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Influenza o COVID? I sintomi
Influenza e COVID sono entrambe malattie respiratorie contagiose, ma sono causate da virus diversi; la COVID-19 si diffonde più facilmente dell’influenza e ha la capacità di creare grane con maggior frequenza, sebbene questo aspetto risulti oggi più contenuto rispetto all’inizio della pandemia.
E i sintomi? Chiariamolo fin da subito, le due infezioni NON possono essere distinte in base ai sintomi, perché per la maggior parte condivisi. Entrambe le infezioni possono manifestarsi con uno spettro di possibili segni e sintomi piuttosto ampio e variabile, ma per la maggior parte sovrapponibile.
Da una completa assenza di sintomi, a quadri clinici più gravi, caratterizzati ad esempio da febbre alta, dolori diffusi, sintomi respiratori come naso congestionato e tosse; alcune delle possibili complicazioni sono invece in effetti diverse, ma in questo articolo vorrei concentrarmi sugli aspetti domestici, quelli con cui potremmo dover aver a che fare personalmente, magari quelli che stai vivendo proprio in questo momento.
Secondo i CDC americani i sintomi più comuni e condivisi comprendono:
- Febbre o sensazione di febbre/brividi
- Tosse
- Mancanza di respiro o difficoltà a respirare
- Stanchezza
- Mal di gola
- Naso chiuso
- Dolori muscolari
- Mal di testa
- Vomito e diarrea (se parliamo di influenza più comune nei bambini, mentre in caso di COVID a prescindere dall’età)
- Cambiamento o perdita del gusto o dell’olfatto, sebbene questo sia decisamente più frequente con COVID-19.
Non solo non li possiamo distinguere, ma potremmo anche avere entrambe le infezioni contemporaneamente… sai come si dice no? La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo… Scherzi a parte, si tratta di un’evenienza possibile, ma relativamente rara.
E quindi come li distinguiamo se non con i sintomi?

Shutterstock/CROCOTHERY
Altre differenze
Potremmo provare a ragionare su altri aspetti, ad esempio se siamo stati a contatto con un paziente infetto nei giorni precedenti alla comparsa dei sintomi, a patto ovviamente di conoscere con buona certezza la natura della sua infezione e che sia ragionevole ipotizzare un contagio in quel contesto, seppure ovviamente sia arduo averne la certezza. A questo proposito non aiuta molto nemmeno valutare il tempo d’incubazione, ovvero il tempo che passa dal contagio alla comparsa dei primi sintomi, che è tipicamente compreso tra:
- 1-4 giorni per l’influenza
- 2-5 giorni per la COVID, ma eventualmente fino a 14.
Se un paziente ha la COVID potrebbe tuttavia essere contagiosa più a lungo; sempre secondo i CDC
- i soggetti con influenza sono potenzialmente contagiosi a partire da un giorno prima di sviluppare i sintomi, ma soprattutto durante il periodo di malattia vero e proprio, in particolare nei primi 3-4 giorni;
- anche i soggetti affetti da COVID possono essere contagiosi ancor prima di manifestarne eventuali sintomi e l’infettività raggiunge poi il picco un giorno prima dell’inizio dei sintomi, per rimanere poi significativa per circa una settimana.
Insomma, anche con queste informazioni non ci facciamo in realtà granché… altri elementi che potrebbero aiutare sono:
- eventuali vaccini fatti: se ad esempio avessi fatto il vaccino contro la COVID ma non l’antinfluenzale si potrebbe pensare ad una maggior suscettibilità verso l’influenza, ma questo dipenderà anche dall’andamento della stagione influenzale, che tuttavia nel momento in cui scrivo si preannuncia piuttosto vivace, anche in considerazione della quasi assoluta assenza di circolazione nei due anni passati;
- strettamente correlato a questo aspetto è la valutazione dei casi sul territorio, un indizio potrebbe in effetti essere fornito da quanti casi di ciascuna infezione siano attivi in un dato momento: sappiamo che l’influenza cresce fino ad un picco (raggiunto generalmente nell’anno nuovo, anche se quest’anno 2022 probabilmente anticiperà a dicembre) per poi andare a diminuire progressivamente, mentre la COVID abbiamo ormai imparato che procede per ondate successive, non sempre prevedibili con sufficiente anticipo.
- Ultima possibilità di distinzione, ma ancora meno utile delle precedenti, è lo sviluppo di Long-COVID, ovvero quella condizione post-infezione caratterizzata da sintomi e gravità molto variabili da un soggetto all’altro. In realtà non è impossibile manifestare una sindrome post-virale anche con l’influenza, ma salvo forse i soggetti anziani è certamente molto più rara.
Test
In ultima analisi le due infezioni le possiamo distinguere solo e soltanto con un test, ad esempio un tampone, ma anche in questo caso non è tutto così chiaro e limpido:
- a partire dalle ultime varianti Omicron abbiamo imparato che non è troppo raro ottenere un esito negativo nei primi giorni di malattia, per poi vederlo positivizzare in un secondo momento, a distanza di tempo. In genere si diventa positivi al più tardi nei giorni successivi allo sviluppo di sintomi che, sommati ai 3-4 giorni d’incubazione, possono diventare anche 6-7 giorni (o più, in certi casi) dal momento del contagio. Perché succede questo non è chiarissimo, ma probabilmente si sommano una riduzione della sensibilità dei test con le varianti recenti, oltre che una diversa diffusione del virus nell’organismo (più in gola che nel naso), ma soprattutto un’aumentata reattività del nostro organismo, che si attiva fin da subito (sviluppo dei sintomi), ancora prima del picco di proliferazione virale. In alcuni casi siamo così bravi a reagire che non ci positivizzeremo mai, pur avendo la COVID a tutti gli effetti.
- Al contrario un esito positivo è una prova non assoluta, ma ragionevolmente affidabile.
La vera domanda
Ma la vera domanda a mio avviso è un’altra: Serve davvero distinguere le due infezioni?
Da un punto di vista clinico e pratico no, non necessariamente, soprattutto se sei una persona altrimenti in buona salute e priva di fattori di rischio. In questo caso il modo di affrontare le due infezioni è tutto sommato lo stesso:
- isolamento volontario
- riposo
- eventuali farmaci sintomatici se lo desideri, ma come sai non ne sono un grande sostenitore e questo a prescindere dalla sterile ed infinita discussione Tachipirina o antinfiammatori, ma non voglio divagare.
La questione cambia se parliamo di soggetti a rischio, ad esempio
- Anziani
- Soggetti affetti da patologie croniche
- Neonati e bambini piccoli
- Donne incinte
Tutti questi pazienti corrono rischi maggiori di sviluppare complicazioni, seppure non necessariamente le stesse, ma in questi casi ti raccomando di avvisare immediatamente il tuo medico per avere indicazioni su come affrontare l’infezione ed eventualmente se e quando ripetere il tampone in caso di esito negativo.
In base alle situazioni soggettive si possono valutare approcci differenti, ma è molto, molto importante non sottovalutare i potenziali pericoli.
Ed è a mio avviso strettamente collegato a questo aspetto anche un’ultima considerazione che ti faccio: sapere se sei affetto da raffreddore, influenza o COVID potrebbe essere importante anche per te che sei sano come un pesce, perché questa informazione potrebbe e dovrebbe indurti a comportamenti di maturità e responsabilità verso gli altri.
Se sei giovane e forte e manifesti solo qualche fastidio, buon per te, ringrazia il tuo sistema immunitario, ma se decidi di uscire a fare la spesa ricordati che mentre parli tranquillamente al telefonino con l’auricolare potresti emettere goccine di saliva infette che andranno a depositarsi sul carrello e che potrebbero contagiare chi è meno fortunato di te. Ed ovviamente non serve che ti dica che sarebbe meglio evitare contatti ravvicinati con tua nonna anziana, tua zia incinta o tuo nipote appena nato in caso di qualsiasi dubbio.
Ecco cosa può servire distinguere le infezioni, ma alla luce delle difficoltà di farlo con sicurezza t’invito comunque ad una prudenza preventiva per proteggere chi ti sta accanto ed è più fragile di te.
Quando preoccuparsi
A prescindere dall’infezione e dal tuo stato di salute, ti raccomando di contattare immediatamente il medico, o il Pronto Soccorso nei casi più gravi (me cerchiamo di valutare sempre con lucidità), in caso di sviluppo di sintomi come:
- difficoltà a respirare
- dolore al petto
- sonnolenza tale da impedirti di rimanere sveglio
- confusione
- peggioramento di eventuali malattie preesistenti
- disidratazione (nei neonati te ne accorgi dai pannolini troppo asciutti)
- colorazione bluastra di unghie e labbra (la cosiddetta cianosi).
RSV
Perché in alcuni casi si parla di tripla epidemia?
Perché alcuni autori hanno previsto per quest’inverno non solo COVID e influenza, ma anche il virus RSV… responsabile di bronchioliti e polmoniti soprattutto in neonati e bambini.
Sebbene la maggior parte dei bambini che contrae un’infezione guarisca senza complicazioni, l’infezione può essere particolarmente pericolosa per i soggetti più fragili, come ad esempio nel caso di:
- neonati prematuri,
- età inferiore ai sei mesi,
- età inferiore ai due anni con malattie polmonari croniche o malattie cardiache congenite,
- sistema immunitario indebolito,
- disturbi neuromuscolari, che conducano ad esempio a sviluppare difficoltà a deglutire o eliminare le secrezioni di muco.
L’RSV si rivela talvolta grave anche nei pazienti anziani e l’infezione può peggiorare problemi di salute cronici come l’asma o l’insufficienza cardiaca congestizia.
Fonti e bibliografia
Autore
Dr. Roberto Gindro
laureato in Farmacia, PhD.Laurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.