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Introduzione
Viviamo in un’epoca fortunata, ove esiste un rimedio pronto per qualsiasi disturbo.
Il mal di testa non ci lascia in pace? Possiamo contare su una serie di farmaci da banco pronti a farcelo passare più o meno rapidamente.
Mal di stomaco? Ecco una squadra di digestivi, antiacidi, antireflusso, … disponibili all’occorrenza.
E così per raffreddore, mal di gola, mal di pancia, mal di schiena…potremmo continuare quasi all’infinito.
È una fortuna, sì. Sono farmaci noti e collaudati. Se siamo allergici a un principio attivo possiamo contare almeno su una -ma molto spesso diverse- alternative.
Troppo bello per essere vero? No, è tutto vero. Magari non sempre bello però.
Perché? Perché questa abitudine, ormai consolidata, a “spegnere” il disturbo schiacciando un bottone, non ci permette di ascoltare ciò che il corpo ci sta dicendo con quel sintomo. Mi spiego meglio. Non parlo del mal di testa passeggero e sporadico, magari dovuto a una giornata di lavoro intenso o a una notte insonne, o di disturbi allo stomaco conseguenti una cena non propriamente leggera… In quei casi la causa è evidente e meno male che il rimedio c’è! Mi riferisco a situazioni di disagio protratte nel tempo, per le quali invece di approfondire la causa e quindi risolvere – o almeno tentare di risolvere – a monte il problema, si preferisce mettere a tacere il sintomo e ignorare la causa. Magari attribuendogli una veste di “normalità”. Ho mal di schiena ma è normale alla mia età, ho sempre avuto problemi di digestione, anche mia madre soffriva di mal di testa: è di famiglia…
In realtà, il nostro corpo è progettato per funzionare bene (quando è messo nelle condizioni di farlo): avere un disturbo ricorrente non è normale. Chiaro che non stiamo parlando di patologie che richiedono il costante supporto medico e farmacologico: in quel caso benediciamo che ci siano farmaci che consentono una vita normale anche a persone che diversamente sarebbero in seria difficoltà. Pensiamo alle patologie metaboliche, alle malattie cardiovascolari, alle disfunzioni ormonali e così via. Ma quante di queste patologie sono iniziate con piccoli disturbi che abbiamo ignorato?
Qui stiamo parlando di disturbi, lievi ma cronici o ricorrenti – di cui non si è indagata (o non si sta affrontando adeguatamente) la causa.
Senza la pretesa di trovare il rimedio miracoloso di qualsiasi male, né tanto meno l’intento di demonizzare o screditare i rimedi esistenti, diamo inizio a una serie di video che hanno il solo scopo di illustrare quali potrebbero essere gli effetti a medio lungo termine di una terapia farmacologica fatta senza adeguato supporto medico e la corretta diagnosi del problema: parliamo quindi degli OTC, i farmaci da banco acquistabili senza bisogno di ricetta medica. Sì, perché anche i farmaci liberamente acquistabili sono comunque dei farmaci, che contengono principi attivi…che in quanto “attivi” esercitano delle azioni nel nostro corpo e possono avere effetti collaterali, magari sgradevoli quanto il disturbo che si sta tentando di curare.
Partiamo con una classe di farmaci molto in voga – e probabilmente sovra-utilizzata: gli antiacidi.
L’apparato digerente e il processo digestivo
Come dice il nome stesso, gli antiacidi sono farmaci che agiscono contrastando l’acidità che caratterizza l’ambiente gastrico, ossia l’interno dello stomaco.
Per capire la ragione di questa acidità all’interno dello stomaco, diamo una breve occhiata a com’è fatto l’apparato digerente e come avviene il processo digestivo
La digestione inizia già nel momento in cui introduciamo il cibo attraverso la bocca e iniziamo frantumarlo grazie al processo di masticazione: non solo, la saliva che si mescola il cibo contiene già degli enzimi digestivi che danno inizio anch’essi al processo di digestione. Il cibo quindi passa nell’esofago e raggiunge lo stomaco.
Quando pensiamo all’apparato digerente, gli organi che ci vengono subito in mente solo lo stomaco e l’intestino, ma non sono i soli: anche il fegato il pancreas la cistifellea intervengono nel processo digestivo e di assimilazione degli alimenti.
L’assorbimento di ciò che introduciamo attraverso il cibo avviene a livello dell’intestino – e in particolare in corrispondenza dei villi intestinali, che sono protuberanze della parete intestinale (possiamo immaginarli come tante dita o come le setole di una spazzola). Sulla superficie dei villi intestinali ci sono dei piccoli fori attraverso cui le molecole che noi abbiamo ottenuto al termine del processo digestivo possono essere assorbite: esse passano quindi nel torrente circolatorio e, attraverso il sangue, raggiungono organi e tessuti e vanno nutrire tutte le cellule del nostro corpo.
Il processo di digestione, quindi, consiste in definitiva nella progressiva scomposizione degli alimenti che introduciamo in pezzi sempre più piccoli, fino a raggiungere dimensioni molecolari, tali da poter essere assorbite a livello intestinale. Allora è chiaro che se nella sede dell’assorbimento il cibo non arriva nelle corrette dimensioni non può essere assorbito e quindi i casi sono due:
- il cibo permane più a lungo all’interno dell’apparato digerente, rallentando tutto il processo di digestione, creando sensazione di gonfiore o di pesantezza, favorendo fenomeni di fermentazione intestinale e formazione di gas e così via; in situazioni di difficoltà digestive protratte nel tempo, si possono verificare fenomeni infiammatori che, a loro volta, possono compromettere il corretto assorbimento e creare tutta una serie di problemi conseguenti;
- in alternativa, il cibo indigerito viene eliminato – e così ci perdiamo la possibilità di assorbire nutrienti importanti.
Concentriamoci adesso su quello che avviene all’interno dello stomaco: il cibo proveniente dall’esofago arriva a livello dello stomaco e qui, tramite i cosiddetti movimenti peristaltici (immaginiamoceli come una sorta di centrifuga), viene continuamente rimescolato e unito al succo gastrico. Il succo gastrico è un insieme eterogeneo di sostanze, tra cui acqua, acido cloridrico, bicarbonati, sali minerali, enzimi digestivi, che serve a scomporre il cibo e a frammentarlo in quei famosi pezzettini sempre più piccoli, necessari per poter essere assorbiti.
La quantità di acido cloridrico presente all’interno dello stomaco è molto elevata e questo fa sì che il pH, ossia il livello di acidità dello stomaco, sia altrettanto elevato. Il pH è un indicatore dell’acidità di una determinata soluzione e si esprime come valore numerico, in una scala che va da zero a 14: valori molto bassi indicano un’elevata acidità – e lo possiamo vedere in figura. L’acido cloridrico ha un pH di zero, lo stomaco di poco superiore, tra 1 e 2 – e questo proprio grazie alla presenza dell’acido cloridrico.
Questa acidità è fondamentale per il processo digestivo – in particolare per la digestione delle proteine: le proteine sono macromolecole che hanno bisogno di un ambiente acido per poter essere correttamente spezzate in frammenti più piccoli, disponibili poi per l’assorbimento. Attenzione che qui non facciamo differenza tra proteine di origine animale o proteine di origine vegetale: e il discorso è lo stesso.
Come viene prodotto questo acido cloridrico? Ci pensano delle particolari cellule, che si trovano sulla parete dello stomaco (si chiamano cellule parietali) e che sono in grado di produrre acido cloridrico, riversandolo all’interno dello stomaco. Queste cellule non si limitano a produrre acido cloridrico: esse producono un’altra sostanza molto importante, il fattore intrinseco di Castle, che è essenziale per l’assorbimento della vitamina B12.
Esistono poi altre cellule sulla parete dello stomaco, che producono il muco necessario per proteggere lo stomaco stesso dall’ambiente acido e quindi evitare che l’acidità lo danneggi.
La produzione di acido cloridrico è costante nel tempo ma aumenta in risposta al processo digestivo, proprio per facilitarlo. È chiaro che se questa acidità diventa eccessiva, e se ci mancano le protezioni adeguate per la parete dello stomaco, si possono verificare fenomeni di bruciore e di fastidio, che – anche qualora non si trasformino in vero e proprio reflusso, quindi in risalita verso l’alto del succo gastrico con danneggiamento delle strutture a monte, dell’esofago e del cavo orale – rendono necessario un intervento terapeutico. Se questo intervento ha una durata limitata nel tempo – e soprattutto si va a rimuovere la causa – il problema non sussiste. Se invece l’utilizzo di un antiacido diventa un’abitudine, allora il rischio è quello di mantenere costantemente l’acidità a un livello inferiore rispetto al necessario e compromettere così in modo continuativo la digestione – che è esattamente il contrario del nostro obiettivo quando assumiamo un antiacido pensando di favorire il processo digestivo!
Antiacidi
All’interno della categoria degli antiacidi distinguiamo gli antiacidi propriamente detti e i gastroprotettori: spesso le due classi di farmaci vengono confuse, ma il meccanismo d’azione è diverso, così com’è diverso l’effetto terapeutico.
Gli antiacidi propriamente detti sono farmaci che vanno a neutralizzare temporaneamente l’acidità gastrica, secondo una reazione che in chimica è nota come reazione acido-base. Facciamo un esempio con uno degli antiacidi più utilizzati e conosciuti, il bicarbonato di sodio. I bicarbonato di sodio reagisce con l’acido cloridrico, formando una serie di prodotti:
- anidride carbonica,
- acqua
- e cloruro di sodio – che è il comune sale da cucina (attenzione, non pensiamo che ci si formi del sale all’interno dello stomaco: stiamo parlando di singole molecole di cloruro di sodio).
Ci sono poi altri antiacidi, che possono essere utilizzati allo stesso scopo, come il carbonato di calcio, l’idrossido di alluminio, l’idrossido di magnesio.
Sulla base di quanto illustrato, capiamo come l’utilizzo degli antiacidi serva a tamponare l’acidità dello stomaco in modo temporaneo e non vada ad agire direttamente sulla produzione di acido cloridrico: si tratta rimedi che vanno assunti all’occorrenza e che hanno un effetto limitato del tempo. Nonostante questo, possono avere comunque degli effetti collaterali, soprattutto in caso di uso prolungato:
- Uno dei prodotti della reazione tra bicarbonato di sodio e acido cloridrico è l’anidride carbonica, quindi esiste i rischio che si formino gas a livello intestinale, i quali possono creare disagio o fastidio.
- Antiacidi quali idrossido di alluminio o l’idrossido di magnesio possono provocare effetti collaterali quali stitichezza, nel primo caso, o diarrea, nel secondo caso: è per questo spesso vengono dati in associazione, per mitigare questi effetti collaterali.
- Il terzo prodotto di reazione è il sodio, che, se introdotto in quantità eccessive, può rappresentare un problema in caso di patologie quali l’ipertensione arteriosa o situazioni di ritenzione idrica.
Anche se l’effetto è temporaneo, quindi, non si tratta comunque di rimedi da prendersi alla leggera, poiché possono interferire sia con terapie farmacologiche che con eventuali squilibri o patologie in atto: soprattutto in quest’ultimo caso è necessario e fondamentale rivolgersi sempre al proprio medico curante o al farmacista, per chiedere consiglio sulle modalità e sui tempi di utilizzo.
Gastroprotettori
Pur agendo anch’essi da antiacidi – nel senso che contrastano l’acidità gastrica – i gastroprotettori hanno azione più prolungata nel tempo, poiché interferiscono direttamente con la produzione di acido cloridrico.
All’interno della classe dei gastroprotettori si collocano numerosi principi attivi, con meccanismi d’azione differenti.
Per semplicità illustriamo il meccanismo d’azione della classe più comunemente usata, quella dei farmaci di prima scelta, che comprendono i ben noti omeprazolo, lansoprazolo, esomeprazolo, pantoprazolo.
Sono farmaci che hanno una durata d’azione di circa 16-18 ore – il che permette di ricorrere spesso a una sola somministrazione giornaliera.
Questi farmaci trovano largo impiego nel trattamento di
- Gastriti
- Ulcere
- Reflusso gastroesofageo
- Prevenzione del danno da utilizzo prolungato o cronico di FANS (i farmaci antinfiammatori non steroidei)
Questi farmaci appartengono alla categoria cosiddetta degli inibitori della pompa protonica. La pompa protonica è una proteina di membrana, che possiamo immaginare come un canale che attraversa la membrana esterna della cellula parietale: è attraverso questo canale che l’acido cloridrico, prodotto dalla cellula, viene riversato all’interno dello stomaco. Gli inibitori della pompa protonica bloccano questo canale, impedendo così che l’acido cloridrico venga liberato (ovviamente non ne rimaniamo completamente primi, ma ciò che si verifica è una sensibile riduzione dell’acidità dello stomaco).
Purtroppo i risultati delle ricerche più recenti sull’utilizzo dei gastroprotettori rivelano un dato piuttosto allarmante: l’utilizzo di questi farmaci si è diffuso in maniera sproporzionata, spesso al di là delle reali necessità. Vuoi per disinformazione, facilità reperimento, abitudine all’automedicazione, vuoi per l’errata convinzione del “tanto male non fa” – incoraggiata forse anche dal nome stesso “gastroprotettori”, che fa pensare a qualcosa che protegge e dunque non può certo danneggiare – sta di fatto che molto spesso il ricorso a questi farmaci risulta di gran lunga superiore al necessario [1-4].
Quali sono i problemi che possono insorgere dall’utilizzo prolungato (magari di anni) dei gastroprotettori?
- Problema digestivo
- Problema immunitario
Disturbi digestivi e di assorbimento di micronutrienti
Il primo problema riguarda sia l’efficienza del processo digestivo in sé (si va ad interferire con un meccanismo, la secrezione di acido cloridrico, che è fondamentale per una corretta digestione), sia la possibilità di assorbire alcuni micronutrienti come la vitamina B12: l’assorbimento di questa vitamina avviene, sì, a livello dell’intestino tenue, ma per poter essere assorbita deve legarsi al fattore intrinseco di Castle, che viene prodotto e liberato nello stomaco, insieme al succo gastrico. Se blocchiamo il canale attraverso cui passa l’acido cloridrico, riduciamo anche la presenza del fattore intrinseco di Castle. Non solo: la stessa acidità gastrica è fondamentale per la liberazione della vitamina B12, che è legata alle proteine alimentari e deve essere liberata per poter essere disponibile all’assorbimento.
Effetti sul sistema immunitario
Il secondo problema è legato all’azione antibatterica esercitata dall’acidità gastrica (funzione difensiva): eventuali batteri o microrganismi che possono entrare nel nostro corpo attraverso il cibo (magari con frutta e verdura non correttamente lavate, carne o pesce non ben cotti, …) normalmente vengono efficacemente inattivati dall’acidità dello stomaco, che crea un ambiente sfavorevole alla loro sopravvivenza. Se però questa acidità viene ridotta, si rischia che i microrganismi arrivino vitali all’intestino e qui, grazie alle condizioni di pH decisamente più favorevoli, lo colonizzino, entrando in competizione con il nostro microbiota e creando squilibri che potrebbero avere ripercussioni serie sulla nostra salute. L’equilibrio del microbiota intestinale è fondamentale per una serie di funzioni a partire da quelle immunitarie, per arrivare all’assorbimento degli alimenti alla digestione stessa.
Ciò è quanto emerge da uno studio recente dei ricercatori dello University College di Londra e dell’Università di Dundee in Scozia [4]: secondo il lavoro di questi ricercatori, le persone che fanno uso cronico di inibitori della pompa protonica correrebbero un rischio 4 volte maggiore di andare incontro a intossicazioni alimentari – in particolare nei confronti di Campylobacter, Clostridium difficile, ma anche Salmonella, Shigella ed Escherichia coli – proprio perché privati di questo primo e importante meccanismo di difesa rappresentato dall’acidità gastrica.
Conclusioni
Alla luce di quanto illustrato, è chiaro che di fronte a problematiche quali un reflusso diagnosticato, gastriti o peggio ancora ulcere è necessario intervenire in senso protettivo e dunque ridurre al massimo il rischio di danneggiamento della parete gastrica. Ma in tutti gli altri casi – e là dove i disturbi digestivi siano lievi e transitori – forse conviene intervenire in modo meno drastico e cercare di risalire prima di tutto alla causa del disturbo. E anche qualora sia necessaria la terapia farmacologica, è opportuno rivalutare periodicamente col proprio medico curante l’eventualità di proseguire o meno con la terapia [5-6].
Teniamo presente che molti problemi digestivi non dipendono da cause sconosciute, ereditarie o sulle quali non possiamo intervenire, ma sono legati allo stile di vita e ad abitudini alimentari scorrette: mangiamo di corsa, male, davanti alla tv o al pc, non mastichiamo a sufficienza, … ed è a questo livello che possiamo intervenire, altrimenti non si risolve la causa e – come abbiamo visto – si rischia di generare problemi aggiuntivi.
Fonti e bibliografia
- J Am Med Dir Assoc. 2021 Jan;22(1):15-22.
The Use and Misuse of Proton Pump Inhibitors: An Opportunity for Deprescribing
Thiruvinvamalai S Dharmarajan - Int J Mol Sci. 2019 Nov 2;20(21):5469.
Problems Associated with Deprescribing of Proton Pump Inhibitors
Holmfridur Helgadottir, Einar S Bjornsson - Expert Rev Clin Pharmacol. 2018 Nov;11(11):1123-1134.
Proton pump inhibitors: use and misuse in the clinical setting
Vincenzo Savarino, Elisa Marabotto et al. - Br J Clin Pharmacol. 2017 Jun;83(6):1298-1308.
Acid-suppression medications and bacterial gastroenteritis: a population-based cohort study
Li Wei, Lasantha Ratnayake et al. - PLoS One. 2015 Nov 4;10(11):e0141779.
Multimorbidities and Overprescription of Proton Pump Inhibitors in Older Patients
Anne Delcher, Sylvie Hily, Anne Sophie Boureau, Guillaume Chapelet, Gilles Berrut, Laure de Decker - Arq Gastroenterol. 2018 Jan-Mar;55(1):28-32.
Proton pump inhibitors increase the overall risk of developing bacterial infections in patients with cirrhosis
Illce B Lázaro-Pacheco, Alfredo I Servín-Caamaño et al.
Autore
Laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, con Dottorato di Ricerca in Scienza delle Sostanze Bioattive