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Introduzione
Nel mondo della nutrizione ci sono miti che persistono nel corso del tempo, come ombre oscure che si insinuano nelle nostre scelte quotidiane. Uno di questi miti è senza dubbio quello dei “veleni bianchi”.
Spesso sentiamo parlare di zucchero, farina raffinata, sale e latte come se fossero i principali responsabili degli evidenti problemi di salute del mondo occidentale, dai chili di troppo alle malattie cardiache, dai disturbi metabolici ai tumori.
Ma quanto di questo è veramente scientifico?
L’obiettivo che vorrei perseguire con questo articolo è proporti una prospettiva equilibrata e oggettiva, al di là di preconcetti ed estremismi, per capire quale ruolo svolgano davvero ai fini della nostra salute questi alimenti.
Cos’è un veleno?
Prima di affrontare uno per uno questi terribili veleni bianchi, non posso fare a meno di interrogarmi sul significato della parola, perché se ci pensi il fulcro della discussione è proprio questo.
Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.
Questo l’aveva capito Paracelso già 500 anni fa e, per fare il solito esempio estremo trito e ritrito, anche l’acqua può diventare veleno: obbliga un uomo a ingurgitare una decina di litri di acqua in poche ore e probabilmente morirà per avvelenamento da acqua, ma nessuno si sognerebbe mai di definire l’acqua un veleno.
Per sale, zuccheri e latte è la stessa cosa? È una questione di dose e di frequenza di consumo?
A piccole dosi fanno bene, a dosi eccessive fanno male?
Oppure già a piccole dosi sono un problema, diciamo come le sigarette?
Analizziamoli uno per uno…
Sale
Partirei dal sale, che è probabilmente il più semplice da affrontare, almeno apparentemente…
Il sale da cucina è sodio cloruro, ovvero una molecola molto semplice costituita da un atomo di sodio e un atomo di cloro.
Lo si definisce veleno soprattutto in riferimento al sodio, il cui eccesso è effettivamente responsabile di circa 2.5 milioni di morti l’anno secondo l’OMS.
Il sale è la principale fonte di sodio nella dieta e un aumento del consumo favorisce lo sviluppo di pressione alta e, di conseguenza, di malattie cardiache e ictus; è stato poi anche associato, ma per ragioni diverse, al tumore allo stomaco e all’osteoporosi.
L’alimentazione del mondo occidentale è dominata dai prodotti industriali e piatti preparati nelle varie declinazioni della ristorazione commerciale, che contengono invariabilmente quantità eccessive, quando non addirittura spropositate, di sale; allo stesso tempo si rileva un insufficiente consumo di frutta, verdura e fibre alimentari in genere, come i cereali integrali, che sono componenti chiave di una dieta sana, anche per il loro contenuto in potassio, minerale che bilancia l’azione del sodio contribuendo a ridurre i valori di pressione del sangue.
L’eccesso di sale deriva cioè quasi sempre dal consumo di alimenti trasformati,
- sia perché sono particolarmente ricchi di sale (e penso a piatti pronti, carni lavorate come bresaola, prosciutto e salame, ma anche formaggio, snack salati e altro),
- sia perché sono consumati troppo frequentemente e/o in grandi quantità.
Attenzione, queste non sono ipotesi, sono fatti, eppure ho comunque qualche remora a definirlo veleno, per la stessa ragione per cui a nessuno verrebbe mai in mente di definire l’acqua, un veleno.
Il sodio, proprio come l’acqua, non solo è utile, ma ci serve proprio introdurlo quotidianamente per andare a compensare le perdite di urine e sudore.
Se stessimo parlando di farmaci diremmo che “la finestra terapeutica del sodio è più stretta di quella dell’acqua”, ovvero che le quantità che lo trasformano da necessario a pericoloso sono molto più vicine tra loro che non per l’acqua…
Stabilito che il sodio è indispensabile, potremmo fare un passo più in là e chiederci se lo stesso valga per il sale… alla luce del fatto che il sodio è in realtà naturalmente presente in quasi tutti gli alimenti, è davvero necessario alla salute aggiungere sale?
In altre parole, posto che il sodio è un minerale essenziale, aggettivo che in nutrizione indica la necessità di introdurlo regolarmente con la dieta, anche il sale da cucina è essenziale?
La risposta è probabilmente no, si può sopravvivere senza sale aggiunto, anche perché immagino che ad esempio le tribù africane di cacciatori raccoglitori non lo comprino come noi al supermercato, anzi, la tribù sudamericana degli Yanomamo è nota nel mondo scientifico proprio per questo: non consumano sale e per inciso la loro pressione rimane perfettamente stabile per tutta la vita…
Eppure trovare nella letteratura scientifica una risposta certa a questa domanda, se il sale sia essenziale, è sorprendentemente difficile: mentre c’è un consenso abbastanza generale sulla necessità di ridurre il consumo di alimenti processati che ne sono ricchi, troviamo da una parte l’OMS che ci consiglia di puntare a scendere sotto i 5 g totali di sale al giorno, dall’altra c’è anche chi mette in guardia dal rischio di apporti troppo ridotti.
Oggi siamo sicuramente di fronte a un problema di eccesso, ma la realtà è che in passato la situazione era ben diversa, per un possibile rischio di carenza, anche perché si trova in misura ridotta nei vegetali, tanto è vero che molti erbivori selvatici sono istintivamente portati a leccarlo quando lo trovano in natura in qualche forma. Noi umani non facciamo eccezione e siamo naturalmente portati ad apprezzare il gusto salato; purtroppo come succede anche con altri nutrienti quello che è stato un vantaggio evolutivo si è trasformato in un pericoloso boomerang, un disallineamento tra evoluzione e ambiente: siamo ancora costruiti per trattenerne “il più possibile” ma improvvisamente, almeno in termini di tempistiche evolutive, questo “più possibile” è diventato semplicemente troppo, non essendoci più un reale limite alla quantità che siamo in grado di recuperare.
C’è chi dice di non preoccuparti di trovare il sale, perché sarà lui a trovare te.
Riassumendo, quello che è certo è che:
- Il sodio è essenziale, il sale probabilmente no.
- Un eccesso di sale è pericoloso, anche molto pericoloso, e su questo ci sono pochi dubbi.
- La cosiddetta dieta occidentale è sicuramente troppo ricca di sale a causa degli alimenti industriali e trasformati, che devono essere sicuramente limitati, meglio ancora evitati, ma attenzione anche a alimenti insospettabili come il pane, che soprattutto se di qualità mediocre può contenere tanto sale per conferire un qualche sapore che non può certo derivare da farine raffinate di pessima qualità.
- Attenzione a salsa di soia e dado per il brodo, che contengono quantità di sodio molto elevate.
- Allo stesso tempo non è probabilmente necessario buttare la saliera dalla finestra, ma semplicemente imparare a usarne poco, e a questo proposito ti lascio un paio di spunti:
- Spesso la nostra dieta è carente di iodio, motivo per il quale si è deciso di proporre il cosiddetto sale iodato, sale arricchito di iodio, per colmare questa potenziale carenza. E allora quel poco sale che usi in casa per cucinare, preferiscilo iodato, ma allo stesso impegnati per imparare a introdurre iodio anche da altre fonti, come le alghe.
- Siamo chiaramente attratti dal gusto salato, parlo proprio di specie umana, quindi se volerlo limitare è senza dubbio una scelta condivisibile, forse evitarlo ossessivamente a tutti i costi e associarlo all’idea di veleno potrebbe, questo sì, essere un pericoloso eccesso.
Zuccheri e farine raffinate
Negli ultimi 30 anni si è verificato in tutto il mondo un drammatico aumento di malattie come obesità e diabete e molti ricercatori sono convinti che la causa, almeno in parte, sia da ricercare nell’apparentemente infinito abuso di zuccheri aggiunti, uno dei nostri veleni bianchi.
Se sei d’accordo direi che possiamo trattare insieme zucchero, farine raffinate e riso bianco, tre alimenti che vengono tipicamente inclusi nella definizione di veleno bianco.
Senza addentrarci nelle discussioni sull’indice glicemico, sono assolutamente convinto che le fonti integrali di cereali, comprese le farine, siano senza dubbio da preferire, non fosse altro che in virtù del loro contenuto di fibra (e possibilmente anche del germe) e di micronutrienti, come vitamine, minerali e antiossidanti. Senza l’apporto dei cereali integrali può diventare complicato, ad esempio, raggiungere i “minimo” 30 g di fibra giornalieri consigliati dalle linee guida.
Farine raffinate, zuccheri aggiunti e sì, anche se in forma di zucchero di canna o miele, sono sicuramente alimenti nutrizionalmente poveri, ovvero fonti di calorie cosiddette vuote; io stesso ogni tanto scherzo, ad esempio a cena da mia mamma, chiamando veleno la pasta bianca e i dolci, ma è appunto uno scherzo, una voluta e consapevole esagerazione ed esasperazione con la scelta di un termine forte, che in realtà andrebbe riservato ad altri contesti, e per questo chiaramente ironico. A questo proposito mi viene in mente ad esempio il mercurio accumulato nel pesce: il mercurio, quello sì, è un veleno, ma il pesce che portiamo in tavola fortunatamente no, a patto di consumarlo nelle giusta quantità e con l’accortezza di optare soprattutto per animali di piccola taglia.
Per zucchero e farine vale un po’ la stessa cosa: non sono veleni di per sé: sappiamo di tribù africane con parametri metabolici davvero invidiabili che consumano fino al 20% del loro fabbisogno calorico giornaliero in forma di miele, che come abbiamo detto è paragonabile allo zucchero, e questa è la dimostrazione del fatto che il corpo umano è perfettamente attrezzato per gestirlo. La differenza tra noi e loro è tuttavia duplice:
- Lo sforzo che dobbiamo compiere noi per consumarlo è limitato ad aprire la dispensa e portare il cucchiaio alla bocca, mentre loro devono camminare 10-15 km tra andata e ritorno e salire sull’albero a discutere con le api per prenderlo.
- Loro consumano anche abbondanti quantità di semi, frutta, verdura e tuberi con cui arrivano senza fatica a 100 g di fibra al giorno, la dieta occidentale raramente arriva ai 30 minimi consigliati, mentre fanno più fatica a mettere insieme una giusta dose di carboidrati.
Valutare l’effetto di zuccheri e farine raffinate senza prendere in considerazione il contesto è a mio avviso l’errore alla base di questo spiacevole equivoco: il problema non è lo zucchero in sé, ma la quantità, soprattutto in proporzione agli altri alimenti della dieta e nel contesto dello stile di vita sedentario di oggi.
E allora “mi e ti” chiedo: il problema è davvero lo zucchero, oppure lo stile di vita? A me sembra che sia un po’ come guardare il dito quando il saggio indica la luna.
C’è un interessante lavoro pubblicato su Nutrition Reviews che si pone proprio questa domanda:
Sebbene sia generalmente condivisa l’idea che gli zuccheri non dovrebbero essere consumati in quantità eccessive, esistono controversie riguardo a quello che dovrebbe essere un appropriato limite massimo.
Fin dall’introduzione si legge quindi fra le righe che sì, vanno limitati, ma non necessariamente evitati; certamente gli zuccheri aggiunti hanno dimostrato di rappresentare un problema maggiore rispetto a quelli naturalmente presenti negli alimenti, ma probabilmente anche per questi la definizione di veleno è una generalizzazione un po’ troppo spinta, perché i danni che sono in grado di fare derivano non dalla mera presenza nella dieta, ma dal contesto in cui vengono consumati e, soprattutto, dal bilancio calorico.
Un conto è vederli consumati da un soggetto sedentario in sovrappeso di fronte alla sua serie preferita, un conto è il ciclista professionista che percorre migliaia di chilometri al mese.
Ed è proprio per questa ragione che anche la l’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, conclude che le prove scientifiche sugli effetti degli zuccheri sulla salute non sono sufficienti per stabilire un limite assoluto al consumo…
Insomma, se per prepararti una torta dovessi andare a comprare farina zero e zucchero A PIEDI, in un supermercato che disti 6-7 km da casa, e intanto ne approfittassi per comprarti il resto della cena, ovvero una bella zucca, magari anche un po’ d’insalata e dei legumi… beh, la fetta di torta non sarebbe certo un veleno.
Tanto per essere chiari, non è lo zucchero la causa di obesità e diabete, ma l’eccesso di calorie, che nel mondo occidentale deriva spesso anche dagli zuccheri aggiunti, che oltretutto sono spesso contenuti in alimenti ultratrasformati il cui consumo è associato anche ad altri gravi problemi di salute.
In conclusione te lo ribadisco e vorrei che fosse molto chiaro:
Privilegia sempre alimenti semplici e integrali, evita gli zuccheri aggiunti e i prodotti ultratrasformati,, che devono essere la scelta quotidiana,
ma che lo zucchero e le farine raffinate siano un veleno di per sé è a mio parere concettualmente sbagliato, siamo noi a renderlo o meno tali in base alla quantità e, soprattutto, alla cornice che decidiamo di dargli in termini di stile di vita. Se sei in sovrappeso, hai uno stile di vita sedentario e non consumi abbastanza ortaggi la sola eliminazione di farine raffinate e zucchero non ti aiuterà, se non associata anche a una riduzione dell’apporto calorico.
Latte e latticini
Concludiamo questa disamina con il latte che, lo ammetto, mi causa più di un senso di colpa… Spesso nei miei articoli mi definisco vegano, ma devo ammettere che mi concedo ancora ogni mattina due dita di latte fieno montati a schiuma per una mera questione di golosità.
Perché mi sento in colpa? Perché ho scelto di adottare una dieta vegana per tre ragioni:
- Salute,
- Ambiente,
- Rispetto e amore per gli animali.
L’idea di essere ancora responsabile di continue gravidanze per una mucca (per quanto mi illuda, essendo latte fieno, che possa vivere in pascoli montani) mi causa più di qualche fastidio morale… ma non voglio divagare.
Le ragioni per cui il latte viene considerato un veleno bianco sono numerose e forse alcune non meriterebbero nemmeno di essere discusse… Che il latte non sia naturale o che l’uomo possa essere l’unica specie umana a consumare latte di altre specie animali… boh, mi lascia un po’ perplesso… Il fatto che sia l’unica specie a farlo è semplicemente perché ne siamo in grado, posso garantirti che il mio cane adora forse più ancora di me il latte vaccino, senza contare che l’uomo ha da sempre fatto di necessità virtù, adattandosi incredibilmente bene a consumare qualsiasi forma di cibo o, quando ne è stato in grado, ad adattare il cibo a sé stesso: praticamente nessun frutto e nessuna verdura di oggi è quella nata spontaneamente in Natura, si tratta invariabilmente di modifiche ottenute in vario modo anno dopo anno.
Piuttosto sterile è anche l’osservazione per cui in molte parti del mondo non venga consumato, perché potremmo dire lo stesso per gli insetti, benché stranamente i crostacei non rappresentino un problema al nostro fragile ego italiano di depositari della verità in cucina. Discorso simile per l’intolleranza al lattosio, che è semplicemente specchio di adattamenti evolutivi differenti in base alle opportunità alimentari dell’ambiente.
Più interessanti sono invece a mio avviso le discussioni sugli effetti sulla salute umana che ci portano, per la terza volta, a scoprire che in realtà il problema possa nascere solo in conseguenza di un consumo eccessivo. Ancora una volta, probabilmente, è quindi la dose che fa il veleno, anche se si tratta di un campo in cui la ricerca è tuttora in corso e peraltro anche piuttosto vivace, quindi non è detto che in futuro la posizione più condivisa dai ricercatori non possa cambiare rispetto ad oggi.
Purtroppo con il latte, forse ancora più che con altri alimenti, tendiamo a considerarlo tutto uguale, quando invece la sua qualità può fare una differenza enorme in termini di salute: un allevamento rispettoso del benessere animale e che gli consenta il consumo di erba fresca per la maggior parte dell’anno si riflette non solo sulla giustificazione dietro cui mi nascondo al momento della colazione, ma anche in un alimento che diventa nutrizionalmente di qualità sensibilmente maggiore, sia perché più ricco di sostanze positive come gli omega-3, sia perché impoverito di sostanze che preferiremmo evitare: antibiotici, certamente, ma anche ormoni dello stress prodotti dall’animale allevato in condizioni inadeguate alla sua dignità di essere vivente.
Relativamente alla preoccupazione che il latte possa favorire l’insorgenza di tumori, ad oggi la ricerca è ancora in corso e le ipotesi più solide riguardano un possibile aumento del rischio di tumore alla prostata, ma allo stesso tempo un potenziale effetto di protezione dal tumore al colon.
Concludiamo infine con il suo legame con l’osteoporosi, perché nonostante il contenuto in calcio esistono evidenze che suggeriscono un possibile effetto deleterio sulle ossa a causa del suo effetto acidificante; su questi argomenti sentirai tutto e il contrario di tutto, ma il latte non sembra realmente acidificante e in ogni caso sono d’accordo con Biasci quando sottolinea come in realtà l’osteoporosi sia una patologia multifattoriale in cui è soprattutto lo stile di vita a determinare il risultato netto finale e gli studi che abbiamo oggi a disposizione non consentono di trarre una conclusione certa sul contributo del latte isolato da altri fattori come attività fisica e vitamina D.
Il latte NON è certamente un alimento indispensabile, benché possa essere utile come fonte di proteine e calcio, e sia anche talvolta correlato a buoni outcome di salute, ma:
- se non lo consumi NON c’è motivo per iniziare, a patto di avere una dieta sufficientemente sana e varia che ti garantisca un buon apporto di calcio, penso ad esempio a cavolo nero, rucola, basilico, legumi, pesce, semi, … ma la stessa acqua potabile ne è spesso una fonte rilevante;
- se lo consumi in quantità ragionevoli, che le nostre linee guida quantificano in una tazza al giorno tra latte e yogurt, non c’è ragione di smettere, almeno ad oggi;
- se ne consumassi di più potrebbe invece forse valere la pena di limitarlo, sia per il suo contenuto in grassi saturi, sia per altre sostanze sospettate di avere un ruolo nella patogenesi di alcune malattie, come gli aminoacidi ramificati.
Conclusione
Quello che vorrei averti trasmesso con questo articolo è l’idea che l’utilizzo del termine veleno sia forse eccessivo e ingiustificato, anche in un’ottica educativa: è sicuramente vero che dare delle regole chiare (“Evita a tutti i costi i veleni bianchi”) sia di facile comprensione e immediata applicazione per chi cerca di migliorare la propria dieta, ma questo si scontra forse con il concetto di sostenibilità del regime alimentare scelto. È inutile essere dei santi per 6 mesi e poi tornare peccatori incalliti, molto più proficuo è invece essere buoni praticanti per tutta la vita, concedendosi occasionali e magari programmati sgarri, che se programmati non sono nemmeno sgarri.
In nutrizione è difficile individuare alimenti da evitare sempre e comunque e alimenti indispensabili, molto più spesso si tratta di valutarli nel contesto di:
- dose,
- sostituzione (se tolgo un alimento, con cosa vado a sostituirlo? Se inserisco un alimento, di cosa prende il posto?)
- bilanciamento generale della propria dieta, sia in termini di micro e macronutrienti, sia in termini energetici, ovvero di calorie.
- e ovviamente stile di vita nel senso più ampio possibile del termine,
senza contare che le considerazioni fatte per la popolazione generale potrebbero essere diverse sul singolo individuo, ad esempio:
- È tassativo per tutti limitare il consumo di sale, ma se soffri di pressione alta o di altri fattori di rischio cardiovascolari sarà ancora più importante,
- È consigliabile per tutti limitare il consumo di zuccheri aggiunti e farine raffinate, ma il paziente diabetico dovrà sentire questa indicazione come necessariamente più pressante,
- I derivati animali sono ricchi di grassi saturi e per questo dovrebbero essere limitati a favore di fonti più sane, ma per un paziente che soffra di colesterolo alto o Lipoproteina(a) aumentata dovrà stare ancora più attento.
I veleni bianchi non esistono,
Autore
Dr. Roberto Gindro
laureato in Farmacia, PhD.Laurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.