Cosa sono gli anticorpi monoclonali? Quali i rischi?

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Cosa sono gli anticorpi monoclonali?

Quando una qualche entità esterna (sia esso un virus, un batterio, un fungo o altro) penetra nel corpo, specifiche cellule presenti nel sangue lo riconoscono come estraneo producono anticorpi.

Da un punto di vista biochimico un anticorpo è una proteina, caratterizzata dalla capacità di riconoscere e attaccarsi all’ospite sgradito in modo estremamente specifico; si attacca come se fosse una piccola bandierina, che funge da bersaglio per le vere e proprie armi di cui dispone l’organismo. Possiamo immaginarlo come in un dispositivo localizzatore che permette ai cecchini del sistema immunitario di colpire in modo mirato.

È importante notare che

  • se si tratta di una minaccia già incontrata in passato vengono attivati immediatamente anticorpi specifici in grado di contrastarla,
  • se invece si tratta di un primo contatto la risposta può essere leggermente più lenta, perché è necessario produrre un anticorpo nuovo ad hoc, calibrato sul questa specifica entità.

Una delle maggiori difficoltà che incontrano i ricercatori che si occupano di tumori è quella di creare farmaci sufficientemente specifici, che distruggano idealmente solo e soltanto le cellule tumorali senza avere ripercussioni sulle cellule sane, ma è esperienza comune che purtroppo spesso non è così, ne sono testimonianza i numerosi effetti collaterali causati dalla chemioterapia.

Sulla base di questi ragionamenti si è pensato di provare a disegnare a tavolino anticorpi in grado di riconoscere specifici bersagli, come le cellule tumorali, e sono così nati gli anticorpi monoclonali.

In realtà questo approccio è stato poi esteso a numerose altre malattie, oltre al cancro vengono oggi utilizzati per curare:

Vengono in genere somministrati per via endovenosa.

Ricostruzione grafica della struttura tridimensionale di un anticorpo monoclonale

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Anticorpi monoclonali per per la COVID

L’utilizzo degli anticorpi monoclonali in terapia ha ricevuto un forte impulso con l’esplosione della pandemia da COVID-19, di cui rappresentano un tassello fondamentale nei protocolli di terapia per i casi più severi, grazie alla capacità di legarsi alla proteina Spike del virus ed ostacolare così il legame con la cellula umana, necessario al virus per penetrare e proliferare.

Ad oggi risultano autorizzati 3 diversi anticorpi:

  • associazione casirivimab-imdevimab, nome commerciale Ronapreve®, prodotto dall’azienda farmaceutica Regeneron/Roche per il trattamento e la prevenzione di COVID-19;
  • regdanvimab, nome commerciale Regkirona®, prodotto dall’azienda farmaceutica Celltrion Healthcare Hungary Kft per il trattamento di COVID-19;
  • sotroviman, nome commerciale Xevudy®, prodotto dall’azienda GSK, per il trattamento di COVID-19.

Si segnala poi l’associazione di anticorpi monoclonali bamlanivimab-etesevimab, prodotti dall’azienda farmaceutica Eli Lilly, che non ha ancora ricevuto l’approvazione della Commissione europea ma che in Italia è stata autorizzata in via temporanea.

Ronapreve

Ronapreve è usato per trattare gli adulti e gli adolescenti di età pari o superiore a 12 anni e con peso corporeo di almeno 40 kg, affetti da COVID-19 che:

  • non necessitano di ossigenoterapia per trattare COVID-19, e
  • sono a maggior rischio di sviluppare forme gravi della malattia in base alla valutazione del
    medico.

Il farmaco si lega alla cosiddetta “proteina spike” presente sulla superficie del coronavirus,
impedendo a quest’ultimo di penetrare e diffondersi nelle cellule.

Viene somministrato per via endovenosa in 20-30 minuti, oppure mediante iniezioni sotto-pelle consecutive.

Tra i più importanti possibili effetti indesiderati, seppure raro, si segnala il rischio di reazione allergica ed eventualmente shock anafilattico; tra gli effetti collaterali più comuni sono invece stati segnalati nausea, brividi, capogiri, eruzione cutanea e reazioni locali nei siti d’iniezione (nel caso di iniezione sottocutanea). Si raccomanda di segnalare al medico qualsiasi reazione.

Regkirona

Regkirona è indicato per pazienti adulti (con più di 18 anni) con COVID-19 che non necessitano di terapia con ossigeno supplementare che sono ad aumentato rischio di progressione a COVID-19 grave.

Il meccanismo d’azione prevede che l’anticorpo impedisca al virus di entrare nelle cellule umane legandosi alla proteina spike di SARS-CoV-2 ed ostacolando così l’interazione tra il virus e il recettore cellulare umano.

La somministrazione avviene con l’infusione endovenosa in 60 minuti circa di una singola dose, entro 7 giorni dall’insorgenza dei sintomi.

Tra i possibili effetti indesiderati si segnala la possibilità di sviluppare reazioni allergiche  da pochi minuti a diverse ore dopo il completamento dell’infusione, ad esempio in forma di febbre, respirazione difficoltosa, battito cardiaco irregolare, accelerato o rallentato, pressione arteriosa alta, eruzione cutanea compresa orticaria, prurito, sensazione di svenimento.

Si raccomanda di segnalare al medico qualsiasi sintomo o reazione.

Xevudy

Xevudy è un anticorpo monoclonale progettato per riconoscere un bersaglio specifico sul virus SARS-CoV-2; bloccando la proteina spike di cui il virus si serve per agganciarsi alle cellule, impedisce al germe di penetrare nella cellula e generare nuovi virus. Impedendo al virus di moltiplicarsi nell’organismo si aiuta l’organismo a superare l’infezione prevenendo al contempo lo sviluppo di forme gravi.

È usato per trattare COVID-19 negli adulti e negli adolescenti (a partire dai 12 anni di età e
con un peso corporeo di almeno 40 kg).

Il medicinale viene somministrato tramite una flebo (infusione) in vena, in 30 minuti circa.

Le reazioni allergiche a Xevudy sono comuni e interessano fino a 1 persona su 10, ma è raro (1 su 1000) osservare reazioni gravi. Tra le più frequenti, che possono comparire fino a 24 ore a seguito del trattamento e raramente anche più tardi, sono comprese:

  • vampate
  • brividi
  • febbre
  • difficoltà a respirare
  • battito cardiaco veloce
  • calo della pressione sanguigna.

Si raccomanda di rivolgersi al medico per qualsiasi reazione o sintomo.

Nomenclatura

Esistono ad oggi quattro diversi approcci alla realizzazione di anticorpi monoclonali (a volte indicati anche come MAB, dall’inglese Monoclonal AntiBodies), che si riflettono poi per convenzione nel nome che viene dato alla molecola prodotta:

  • Murini: sono derivati e costituiti da proteine prodotte da cellule di topo e per questo possono scatenare reazioni allergiche nell’uomo; il nome termine con il suffisso -omab.
  • Chimerici: queste proteine sono una combinazione ibrida (parte di topo e parte di essere umano), anch’essi sono a rischio di reazione allergica; il suffisso utilizzato è -ximab.
  • Umanizzati: sono costituiti da piccole porzioni di proteine di topo (la parte che si lega all’antigene) legate a proteine umane e i nomi terminano in -zumab.
  • Umani: si tratta di proteine interamente umane, identificati dal suffisso -umab.

A cosa servono

Se inizialmente si è partiti dall’idea di contrassegnare i bersagli da colpire, ad oggi la costruzione di anticorpi monoclonali permette nuovi, diversificati e ambiziosi traguardi.

Test diagnostici

Una volta prodotto un anticorpo monoclonale per una specifica sostanza, questo può essere utilizzato per evidenziarne la presenza in un campione di sangue, di tessuto o altro, può cioè essere usato per mettere a punto sofisticati esami diagnostici.

Per esempio il test Western Blot fa uso di anticorpi per evidenziare la presenza di:

Chimica analitica e purificazione

Attraverso la tecnica dell’immunoprecipitazione è possibile usare specifici anticorpi monoclonali per individuare una specifica sostanza in una miscela liquida ed estrarla, provocandone la precipitazione (ossia la trasformazione in una sostanza solida che andrà a posarsi sul fondo, rendendo semplice filtrarla dal liquido di partenza).

Uso terapeutico

L’utilizzo in terapia è sicuramente l’applicazione più conosciuta e sono ormai numerosi gli anticorpi sintetizzati negli ultimi anni; quando tali anticorpi vengono utilizzati in campo terapeutico, il nome dell’anticorpo termina con il suffisso -mab.

Nel caso di tumori è possibile disegnare anticorpi in grado di legarsi a cellule tumorali per favorire la naturale risposta immunitaria di difesa, ma negli anni sono state progettate sofisticate modifiche in grado di rendere questi farmaci ancora più versatili, ad esempio per:

  • Rendere la cellula tumorale più visibile al sistema immunitario. Il sistema immunitario attacca i corpi estranei che entrano nell’organismo, ma di solito non riconosce le cellule tumorali come “nemiche”. L’anticorpo monoclonale può essere progettato per attaccarsi a determinate parti delle cellule tumorali. In questo modo l’anticorpo contrassegna le cellule tumorali, e le rende più visibili al sistema immunitario. Ad esempio l’anticorpo monoclonale rituximab (Rituxan®) si attacca a una proteina specifica (CD20) presente solo sui linfociti B, un particolare sottotipo di globuli bianchi. Alcuni tipi di linfomi nascono proprio da questi linfociti B. Quando il rituximab si attacca a questa proteina sui linfociti B, li rende più visibili al sistema immunitario che quindi le attacca. Il rituximab fa diminuire il numero di linfociti B, compresi quelli sani, ma l’organismo ne produce di nuovi per sostituirli. In questo modo diminuisce la probabilità di avere dei linfociti B malati.
  • Bloccare i fattori di crescita. I fattori di crescita sono sostanze chimiche che si attaccano ai recettori delle cellule normali e di quelle tumorali, segnalando alla cellula di crescere. Alcune cellule tumorali hanno molte copie dei recettori del fattore di crescita, e quindi crescono più velocemente delle cellule sane. Gli anticorpi monoclonali sono in grado di bloccare i recettori e impedire ai segnali di crescita di raggiungere la cellula. Il cetuximab (Erbitux®), un anticorpo monoclonale approvato per la terapia del tumore al colon e dei tumori della testa e del collo, si attacca ai recettori sulle cellule tumorali che accettano un certo segnale di crescita (il fattore di crescita dell’epidermide, o EGF). Le cellule tumorali e alcune cellule sane si basano su questo segnale per iniziare a dividersi e moltiplicarsi. Impedendo al segnale di raggiungere il bersaglio sulle cellule tumorali si rallenta o si interrompe la crescita del tumore.
  • Impedire la formazione di nuovi vasi sanguigni. Le cellule tumorali proliferano anche grazie ai vasi sanguigni che le riforniscono dell’ossigeno e delle sostanze nutritive necessarie per la loro crescita. Per attrarre i vasi sanguigni, le cellule tumorali emettono dei segnali di crescita. Gli anticorpi monoclonali che bloccano questi segnali di crescita possono impedire al tumore di essere rifornito dai vasi sanguigni, e quindi contrastarne la crescita. Se invece il tumore è già inserito in una rete di vasi sanguigni e si bloccano i segnali di crescita, i vasi sanguigni possono morire e il tumore può rimpicciolirsi. Il bevacizumab (Avastin®), un anticorpo monoclonale approvato per la terapia di diversi tipi di tumore, inibisce per esempio un segnale di crescita detto fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) inviato dalle cellule tumorali per attrarre nuovi vasi sanguigni. Il bevacizumab intercetta i segnali VEGF del tumore e impedisce loro di collegarsi ai loro obiettivi.
  • Somministrare radiazioni alle cellule tumorali (radioimmunoterapia). Combinando una particella radioattiva con un anticorpo monoclonale i medici riescono a somministrare le radiazioni direttamente alle cellule malate. In questo modo la maggior parte delle cellule sane circostanti rimane intatta. Gli anticorpi monoclonali con particelle radioattive somministrano una quantità minima di radiazioni per un periodo di tempo maggiore rispetto alle terapie tradizionali: i ricercatori ritengono che questa terapia sia efficace come la radioterapia convenzionale ad alti dosaggi. L’ibritumomab (Zevalin®), approvato per il linfoma non Hodgkin, è una combinazione di un anticorpo monoclonale e di particelle radioattive. L’anticorpo monoclonale si attacca ai recettori delle cellule tumorali presenti nel sangue e somministra la radiazione.

ma anche per:

  • provocare la distruzione della membrana cellulare da parte del sistema immunitario dell’ospite,
  • bloccando gli inibitori del sistema immunitario prodotti dalle cellule tumorali,
  • attaccare direttamente la cellula malata per causarne l’autodistruzione,
  • veicolando farmaci sulla cellula tumorale per ridurre gli effetti collaterali sistemici dovuti all’azione del farmaco sulle cellule sane.
  • e molto altro.

Nel caso delle malattie autoimmuni come:

si usano anticorpi monoclonali (per esempio infliximab and adalimumab) in grado di inibire l’attacco del sistema immunitario verso le cellule del proprio organismo, sfruttando cioè un’azione antinfiammatoria.

Sempre nelle malattie autoimmuni è possibile ricorrere ad approcci con azione immunosoppressiva, in grado cioè di contenere l’azione del sistema immunitario (si tratta di anticorpi monoclonali rivolti contro linfociti B e T e molecole correlate, come l’interleuchina-2); sono utilizzati anche nella prevenzione del rigetto d’organo a seguito di trapianto.

A dimostrazione della grande versatilità di questo approccio è la recente commercializzazione del primo anticorpo in grado di abbassare i livelli di colesterolo; il farmaco si chiama Repatha® (evolocumab) e agisce bloccando i recettori del fegato responsabilità di una diminuita estrazione di colesterolo LDL dal sangue.

Effetti collaterali

Anticorpi antitumorali

La somministrazione avviene in genere in ambiente ospedaliero direttamente in vena; anche se sono in genere ben tollerati, soprattutto rispetto alla chemioterapia classica, sono purtroppo possibili alcuni effetti collaterali tra cui ricordiamo:

Tra gli effetti collaterali più gravi, sebbene rari, ricordiamo:

Gli anticorpi monoclonali coniugati, ossia legati a farmaci in grado di agire direttamente sulle cellule bersaglio, possono avere ulteriori effetti collaterali propri dei medicinali a cui vengono associati.

Malattie autoimmuni

Gli effetti collaterali più comuni di Humira® (Adalimumab) sono:

Gli effetti collaterali più comuni di Remicade® (Infliximab) sono:

  • dolore allo stomaco,
  • malessere,
  • infezioni virali,
  • infezioni dell’apparato respiratorio,
  • mal di testa,
  • dolore.

Sono purtroppo possibili in entrambi i casi anche numerosi altri effetti collaterali, che si raccomanda di segnalare sempre al medico prescrittore.

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Domande e risposte
  1. Domanda

    E’ stato diagnosticato a mio padre, 86 anni, tumore a intestino, stomaco e pancreas con milza e appendice compromesse. Operato all’intestino gli è stato fatto un bypass. Inoltre gli hanno tolto l’appendice in quanto compromessa.
    Come curarlo?

    1. Dr. Roberto Gindro

      Mi dispiace, ma è una situazione di esclusiva competenza di centri oncologici.

  2. Domanda

    Buongiorno, ho 33 anni mi è stato diagnosticato il pemfigo foliaceo,
    il medico mi vorrebbe far fare la cura con mabthera antiCD20 invece che la cura con cortisone…
    ma è un farmaco tossico? ci sono delle reazioni importanti all’infusione?
    Grazie

    1. Dr. Roberto Gindro

      Mi dispiace, ma non sento di avere le competenze per rispondere.

  3. Domanda

    Come si può avere accesso a queste cure inovative e sperimentali in modo sicuro?
    Ogni giorno si scoprono sempre nuove cure, ma prima che che che siano adottate e diventino uno standard medico passano anni.
    Giustamente le nuove cure devono essere testate e convalidate, ma nel frattempo c’è gente con malattie gravi pronta a rischiare piuttosto che andare incontro a morte certa.
    Il problema è che spesso quando un paziente cerca di affidarsi a cure alternative finisce nelle mani di ciarlatani e speculatori sulla salute.
    Quindi mi chiedo, perchè non viene garantito un modo semplice e sicuro per accedere alle cure sperimentali?

    1. Dr. Roberto Gindro

      In genere si accede attraverso ospedali specializzati e/o universitari, dove viene fatta ricerca; per quanto riguarda i tumori la cosa più semplice è in genere fare riferimento a strutture come il Centro Europeo Antitumori di Milano o simili.

  4. Domanda

    Salve dottore, una terapia con anticorpi monoclonali per il trattamento di tumori potrebbe essere applicata anche al caso di carcinoma ormonoresponsivo al seno per una paziente che ha affettuato l’intervento chirurgico e la radioterapia ma non ha potuto fare l’ormonoterapia ? La ringrazio

    1. Dr. Roberto Gindro

      Mi dispiace, ma non le so rispondere.

    2. Domanda

      Può essere effettuata la stessa terapia come terapia preventiva ?Grazie

    3. Dr. Roberto Gindro

      No, non credo.

  5. Anonimo

    Segnalo che usciranno a breve i farmaci generici anche di alcuni anticorpi monoclonali (si chiamano biosimilari); questo dovrebbe permettere alle casse sempre più povere del governo di offrire a più pazienti farmaci più moderni. Speriamo…

    1. Dr. Roberto Gindro

      Giustissimo, grazie per la segnalazione.

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