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Introduzione

L’acido lattico è una sostanza normalmente prodotta dall’organismo umano, che tuttavia può aumentare fino a raggiungere concentrazioni pericolosamente elevate in occasione di specifiche malattie.

Superata la soglia di normalità, gli effetti di livelli particolarmente elevati possono risultare fatali, con un rischio che aumenta proporzionalmente alla quantità in circolo e al tempo di permanenza.

È possibile distinguere due diversi casi:

  • Acidosi lattica (di tipo A), la più grave, diagnosticata quando i valori superano i 4 mmol/L.
  • iperlattatemia (acidosi lattica di tipo B), caratterizzata da livelli di lattato superiori a 2 mmol/L.

Può ugualmente essere diagnosticata a seguito del riscontro di pH del sangue inferiore o uguale a 7,35 (il sangue si acidifica).

Cause

L’acido lattico è un normale sottoprodotto del metabolismo e, in condizioni normali, viene processato principalmente attraverso il fegato e i reni, organi in grado di riciclarlo per la sintesi di glucosio (attraverso il processo di gluconeogenesi).

L’acido lattico viene prodotto da numerosi tessuti e cellule, tra cui:

  • pelle,
  • globuli rossi,
  • cervello,
  • muscoli,
  • tratto gastrointestinale.

È ad esempio piuttosto noto di come l’attività fisica intensa sia causa di un aumento di produzione da parte dei muscoli, senza ovviamente causare alcun tipo di difficoltà all’organismo sano (le cellule producono acido lattico quando necessitano di energia in condizioni di carenza di ossigeno).

Una condizione di eccessiva quantità di lattato circolante può in generale derivare da due diverse condizioni (una non esclude l’altra):

  • aumento della produzione,
  • diminuzione dello smaltimento (clearance),

ovvero un’eccessiva produzione di lattato che supera la capacità del fegato di metabolizzarlo. Si tratta di un’evenienza non comune nella pratica clinica, che può essere osservata ad esempio in caso di:

  • gravi convulsioni (eccesso di produzione) in associazione a capacità metaboliche epatiche compromesse, ad esempio a causa di (una causa non esclude le altre)
    • cirrosi (stadio terminale di numerose malattie del fegato),
    • ipotermia (esposizione al freddo),
    • sepsi (infezione del sangur),
    • grave ipovolemia (riduzione del volume di sangue, ad esempio da emorragia),
    • grave ipotensione (severa riduzione della pressione del sangue).
  • effetti indesiderati di farmaci e altri principi attivi, come ad esempio:
    • alcool
    • paracetamolo (ad esempio Tachipirina)
    • metformina (farmaco anti-diabetico)
    • cocaina
    • anestetici
    • isoniazide
    • acido valproico
    • sulfasalazina

L’acidosi lattica di tipo A (la più grave, diagnosticata quando i valori superano i 4 mmol/L) è dovuta ad un ridotto afflusso di sangue ai tessuti (ipoperfusione) e alla conseguente carenza di ossigeno (ipossia: non arrivando più sangue, i tessuti non ricevono ossigeno). Esempi di acidosi lattica di tipo A comprendono

  • tutti gli stati di shock (settico, cardiogeno, ipovolemico, ostruttivo), tutti accomunati da un crollo della pressione del sangue e dalla mancanza di afflusso;
  • ischemia regionale (il sangue non è più in grado di raggiungere il tessuto di destinazione, a causa di un’emorragia del vaso responsabile o di un’ostruzione),
  • convulsioni e casi gravi di brividi (come quelli indotti dall’ipotermina).

L’acidosi lattica di tipo B (meno grave, livelli di lattato superiori a 2 mmol/L ma inferiori a 4 mmol/L) è meno comune e derivante da difficoltà metaboliche cellulari che causano l’accumulo di lattato. Si osserva ad esempio in caso di

Esiste infine la rara acidosi D-lattica, scatenata dal passaggio in circolo di acido D-lattico prodotto da batteri presenti nel colon di pazienti che abbiano subito un intervento di bypass digiunoileale o una resezione intestinale. La condizione nasce dall’incapacità per gli enzimi umani di metabolizzare l’enantiomero D (l’acido lattico prodotto dalle cellule umane è solo in forma L).

Formule chimiche acido lattico

Shutterstock/Bacsica

Acidosi lattica da metformina

La metformina è un farmaco antidiabetico economico e molto efficace, non stupisce quindi che si tratti della prima scelta per la maggior parte dei pazienti al momento della diagnosi di diabete di tipo 2. In anni recenti si è dimostrata efficace anche in altre condizioni caratterizzate da insulino-resistenza, come sindrome dell’ovaio policistico e riduzione del peso.

Tra i possibili effetti indesiderati figura lo sviluppo di acidosi lattica di tipo B (non ipossica); è un’evenienza estremamente rara (con una prevalenza stimata da uno a cinque casi per 100 000 pazienti), ma una mortalità significativa; il tasso di mortalità complessivo per acidosi lattica da metformina era di circa il 50% durante il periodo 1960-2000, ma in anni più recenti è fortunatamente sceso significativamente, anche se rimane tuttora piuttosto elevato (circa il 25%).

Sintomi

L’insorgenza dell’acidosi può essere tanto rapida, quanto protrarsi in modo molto più progressivo nell’arco di diversi giorni, ma purtroppo non esistono sintomi specifici, perché strettamente dipendenti dalla causa scatenante.

I pazienti che sviluppino acidosi lattica sono tuttavia tipicamente in condizioni critiche, caratterizzate ad esempio da:

  • valori di pressione del sangue estremamente bassi,
  • stato mentale alterato,
  • ridotta o assente produzione di urina (oliguria)
  • respiro accelerato (tachipnea), in genere profondo,
  • febbre superiore a 38,5 °C (in caso di infezione),
  • confusione,

Diagnosi

In caso di sospetta acidosi lattica la diagnosi di conferma può derivare da esami di laboratorio:

Cura

Una corretta diagnosi della causa sottostante è assolutamente fondamentale nella gestione del paziente che sviluppi acidosi lattica, in parallelo al supporto delle funzioni vitali (ossigenazione e pressione su tutti, essendo tipicamente compromesse).

La rimozione diretta del lattato dal corpo (ad esempio mediante dialisi) è un approccio possibile, ma raramente efficace, così come la somministrazione di agenti per modificare il pH (come il sodio bicarbonato).

La prognosi stessa dipende dalla causa, oltre che dal livello di lattato; la diagnosi precoce è in genere la chiave per aumentare la probabilità di recupero.

Fonti e bibliografia

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