Chi ha avuto il COVID può riprenderlo? Immunità e reinfezione

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Ripetere la COVID è possibile

Ci si può reinfettare con COVID-19? Dopo averla presa, è possibile venire contagiati di nuovo? A distanza di tempo? Di quanto tempo? E i rischi sono gli stessi della prima infezione?

Le risposte a queste domande hanno purtroppo trovato una triste, per quanto prevedibile, conferma, a seguito della diffusione della variante Omicron 5, che si è dimostrata capace di eludere le difese immunitarie sviluppate tanto su precedenti infezioni che, almeno in parte, sui vaccini.

“I soggetti che siano stati infettati da SARS-CoV-2 possono aspettarsi di essere reinfettati entro 1-2 anni, a meno che non prendano precauzioni come farsi vaccinare e indossare mascherine, secondo la previsione di modelli basati sulle relazioni genetiche tra SARS-CoV-2 e altri coronavirus.”

Queste sono le parole con cui esordiva uno studio su Nature pubblicato nell’inverno del 2021,  ma la recente impennata di casi di contagio ha dimostrato che si trattata almeno in parte di previsioni ottimistiche, scalzate dall’aumentata trasmissibilità della variante Omicron: anche i soggetti immunizzati in modo naturale, ovvero in contrapposizione ai vaccinati, possono aspettarsi di venire nuovamente contagiati, o prima o dopo, a seconda di fattori quali stato del proprio sistema immunitario, grado di esposizione al virus e variante contratta in passato.

Le sottovarianti Omicron BA.4 e BA.5 di SARS-CoV-2 hanno dimostrato di essere più abili ad evadere le difese immunitarie rispetto alle varianti precedenti, ma ricerche recenti mostrano che l’infezione precedente con una variante più vecchia (come Alpha, Beta o Delta) offre una certa protezione contro la reinfezione con BA.4 o BA.5 e che una precedente infezione da Omicron è ancora più efficace. Questa è stata la conclusione di uno studio che ha valutato tutti i casi di COVID-19 in Qatar dall’inizio dell’ondata di infezioni da BA.4 e BA.51.

Covid e reinfezione

Shutterstock/GoodStudio

Acquisisce invece sempre più credito l’ipotesi che la malattia possa trasformarsi in endemica:

  • Una malattia è pandemica quando si diffonde rapidamente su vastissima scala, ad esempio tutto il mondo in pochi mesi come l’attuale COVID-19.
  • Una malattia è epidemica quando colpisce quasi simultaneamente un insieme di persone, ma con una ben delimitata diffusione nello spazio e/o nel tempo, ad esempio l’influenza stagionale in inverno. Un modo carino che ho trovato per ricordare la differenza tra epidemia e pandemia e che la seconda, “P”andemia, ha il “P”assaporto per andare ovunque nel mondo, è cioè un’epidemia che viaggia molto.
  • Una malattia è endemica quando è costantemente presente, o molto frequente, in una popolazione o territorio, ad esempio la malaria in alcune zone asiatiche ed africane, tipicamente con livelli elevati ma più o meno costanti nel tempo.
  • Una malattia sporadica, te lo dico giusto per completezza, è invece una condizione che si presenta in modo non frequente e soprattutto imprevedibile, senza alcuna regolarità.

Secondo molti ricercatori la COVID-19 potrebbe diventare una malattia endemica, seppure su scala molto vasta, trasformandosi cioè da un’emergenza mondiale ad una presenza costante , magari caratterizzata da periodiche epidemie, ma in qualche modo sotto controllo. È tra l’altro lo stesso pensiero anche del CEO di Pfizer, che in una passata intervista ha espresso lo stesso parere, ipotizzando però che questo passaggio avvenga non prima del 2024 o comunque quando le popolazioni potranno godere di una sufficiente immunità da vaccini o da precedenti infezioni, tali per cui si riuscirà a tenere sotto controllo trasmissioni, ricoveri e decessi nonostante la circolazione del virus. E questo purtroppo potrebbe anche succedere con passi diversi, le nazioni dove le vaccinazioni hanno avuto maggior diffusione potrebbero raggiungere prima questa condizione… l’ennesima triste dimostrazione di come la storia non cambi mai… piove sempre sul bagnato…

Il TheAtlantic a mio avviso sintetizza alla perfezione questa idea, scrivendo che la parola “endemica” è usata per descrivere il punto in cui il pericolo del virus si riduce fino ai livelli dell’influenza o, meglio ancora, del raffreddore. Nella sua definizione tecnica, tuttavia, endemica è un termine che descrive un equilibrio, un punto in cui l’immunità acquisita in una popolazione è bilanciata dall’immunità persa. L’immunità può essere acquisita attraverso la vaccinazione o l’infezione naturale e può essere persa attraverso la naturale diminuzione della risposta immunitaria, l’insorgenza di nuove varianti o più semplicemente il turn-over della popolazione, quando cioè vengono a mancare anziani immuni e nascono bambini nuovamente suscettibili. In questa situazione l’impatto di un agente patogeno diventa molto più prevedibile e stabile, seppure magari con periodiche fluttuazioni legate ad esempio alla stagionalità.

Un secondo studio, condotto questa volta in Quatar, ha rilevato che dopo la prima ondata circa il 40% della popolazione era entrata in contatto con il virus. Sono state poi analizzate due successive ondate, rispettivamente da variante alfa e poi da variante beta: com’è cambiato il rischio di nuova infezione e soprattutto di mortalità?

Anche in questo caso le persone sono tornate ad essere positive, seppure con una probabilità sensibilmente inferiore rispetto a quelli mai venuti in contatto, ma fortunatamente i casi di reinfezioni vedevano abbattersi del 90% il rischio di ospedalizzazione o morte. L’autore conclude senza una risposta con le stesse domande che ci siamo già posti:
Quanto dura questa protezione? Magari come per il raffreddore, ovvero assoluta per un breve periodo e poi tendente alla diminuzione ma mantenendo un’immunità più a lungo termine verso le complicazioni?

Boh? Possibile… Speriamo… perché potrebbe essere la strada verso l’agognato andamento endemico…

Cosa aspettarci?

Inizialmente l’abbiamo paragonata per gravità all’influenza stagionale… poi l’abbiamo paragonata alla Spagnola sperando che come questa automagicamente sparisse, possibilmente senza la stessa drammatica e devastante scia di morti, ora mi sembra che iniziamo a rassegnarci al fatto che dovremo conviverci…

Sicuramente come esseri umani non siamo bravi a fare previsioni, ma vorrei chiudere con un concetto scientifico davvero fondamentale: “Tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni sono utili”. Pensare che la realtà combaci con un modello o che un modello sia una previsione del futuro, è un’ingenuità tipica di molte persone ed un errore più o meno consapevole commesso da tanti giornalisti e divulgatori in cerca del titolo, dovremmo invece tutti quanti, io per primo, abituarci all’idea che le risposte sono il frutto di approssimazioni successive, di graduali avvicinamenti a modelli più funzionali che possono richiedere tempo, anche tanto tempo, anche perché devono adattarsi ad un ambiente in perenne mutamento e tutt’altro che statico.

Panta rei, tutto scorre e tutto cambia, e la scienza non può fare altro che rincorrere una realtà in continua evoluzione, ecco la ragione di questi cambi di prospettiva, ecco perché si parla di attendere ulteriori dati: non è miopia della scienza, al contrario, è la lungimiranza dettata dalla consapevolezza che una quantità limitata di dati potrebbe nascondere anomalie statistiche, fattori confondenti o eventi impossibili da prevedere.

Fonti e bibliografia

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