi.
Perché nei casi gravi di COVID-19 è necessaria la terapia intensiva?
I quadri gravi di COVID-19 configurano una condizione di polmonite interstiziale con importante interessamento respiratorio; questo è il caso di un numero molto elevato di pazienti, di tutti i tipi: bisogna sfatare il mito secondo cui la malattia è grave solamente nei pazienti complessi. L’infezione da SARS-CoV-2, infatti, provoca in circa i 10% dei casi complicanze respiratorie gravi con possibile sindrome da distress respiratorio (ARDS).
In tali condizioni la respirazione autonoma diventa praticamente impossibile, e per mantenere una quota sufficiente di sangue ossigenato (che nutre organi e tessuti) è necessario l’ausilio di respiratori meccanici con intubazione.
A differenza delle polmoniti batteriche, che a meno di casi molto specifici possono essere trattate con antibiotici, COVID-19 ha origine virale e non sono ad oggi conosciuti farmaci in grado di contenere l’infezione o i suoi effetti sull’organismo. Ciò rappresenta un ulteriore ostacolo al trattamento, che quindi è basato esclusivamente sulla gestione dei sintomi e il supporto alle funzioni vitali del paziente (eventualmente associato a trial clinici sperimentali).
Secondo il professor Zangrillo, dell’Università Vita-Salute San Raffaele:
“Quella che stiamo fronteggiando oggi è una patologia molto insidiosa, anche perché richiede tanto tempo al paziente per guarire, si parla di settimane. Durante questa finestra di tempo è nostro compito monitorare strettamente e sostenere anche la funzione degli altri organi, in modo che non si deteriorino.”
Qual è la differenza tra terapia intensiva e sub-intensiva?
Esistono casi in cui i pazienti necessitano di un monitoraggio continuo e di un supporto delle funzioni vitali più blando rispetto a quello che viene garantito nella unità di terapia intensiva. Esempi concreti in questo senso sono l’utilizzo delle metodiche di ventilazione non-invasiva, come i caschi per la CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) che funzionano insufflando aria a pressione positiva nelle vie aeree in modo da meglio distendere gli alveoli polmonari.
Il professor Landoni, sempre dal San Raffaele dichiara:
“Stiamo studiando il beneficio di questi supporti meno invasivi nelle fasi precoci della malattia. I primi dati sembrano suggerire che il loro impiego precoce potrebbe agire in modo preventivo e prevenire la progressione. Se fosse così potremmo alleggerire la pressione sui reparti di terapia intensiva veri e propri, già al massimo della loro capacità”
Perché l’Italia è in emergenza per i posti letto?
Nella fase di crescita esponenziale di un’epidemia, anche un Sistema Sanitario efficace come quello italiano può non essere in grado di garantire un numero di posti letto sufficiente all’importante fetta di popolazione che viene infettata dal virus. La rapida saturazione delle UTI richiede quindi una quantità di spazi, personale speciallizzato e risorse economiche di proporzioni difficilmente prevedibili, senza la quale le conseguenze potrebbero diventare disastrose.
Ogni cittadino italiano può fare la propria parte per la salvaguardia della salute collettiva: è sufficiente scegliere di limitare i propri spostamenti a quanto previsto dalle normative vigenti, senza nessuna eccezione.
Fonti e bibliografia
Autore
Dr. Marco Cantele
Medico ChirurgoIscritto all'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Vicenza n. 6758.