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Introduzione
Se le precedenti varianti dell’infezione da SARS-CoV-2 colpivano prevalentemente il tratto respiratorio inferiore, ed erano spesso associate ad una caratteristica perdita di olfatto e di gusto, con l’arrivo della variante Omicron abbiamo assistito ad un interessamento che riguarda invece prevalentemente le vie aeree superiori. Questo è sicuramente un vantaggio in termini di riduzione del rischio di complicazioni, tuttavia siamo di fronte ad un fenomeno emerso con chiarezza nei mesi estivi: pazienti che risultano negativi al tampone, nonostante siano infetti.
Un momento, come facciamo a dire che che sono infetti se il tampone è negativo? Beh, sono almeno tre le condizioni che ci permettono di affermarlo con ragionevole sicurezza:
- Sintomi assolutamente caratteristici, magari emersi dopo un contatto con un paziente infetto con tampone positivo dopo i classici 3-4 giorni di incubazione,
- o più ancora perché un tampone condotto a distanza di qualche giorno dal primo diventa improvvisamente positivo,
- ed infine, una ragione un po’ più specialistica: tampone negativo, ma presenza accertata del virus nel liquido residuo del lavaggio bronco-alveolare (BAL), una procedura medica un po’ antipatica in cui ti infilano un tubicino fino ai polmoni, ci spruzzano un po’ d’acqua che poi viene raccolta dopo poco per essere esaminata in laboratorio.
Ora, premesso che non va dimenticato come qualsiasi, qualsiasi test è associato ad una certa percentuale di falsi negativi, non fosse altro ad esempio per errori dell’operatore o difetti di preparazione dei reagenti, come capire se si tratta di COVID nonostante un tampone negativo?
Sintomi e tampone negativo
La variante Omicron è praticamente l’unica in circolazione, come riportano chiaramente tanto il monitoraggio settimanale dell’OMS che hanno peraltro trovato conferma più volte anche in indagini prettamente italiane. Le persone infette dalla variante Omicron possono presentare sintomi sostanzialmente simili alle varianti precedenti, con una persistenza e gravità variabili in base a fattori quali stato di vaccinazione, precedenti infezioni, eventuali altre condizioni di salute ed età.
Tra i sintomi più comuni, almeno per quanto riguarda le fasi iniziali e le forme lievi o moderate, si annoverano
- Febbre, ma che ti ricordo come in molti pazienti non si manifesti affatto
- Mal di gola
- Tosse
- Stanchezza ed affaticamento
- Dolori muscolari diffusi
- Mal di testa
- Naso chiuso e/o che cola
- Nausea e/o vomito
- Diarrea
Insomma, quello che prima avresti battezzato come influenza o raffreddore potrebbe essere COVID, soprattutto alla luce del fatto che in questo momento circola in modo assolutamente preponderante rispetto ad altre malattie virali.
A complicare il tutto c’è poi come detto il discorso dell’immunità conferita da vaccinazione, precedente infezione o ibrida, ovvero derivante da entrambi; in questi pazienti è ancora più probabile osservare un decorso molto leggero, magari asintomatico, e per inciso sono proprio pazienti con immunità ibrida (vaccino E infezione passata) a godere di una protezione maggiore.
Non c’è quindi alcuna differenza davvero rilevante tra i sintomi che è possibile sviluppare nel caso di tampone positivo o negativo, mi dispiace…
Dopo quanto si diventa positivi?
In genere si diventa positivi al più tardi nei giorni successivi allo sviluppo di sintomi che, sommati ai 3-4 giorni d’incubazione, possono diventare anche 6-7 giorni (o più, in certi casi) dal momento del contagio.
I test non funzionano più? Perché?
La sensibilità di un test è definita come la capacità di restituire un risultato positivo in presenza di un paziente infetto, quindi sostanzialmente rilevare correttamente i contagiati, ed uno studio pubblicato sulla rivista Viruses ha analizzato la sensibilità di sei test rapidi, scoprendo che questa è andata costantemente diminuendo ad ogni nuova variante, dalla Delta in poi. Ma questa diminuzione vale quasi esclusivamente per i casi in cui pazienti esprimevano una bassa carica virale, ovvero quando la quantità di virus presente nel naso è bassa, dove le differenze tra le diverse varianti si fanno davvero marcate e per certi versi preoccupanti.
Le ipotesi ad oggi sul tavolo sono tre, vediamole brevemente una ad una.
Sistema immunitario
La teoria ad oggi più condivisa si basa sul fatto che, dopo due anni di circolazione del virus, il nostro sistema immunitario sia diventato molto più bravo a reagire contro il SARS-CoV-2, capacità acquisita anche grazie ai vaccini: quindi i sintomi, che ti ricordo essere la dimostrazione dell’attività di difesa dell’organismo, hanno inizio con largo anticipo rispetto al picco di riproduzione del virus.
Questi sono i casi di positività ritardata, poi ci sono quelli che non saranno mai positivi, nonostante l’infezione, perché la reazione è così efficace da impedire una sufficiente proliferazione nasale del virus.
D’altra parte ci sono anche persone che, almeno apparentemente, incontrano per la prima volta il virus e manifestano comunque un certo ritardo nella positività dei tamponi.
Diversa diffusione nell’organismo di Omicron
Arriviamo quindi alla seconda ipotesi, perché c’è chi ritiene invece che la ragione di questi tamponi negativi sia da legata ad una diversa dinamica con cui Omicron circoli nell’organismo; ci sono studi che hanno rilevato ad esempio una maggior proliferazione in bocca e gola, ma se ti ricordi all’inizio dell’articolo abbiamo accennato al lavaggio bronco-alveolare che ne pare ulteriore dimostrazione.
Ci sono state anche ipotesi relative al fatto che la riduzione della sensibilità fosse legata a mutazioni subentrate sulle proteine cercate dai tamponi, ma in realtà ad oggi sembra confutato.
Errori dell’operatore
Infine non sono pochi quelli che puntano il dito sul fatto che con il tempo l’esecuzione dei tamponi si è numericamente spostata verso quelli casalinghi, praticati quindi dai pazienti stessi, familiari ed amici che non sono necessariamente addestrati ad un corretto utilizzo del tampone (perché sì, quando viene inserito nel naso dà a tutti l’impressione di ravanare nel cervello ed è invece tanto più comodo fermarsi a due millimetri dall’entrata, no?).
E se invece il test è positivo? Potrebbe essere un errore?
Questa la smarchiamo velocemente: no, è davvero poco probabile, per quanto non impossibile in senso assoluto, che un esito positivo sia un errore. Se sei positivo è assolutamente ragionevole dare per scontato che l’esito sia corretto.
Tecnicamente questo parametro si definisce specificità, ovvero la capacità di individuare correttamente i soggetti NON contagiati; in linea assoluta anche questa non potrà tuttavia mai essere del 100%.
Cosa fare?
Il mio parere ovviamente non vale nulla, ma ho la netta sensazione che nel complesso il fenomeno possa essere conseguenza di tutti e tre i fattori visti e probabilmente anche altri non ancora individuati.
In caso di sintomi e test negativo è quindi consigliabile ripeterlo dopo qualche giorno, ma soprattutto concludo con un consiglio condiviso dalla maggior parte dei ricercatori impegnati nel contrasto alla pandemia, anche se so che farà arrabbiare tanti di voi, che riprendo pari pari dalle parole della Dottoressa Emily Martin, epidemiologa esperta in malattie infettive dell’Università del Michigan:
La gente dimentica che non appena si diventa sintomatici, bisognerebbe comportarsi in modo diverso. Un test negativo in presenza di sintomi non dovrebbe essere un lasciapassare per uscire.
Perché, ma questo lo aggiungo io, il discorso è sempre lo stesso: magari tu sei giovane e supererai l’infezione senza problemi, ma per tua nonna, per la tua vicina di casa diabetica o per quel barista che è così simpatico ed estroverso da non farti minimamente sospettare che durante l’ultima chiusura non sia andato in vacanza ma abbia invece subito un trapianto di reni, beh, per loro la storia potrebbe essere molto diversa.
Anche perché, questo ce lo ricorda il Washington Post, siamo umani, nel bene e nel male, e capita sempre più spesso che un test negativo abbia un effetto taumaturgico sui sintomi… Mi sveglio con mal di testa, stanchezza e doloretti… a pranzo compro un test e lo trovo negativo e, miracolo!, i sintomi nel pomeriggio scompaiono. Certo, a volte può succedere, ad esempio in caso di sintomi legati semplicemente ad una cattiva digestione o ad una nottataccia, ma in altri casi è il potere tranquillizzante del negativo. Si chiama effetto placebo, baby…
Altre fonti e bibliografia
- Acute odynophagia: A new symptom of COVID-19 during the SARS-CoV-2 Omicron variant wave in Sweden – Krzysztof Piersiala, Lara Kakabas, Anna Bruckova, Magnus Starkhammar, Lars Olaf Cardell
- Repeatedly negative PCR results in patients with COVID-19 symptoms: Do they have SARS-CoV-2 infection or not? – J Beneš, O Džupová, A Poláková, N Sojková
Autore
Dr. Roberto Gindro
laureato in Farmacia, PhD.Laurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.