Introduzione e proprietà
Che sia per abitudine, necessità o compagnia, il caffè è un momento quotidiano irrinunciabile per milioni di persone, italiani in primis!
E di fatto la caffeina è la sostanza psicoattiva legale più usata al mondo…
Spesso facciamo coincidere caffè con caffeina, tuttavia la bevanda è in realtà un concentrato di centinaia di sostanze che concorrono a determinarne
- il gusto,
- il profumo
- e ovviamente gli effetti.
La stessa caffeina può variare molto in quantità a seconda della miscela utilizzata: la percentuale di principio attivo nella qualità Arabica è di circa 0,8-1,4%, mentre nella Robusta varia tra 1,7 e 4%, ossia fino a tre volte tanto.
Un’interessante ricerca condotta recentemente dall’Università di Napoli ha evidenziato la presenza e l’elevata variabilità in termini quantitativi di ben 50 molecole volatili (sono quelle responsabili dell’aroma), presenti in 25 qualità differenti di Arabica e Robusta analizzate. La variabilità dipende da una serie di fattori, tra cui
- origine del caffè,
- tecnologia di estrazione dai semi,
- metodo di tostatura.
La maggiore o minore presenza di un certo composto volatile rende conto della differenza di aroma che riscontriamo nel caffè espresso rispetto a quello preparato con la moka o a quello americano.
E ancora, ci sono i diterpeni – cafestolo e cafeolo – che possono provocare un aumento dei livelli di colesterolo nel sangue, ma non nella stessa misura per tutti i tipi di caffè:
- il maggior contenuto di diterpeni è stato rilevato nel caffè turco e in quello preparato per bollitura;
- espresso e moka ne contengono una quantità intermedia;
- la quantità più bassa è stata rilevata nel caffè filtrato e in quello solubile istantaneo.
Altri componenti interessanti del caffè sono gli acidi clorogenici, una classe di fitonutrienti polifenolici che ha mostrato effetti anti infiammatori e anti ossidanti, oltreché di riduzione della pressione sanguigna (anche se in questo caso competono con la caffeina, che invece tende ad alzarla). Si è visto che, a seconda della miscela di caffè utilizzata, il contenuto di questi composti può variare fino a 30 volte, in dipendenza dal livello di tostatura dei chicchi: più sono tostati, meno acido clorogenico contengono (la tostatura può eliminarne fino al 90%).
A di là della tostatura, tuttavia, pare che il maggior impatto sull’effetto antiossidante dell’acido clorogenico sia dato dall’aggiunta o meno di latte:
quando si aggiunge latte al caffè, l’attività antiossidante diminuisce di più della metà.
Lo stesso effetto però non si rileva aggiungendo latte di soia: sembra che le proteine del latte siano in grado di legare i fitonutrienti a livello intestinale, impedendone l’assorbimento, fenomeno che non si verifica col latte vegetale.
Ma il caffè fa veramente bene a chiunque?
Sappiamo già, per esempio, che alcune categorie di persone dovrebbero, se non eliminarlo, almeno moderarne l’assunzione:
- donne in gravidanza o in allattamento,
- chi soffre di acidità gastrica,
- chi soffre di pressione alta.
Ha in passato fatto scalpore uno studio dell’università Queen Mary di Londra, secondo cui sarebbe possibile consumare fino a 25 tazzine di caffè al giorno senza effetti collaterali sul sistema cardiovascolare. E, che siano 25 tazzine o meno (la notizia riportata dai giornali andrebbe infatti contestualizzata e approfondita), un numero crescente di studi testimonia l’effetto neutro, se non addirittura, benefico del consumo abituale di caffè sul rischio di malattie cardiovascolari.
Per quanto concerne gli effetti sulla sfera psico-fisica (nervosismo, ansia, insonnia) e cardiovascolare (pressione alta, tachicardia), l’impatto netto potrebbe dipendere da fattori individuali, inclusa la variante genetica che influenza il metabolismo della caffeina precedentemente menzionata. Si consiglia cautela o astensione dal consumo di caffè, specialmente quello contenente caffeina, in caso di sensibilità nota.
La caffeina, pur offrendo potenziali benefici, presenta anche possibili effetti avversi, incluso il rischio di sviluppare dipendenza.
È infine importante sottolineare che bevande a base di caffè con aggiunte significative di grassi e zuccheri, come il noto Frappuccino, si discostano notevolmente dal profilo nutrizionale del caffè tradizionale. Tali preparazioni andrebbero considerate più come dessert che come semplici caffè, tenendo conto del loro apporto calorico nel contesto della dieta complessiva.
Quindi cosa si fa?
Lo studio della Queen Mary fa parte di quegli studi cosiddetti di popolazione: si tratta di lavori di ricerca che si propongono di individuare correlazioni tra una determinata malattia e un fattore scatenante o protettivo. Studi di questo tipo hanno correlato il caffè a effetti a lungo termine di importanza tutt’altro che trascurabile, come una minore incidenza di
oltre a una generale riduzione della mortalità: in altri termini, chi beve caffè (fino a 4 tazzine al giorno) vive più a lungo.
Il limite di questi studi, tuttavia, è quello di trovare delle associazioni, ma senza dare certezza sul rapporto causa-effetto (correlazione non significa che il fattore in esame sia responsabile del risultato).
Detto in altre parole, si tratta di studi che non hanno la possibilità di isolare le singole variabili coinvolte e soprattutto gli eventuali nessi causali tra di esse. Un esempio? Si è visto che chi beve tanto caffè tende ad essere spesso un fumatore e a condurre uno stile di vita poco sano: quindi, eventuali effetti negativi sono dovuti alla caffeina o a tutto il resto?
Per isolare le variabili e capire se ci sia tra esse un effettivo rapporto causa-effetto è necessario condurre test più specifici, utilizzando sempre un gruppo di controllo (per intenderci, quello a cui, negli studi sui farmaci, viene somministrato il placebo). Questo è ciò che si è fatto ad esempio in uno studio italiano dell’Università di Padova, in cui i ricercatori hanno messo in relazione il consumo di caffeina con l’epatite cronica: un gruppo di pazienti è stato suddiviso casualmente in due sottogruppi:
- al primo è stata somministrata caffeina per un mese (4 tazzine al giorno),
- al secondo nulla nulla.
Dopo un mese i due sottogruppi sono stati invertiti. Ebbene, sembra che nei pazienti con epatite C il consumo di caffeina riduca il danno ossidativo e in definitiva rallenti la progressione della malattia.
Idem per i malati di Parkinson in uno studio dell’Università di Montreal: due tazzine di caffè al giorno e i movimenti miglioravano nel giro di 3 settimane.
Quanti caffè al giorno?
Quindi, per tornare alla domanda iniziale, lo bevo o no questo caffè? E quanto ne bevo?
Le linee guida generali dell’EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare), ad oggi, suggeriscono di non superare la dose di 400 mg di caffeina al giorno per gli adulti, che tradotto in termini pratici, significa non più di 4-5 tazzine di espresso e non più di 3-4 tazzine di moka al giorno, in condizione di buona salute generale (e tenendo presente che la caffeina si trova anche in alimenti diversi dal caffè, come tè, cacao, cola e bevande energizzanti, e in alcuni farmaci, come quelli contro l’emicrania). Alcuni studi, tuttavia, suggeriscono di mantenersi su un livello più basso, intorno ai 300 mg al giorno.
Fanno eccezione bambini e adolescenti, in cui viene proposto un livello di sicurezza pari a 3 mg/kg di peso corporeo al giorno (un bambino di 10 chili non dovrebbe quindi superare i 30 mg al giorno, consumati per esempio attraverso cioccolato e bibite alla cola).
Poi sta ad ognuno di noi modularne l’assunzione in base alla risposta del nostro corpo: perché ricordiamoci che la ricerca scientifica potrà darci risposte sempre più specifiche e mirate, ma difficilmente riuscirà a tener conto in modo dettagliato della variabilità individuale, della risposta personale di ogni singolo individuo. Tant’è che qualcuno bevendo caffè si addormenta!
Domande frequenti (e curiose)
Quanta caffeina c’è in un caffè? E nelle altre fonti?
Molto indicativamente è possibile stimare nel modo seguente la quantità di principio attivo presente in bevande e alimenti:
Un espresso (60ml) | 80mg |
Un tazza di caffè americano (200ml) | 90mg |
Un tazza di tè (220ml) | 50mg |
Una normale lattina di coca-cola (355ml) | 40mg |
Una normale lattina di “bevanda energetica” (250ml) | 80mg |
Una barretta di cioccolato fondente (50g) | 25mg |
Una barretta di cioccolato al (50g) | 10mg |
Fonte tabella: EFSA
Chi soffre di pressione alta può bere caffè?
Come descritto nel testo dell’articolo, se la caffeina tende a far aumentare la pressione, probabilmente (anche) a causa del suo effetto vasocostrittore (in grado cioè di stimolare il restringimento dei vasi sanguigni), gli acidi clorogenici mostrano un effetto opposto, di abbassamento della pressione.
Difficile prevedere quindi il risultato netto, che può dipendere sia da fattori quali la sensibilità individuale e le modalità di preparazione, ma anche dalla regolarità con cui si consuma caffè; berlo tutti i giorni potrebbe indurre una certa tolleranza agli effetti sulla pressione, oltre che fungere da fattore protettivo verso lo sviluppo di una futura condizione di ipertensione.
La Mayo Clinic americana consiglia di evitare il consumo di caffeina subito prima delle attività che aumentano naturalmente la pressione sanguigna, come l’esercizio fisico, il sollevamento pesi o attività professionali che comportino sforzi fisici.
Più in generale, per verificare l’effetto sul proprio organismo in modo empirico, è possibile controllare la pressione del sangue prima del consumo della bevanda contenente caffeina e nuovamente ad intervalli successivi nei 30-120 minuti dopo; in caso di aumenti significativi si potrebbe effettivamente essere sensibili agli effetti dell’aumento della pressione sanguigna della caffeina.
Si raccomanda comunque di fare sempre riferimento al proprio medico e, in generale, evitarne il consumo in caso di fattori di rischio severi o di pressione instabile.
Per approfondire: Cosa fa il caffè alla pressione?
È vero che il caffè e la caffeina danno dipendenza?
La caffeina è un principio attivo in grado di esplicare un effetto stimolante sul sistema nervoso centrale; l’argomento è dibattuto, ma l’opinione comune è che non esponga al rischio di una dipendenza tale da indurre ad un consumo compulsivo e patologico, mentre è dimostrato che nel tempo induca tolleranza, ossia una riduzione dei suoi effetti dovuta ad una sorta di abitudine dell’organismo (che aumenta l’espressione dei recettori per l’adenosina).
Ben nota è invece la sindrome d’astinenza nei consumatori abituali, che potrebbe tra l’altro spiegare molti episodi di mal di testa da week-end, quando lontani dall’ufficio il consumo quotidiano di caffeina cambia in modo profondo (in termini di quantità totali e spesso anche di orari).
Alla luce di queste considerazioni, se si prevede di ridurre il consumo di caffeina è consigliabile farlo gradualmente, nell’arco di diversi giorni, per evitare la comparsa di sintomi innocui ma fastidiosi, come mal di testa, nausea, affaticamento, calo del tono dell’umore, …
Per approfondire: Il caffè causa dipendenza?
Troppa caffeina può fare male?
Nel caso specifico della caffeina, è noto che esistono differenze genetiche nel suo metabolismo. Alcuni individui sono metabolizzatori rapidi, mentre altri, definiti metabolizzatori lenti, presentano varianti genetiche epatiche che alterano il processo metabolico. Questa distinzione può avere implicazioni significative: uno studio suggerisce che nei metabolizzatori lenti, il consumo quotidiano di caffè potrebbe aumentare il rischio di infarto, mentre nei metabolizzatori rapidi potrebbe avere un effetto protettivo (almeno entro certi limiti di dosaggio).
L’ipotesi proposta dagli autori è che “gli effetti protettivi osservati nei metabolizzatori rapidi suggeriscono che una rapida eliminazione della caffeina potrebbe prevenire gli effetti di questa sostanza, esaltando i benefici di altri principi attivi”.
È importante notare che la prevalenza di metabolizzatori lenti nella popolazione è significativa (50% circa).
L’identificazione certa del proprio profilo metabolico richiede analisi genetiche specifiche tuttavia, sintomi come una maggiore sensibilità agli effetti della caffeina, in particolare sulla pressione arteriosa e la frequenza cardiaca, potrebbero essere indicativi, sebbene non definitivi, di un metabolismo lento.
Una strategia prudente potrebbe essere l’adozione del caffè decaffeinato, sostanzialmente equivalente al caffè tradizionale eccetto per il contenuto di caffeina, o l’alternanza tra le due preparazioni per moderare l’assunzione di caffeina.
Il caffè fa dimagrire?
Alcune ricerche suggeriscono che:
- Potrebbe ridurre il grasso corporeo, specialmente negli uomini.
- La caffeina potrebbe favorire la riduzione di peso, BMI e grasso corporeo.
- Potrebbe aiutare a mantenere il peso dopo una dieta.
Questi risultati potrebbero essere la conseguenza non solo di effetti diretti (ad esempio un aumento temporaneo del metabolismo basale e di ossidazione dei grassi), ma anche indiretti, come:
- Miglioramento delle prestazioni fisiche.
- Possibile riduzione del senso di fame.
Tuttavia, ci sono diverse limitazioni da considerare:
- Gli effetti sono principalmente a breve termine e quantitativamente limitati.
- Le eventuali aggiunte (zucchero, panna) possono annullare i benefici.
- Il consumo eccessivo può avere effetti collaterali negativi (descritti nell’articolo).
- In ogni caso non compenserebbe gli effetti di una dieta squilibrata o uno stile di vita sedentario.
In conclusione, il caffè può contribuire modestamente alla perdita di peso come parte di uno stile di vita sano, ma non è una soluzione miracolosa: un consumo moderato può essere benefico, ma l’effetto sul peso è limitato.
Quante calorie ci sono in un caffè?
Le calorie contenute nel caffè sono considerabili pressoché nulle, ovviamente a patto che la bevanda non venga zuccherata e non venga consumata con panna, latte, alcolici, …
Indicativamente un caffè
- consumato con un cucchiaino di zucchero apporta circa 25 Kcal,
- macchiato con del latte apporta circa 10 Kcal,
- macchiato e zuccherato circa 35 Kcal.
Tecnicamente, in considerazione del (modesto) aumento del metabolismo basale stimolato dalla caffeina presente, il caffè è considerato una bevanda a calorie negative, in grado cioè di stimolare un consumo di calorie superiore a quelle apportate, ma i valori in gioco sono così bassi da potersi considerare pressoché trascurabili.
Quanti caffè si possono bere in gravidanza?
Secondo le linee guida EFSA le donne in gravidanza e in allattamento possono consumare “un quantitativo di caffeina sino a 200 mg al giorno, da ogni fonte, consumato nel corso della giornata”, che non desta preoccupazioni per la salute del feto”.
Si notino le parole “da ogni fonte”, che sottolineano la necessità di tenere conto di tutta la caffeina consumata durante il giorno, non solo quella presente nel caffè (fare riferimento alla domanda seguente).
Fonti e bibliografia
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Autore
Laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, con Dottorato di Ricerca in Scienza delle Sostanze Bioattive