Sindrome neurolettica maligna: cause, sintomi, pericoli e cura

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Introduzione

La sindrome neurolettica maligna è una condizione pericolosa per la vita associata all’uso di farmaci neurolettici.

I sintomi più comuni comprendono:

  • deterioramento dello stato mentale,
  • febbre,
  • rigidità muscolare,
  • alterazioni dei segni vitali.

È una sindrome rara, ma che richiede tuttavia diagnosi tempestiva e trattamento precoce perché potenzialmente fatale; la terapia prevede l’interruzione immediata del medicinale e cure di supporto, anche aggressive, per gestire e prevenire le complicanze.

Cause

La dopamina è una sostanza chimica presente nel cervello, e più in generale nel sistema nervoso centrale, con la funzione di neurotrasmettitore, ovvero la capacità di trasmettere messaggi da una cellula all’altra. La trasmissione del segnale avviene grazie al contatto tra dopamina e recettore presente sulla cellula bersaglio, un po’ come se una chiave (dopamina) si inserisse in una specifica toppa su una porta (recettore) per provocare un effetto.

La sindrome neurolettica maligna è correlata all’utilizzo di farmaci psicoattivi e può insorgere in seguito a:

  • assunzione di antagonisti del recettore della dopamina (medicinali che bloccano il recettore, senza produrre effetti, come se si bloccasse la toppa con una gomma da masticare),
  • o alla rapida sospensione di farmaci dopaminergici (medicinali che al contrario stimolano il recettore, come se venisse inserita una chiave in qualche modo più potente).

La condizione non è comune, le statistiche suggeriscono che possa interessare una forbice di pazienti compresa tra lo 0,01% e il 3,2% di chi è in terapia con farmaci neurolettici, ma tendenzialmente i numeri sono in diminuzione per almeno due ragioni:

  • le molecole più recenti sono associate a un ridotto rischio di sviluppare la sindrome,
  • aumentata consapevolezza del rischio.

S’ipotizza una possibile predisposizione genetica, suggerita ad esempio da possibili difetti del recettore dopaminergico, ma ad oggi mancano prove certe.

La maggior parte dei casi si verifica nei giovani adulti, ma presumibilmente più per una questione di prima prima esposizione che non per l’età come reale fattore di rischio (al contrario ovviamente della sindrome scatenata da farmaci dopaminergici, più comunemente prescritti in tarda età).

Il principale fattore di rischio è infatti l’inizio della terapia con neurolettici (o l’aumento del dosaggio), in genere durante le prime 2 settimane di trattamento, così come anche l’associazione di più molecole.

Viene più spesso descritta in relazione all’uso di farmaci cosiddetti neurolettici; l’aggettivo neurolettico (o antipsicotico) fa riferimento a una famiglia di psicofarmaci che condividono l’obiettivo di ridurre l’attività della dopamina nel cervello, azione considerata utile per il trattamento delle psicosi anche in fase acuta, tra cui:

e talvolta anche del disturbo depressivo e disturbo ossessivo compulsivo.

I neurolettici vengono anche definiti tranquillanti maggiori, per distinguerli dai minori (benzodiazepine, come alprazolam, bromazepam, lorazepam, …) che NON causano la sindrome neurolettica maligna.

La sindrome è stata associata a praticamente a tutti gli agenti neurolettici, ma è più comunemente riportata con i cosiddetti tipici, come aloperidolo, clorpromaziona e e flufenazina.

Tra gli altri farmaci di uso corrente e associati al rischio di sviluppare la complicazione vale la pena ricordare anche:

  • neurolettici atipici come olanzapina, clozapina, risperidone, quietiapina, aripiprazolo, amisulpiride,
  • antiemetici (farmaci anti-vomito) come domperidone, metoclopramide e prometazina,
  • litio.

Tutti i farmaci finora nominati sono agonisti del recettore della dopamina, mentre tra le molecole che stimolano il recettore (e che quindi sono associati allo sviluppo di sindrome neurolettica maligna in forma di crisi d’astinenza in caso di brusca interruzione) figurano tipicamente molecole usate per il trattamento del morbo di Parkinson, come levodopa e amantadina.

Sintomi

I sintomi della sindrome neurolettica maligna si sviluppano nell’arco di 1-3 giorni e sono piuttosto caratteristici (soprattutto se inquadrati nel contesto di un paziente in terapia con neurolettici) anche nell’ordine di comparsa:

  1. Alterazione dello stato mentale (delirium agitato, che può evolvere in letargia o assenza di reattività).
  2. Rigidità muscolare generalizzata grave, talvolta accompagnata da tremore o altre anomalie. Le risposte riflesse tendono a diminuire.
  3. Febbre alta (solitamente superiore a 38 °C, spesso oltre i 40° C).
  4. Aumento dell’attività del Sistema Nervoso Autonomo, quello responsabile delle funzioni involontarie, che si esprime ad esempio con tachicardia o altre aritmie, aumento dedlla frequenza di respirazione (tachipnea) e ipertensione labile (i valori di pressione del sangue mostrano aumenti improvvisi e imprevedibili).

Sono comuni alterazioni elettrolitiche, ad esempio dei valori di potassio nel sangue.

Complicazioni

La sindrome neurolettica maligna è un’emergenza neurologica potenzialmente fatale, che richiede quindi un rapido riconoscimento e un altrettanto rapido intervento.

Se in passato la mortalità toccava valori drammatici (circa un paziente su 3), ad oggi è scesa a circa 1 su 10, per:

Con un riconoscimento precoce e un trattamento aggressivo, la maggior parte dei pazienti si riprenderà completamente in 2-14 giorni.

Tra le possibili complicazioni, più comuni in caso di ritardo nella gestione del paziente, si annoverano:

  • catatonia residua,
  • parkinsonismo,
  • complicanze renali o cardiopolmonari.

La terapia neurolettica può essere ripresa?

Purtroppo non è raro osservare un nuovo episodio di sindrome neurolettica maligna, tanto più probabile quando minore è l’attesa prima di riprendere la terapia, per questa ragione le linee guida raccomandano di attendere almeno due settimane dopo la risoluzione dei sintomi, utilizzando farmaci di potenza inferiore e iniziando sempre con basse dosi, evitando il litio in combinazione con i neurolettici.

È molto importante che il paziente prevenga la disidratazione.

Diagnosi

I criteri diagnostici per diagnosi di sindrome neurolettica maligna prevedono la necessaria presenza di

  • Assunzione di farmaco bloccante il recettore dopaminergico
  • Grave rigidità muscolare
  • Febbre.

È poi richiesta la presenza di almeno due tra i seguenti sintomi:

Il danno muscolare è particolarmente rilevante in termini di diagnosi, presentando gli elementi tipici della rabdomiolisi (l’aumento del CK è in genere proporzionale alla gravità della malattia).

Diagnosi differenziale

Tra le condizioni che possono presentarsi con quadri simili si annoverano ad esempio:

  • sindrome serotoninergica, un’altra condizione correlata all’assunzione di farmaci (ma di classi completamente diverse, tra cui alcuni antidepressivi)
  • ipertermia maligna
  • gravi infezioni, tra cui sepsi, polmonite e infezioni del sistema nervoso centrale.

Cura

Unità di terapia intensiva

Shutterstock/Chaikom

Il primo passo consiste inderogabilmente nella sospensione del farmaco responsabile, seguita da una terapia di supporto (tipicamente in un’unità di terapia intensiva) che può richiedere a seconda dei casi:

  • raffreddamento aggressivo,
  • correzione dei deficit di volume e di eventuali squilibri elettrolitici (parametri del sangue),
  • farmaci antiaritmici,
  • ventilazione meccanica in caso di insufficienza respiratoria (che può insorgere in conseguenza della rigidità della parete toracica).

La letteratura suggerisce poi alcuni farmaci potenzialmente in grado di migliorare recupero e prognosi:

  • bromocriptina, un agonista della dopamina (la sindrome è causata dal blocco dei recettori della dopamina, la bromocriptina al contrario è in grado di stimolarli),
  • dantrolene, un agente miorilassante (per contrastare il danno muscolare),
  • benzodiazepine in caso di agitazione.

Qualora la sindrome sia invece dovuta ad una eccessivamente rapida sospensione del farmaco dopaminergico, la rapida ripresa del farmaco può migliorare i sintomi.

Anche la terapia elettroconvulsivante è risultata efficace nei casi refrattari, ovvero non adeguatamente responsivi ai trattamenti visti.

Fonti e bibliografia

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