Introduzione
Il Ginkgo Biloba è una delle piante più antiche presenti al mondo, tanto da meritarsi il nome di “fossile vivente”: esistono prove della sua esistenza risalenti fino a 200 milioni di anni fa, con ritrovamenti in Europa e Nord America antecedenti all’era glaciale. La sua origine, tuttavia, pare sia in Cina, nella regione montuosa dello Zhejiang: in effetti la conoscenza di questa pianta è rimasta confinata in Cina per secoli, fino a quando nel 1690 il botanico Engelbert Kaempfer la introdusse in Europa e il botanico Linneo la classificò nel 1771, descrivendone per la prima volta le caratteristiche [1,2].
Cosa contiene
Le parti medicinali utilizzate della pianta sono le foglie, fresche o essiccate, e i semi, che contengono numerosi componenti bioattivi:
- Glicosidi flavonoidi (derivati di quercetina e campferolo)
- Terpeni trilattoni (ginkgolidi A,B,C, bilobalide)
- Biflavoni
- Proantocianidine
- Alchilfenoli e acidi fenolici
I primi due sono considerati le componenti di maggiore importanza e i responsabili dell’azione farmacologica, tant’è che gli estratti di Ginkgo in commercio sono standardizzati in base al loro contenuto [1,2].
A cosa serve
Tradizionalmente nella medicina cinese il Ginkgo veniva utilizzato a scopo terapeutico per diverse patologie, dalle problematiche legate all’invecchiamento all’asma, alle bronchiti, ai problemi renali e vescicali.
Attualmente le indicazioni riguardano prevalentemente il trattamento della demenza senile e dei problemi di memoria e concentrazione, i problemi della vista (degenerazione maculare senile), la claudicatio intermittens, il tinnito [6].
Tuttavia, gli studi scientifici in merito alle potenzialità terapeutiche di questa pianta sono molto recenti (si parla degli ultimi decenni) e ancora poco conclusivi – e in taluni casi addirittura contraddittori – sui risultati generali.
In base agli esperimenti condotti in vitro e in vivo su modelli animali, il Ginkgo sembrerebbe possedere proprietà:
- Antiossidanti
- Antinfiammatorie
- Cardioprotettive
- Neuroprotettive
- Immunostimolanti
- Antiaterosclerotiche
- Antivirali
- Antiasma
Dal punto di vista della ricerca clinica, ossia degli studi condotti sull’uomo, i risultati sono, come anticipato all’inizio del paragrafo, ancora poco certi e definitivi, sebbene, in alcuni casi, molto interessanti e promettenti.
Nei paragrafi successivi ci soffermeremo sui risultati più incoraggianti ottenuti negli studi condotti sull’uomo.
Demenza senile, memoria e concentrazione
Una parte importante degli studi condotti finora sulle proprietà del Ginkgo Biloba riguarda l’azione di “attivatore cognitivo”, rivolta sia a persone con problemi di memoria e concentrazione o con patologie più serie, come l’Alzheimer, sia a soggetti sani per aumentarne le performance cognitive. In generale, in base a quanto riportato da molteplici studi condotti sull’argomento, il Ginko sembrerebbe in grado di migliorare i problemi cognitivi in persone con disfunzioni lievi o moderate, così come in pazienti con sintomi iniziali di demenza – se usato a lungo termine, per almeno 6 mesi. Per quanto riguarda invece i soggetti giovani e sani, l’effetto di sostegno nei confronti di memoria e concentrazione sembrerebbe limitato all’utilizzo a breve termine; non ci sono invece prove, ad oggi, che l’utilizzo a lungo termine abbia effetto protettivo sull’eventuale sviluppo di demenza in età avanzata [1].
Una revisione sistematica pubblicata nel 2013 riguardante 8 studi randomizzati controllati, condotti su pazienti con problemi di demenza, ha evidenziato un miglioramento significativo, seppur modesto, sulle funzioni cognitive e sulla capacità di svolgere le azioni quotidiane. L’effetto dell’estratto di Ginkgo (EGb 761®) sarebbe paragonabile, secondo due degli otto studi presi in esame, a quello del donepezil – un farmaco utilizzato per contrastare la demenza medio-lieve [4].
In una revisione più recente, del 2018, riguardante 4 studi per un totale di 1628 pazienti coinvolti, l’estratto di Ginkgo biloba (EGb 761®, 240 mg al giorno) è stato confrontato con placebo per 22-24 settimane di trattamento: in tutti gli studi il Ginkgo si è dimostrato superiore al placebo nel migliorare i sintomi comportamentali e psicologici legati alla demenza (da lieve a moderata), migliorando anche la qualità di vita dei caregivers che assistevano i pazienti [5].
Come anticipato all’inizio del paragrafo, invece, non ci sono prove che l’integrazione con Ginkgo biloba in soggetti sani abbia effetto potenziante su memoria e concentrazione (se non a brevissimo termine e in casi limitati), né tanto meno effetto preventivo sul possibile sviluppo di patologie cognitive, come evidenziato da una metanalisi pubblicata nel 2012 riguardante 10 studi randomizzati controllati [1,10].
In un comunicato del 2015, l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), sulla base delle indicazioni dell’HPMC americano (Comitato per lo studio dei medicinali di origine vegetale), ha riportato che “i medicinali a base di foglie di ginkgo contenenti l’estratto secco possono essere usati per rallentare il deficit cognitivo correlato all’età e per migliorare la qualità della vita dei soggetti adulti affetti da una forma lieve di demenza” [3].
Morbo di Alzheimer
Nell’ambito delle malattie neurodegenerative e nelle forme di demenza senile, un’attenzione particolare è stata rivolta alla malattia di Alzheimer e al possibile effetto dell’integrazione con Ginkgo Biloba, sia come supporto terapeutico che come metodo preventivo. In generale, i risultati non sono conclusivi: il grande limite degli studi condotti finora è l’estrema eterogeneità, sia in termini di criteri di inclusione dei pazienti, che di tipo e durata della terapia, che di scelta dei parametri cognitivi da valutare.
Un revisione della Cochrane del 2009, per citare un esempio, condotta su 9 studi per un totale di 925 pazienti con diagnosi di Alzheimer, non ha trovato benefici significativi a seguito dell’integrazione con Ginkgo (EGb 761®) [7]; per contro, un successivo lavoro di revisione pubblicato nel 2010, ha rilevato un significativo miglioramento nelle capacità cognitive e nel tono dell’umore nei pazienti con Alzheimer trattati con lo stesso estratto (EGb 761®), alla dose di 240 mg al giorno, per almeno 16 settimane – senza effetti collaterali indesiderati degni di nota [8].
In un recente lavoro di revisione pubblicato nel 2016, sono stati presi in esame 21 studi per un totale di 2608 pazienti con diagnosi di Alzheimer: l’integrazione di Ginkgo biloba alla terapia tradizionale ha mostrato un effetto superiore sulle performance cognitive, dopo 24 settimane di trattamento, rispetto alla terapia convenzionale da sola. Anche in questo caso, tuttavia, gli autori sottolineano la necessità di studi più approfonditi e condotti in modo più omogeneo e rigoroso, per ottenere informazioni affidabili sull’efficacia e la sicurezza dell’integrazione con Ginkgo biloba nei pazienti affetti da decadimento cognitivo – con o senza diagnosi di Alzheimer [9].
Non ci sono, invece, evidenze sul fatto che l’assunzione di Ginkgo biloba possa agire in senso preventivo sullo sviluppo della malattia di Alzheimer, come dimostra, tra gli altri, uno studio pubblicato su Lancet Neurology, condotto in doppio cieco versus placebo su soggetti di età superiore a 70 anni, che lamentavano iniziali problemi di memoria: dopo 5 anni di osservazione, non ci sono stati riscontri sul fatto che il Ginko potesse in qualche modo evitare o ridurre il rischio di sviluppo della patologia [1,11].
Per quanto riguarda il confronto con i farmaci tradizionali per il trattamento dell’Alzheimer – tipicamente gli inibitori delle colinesterasi, quali donepezil, rivastigmina, metrifonato – diversi studi mostrano pari efficacia con il Ginkgo biloba, in caso di demenza da lieve a moderata, ed effetto sinergico quando combinati [12,13].
La Commissione E tedesca (organo di riferimento per preparati fitoterapici della tradizione occidentale) ha approvato l’utilizzo del Ginkgo biloba per il trattamento delle forme di demenza, comprese quella vascolare dovuta a un diminuito apporto di sangue al cervello, in genere a seguito di ictus), quella degenerativa primaria e le tipologie miste [14].
Claudicatio intermittens e sindrome di Reynaud
La claudicatio intermittens è un disturbo che si manifesta con difficoltà della deambulazione in modo intermittente (che di norma passa col riposo) e rappresenta una delle manifestazioni della vasculopatia periferica, ossia di una riduzione del flusso sanguigno ai muscoli degli arti inferiori – spesso in conseguenza di fenomeni aterosclerotici in atto.
La sindrome di Raynaud è una patologia di origine sconosciuta, caratterizzata da una contrazione eccessiva dei vasi sanguigni periferici (tipicamente a livello delle mani o dei piedi) in risposta al freddo o a fattori emotivi, che causa riduzione dell’apporto di sangue con conseguente pallore alle dita (fino alla cianosi), dolore, intorpidimento.
Per entrambe queste patologie non esistono farmaci specifici: la terapia è prevalentemente sintomatica e si basa sull’evitare il più possibile il freddo, nel caso della sindrome di Reynaud, e nell’attenzione a esercizio fisico e stile di vita nel caso della claudicatio (e, all’occorrenza, al ricorso di farmaci antiaggreganti).
Il Ginkgo biloba potrebbe rappresentare un valido supporto terapeutico in questi casi, in virtù del suo effetto positivo sulla circolazione sanguigna periferica e dell’azione antinfiammatoria e antiossidante, sebbene i risultati ottenuti siano ancora contraddittori [1,15-17].
La Commissione E tedesca ha approvato l’utilizzo del Ginkgo biloba per il trattamento della claudicatio intermittens [14]
Tinnito (acufeni), vertigini, problemi dell’udito
In virtù delle sue proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e migliorative della circolazione periferica e centrale, il Ginkgo è stato testato nella cura dei problemi dell’apparato uditivo con alcuni buoni risultati.
Una revisione sistematica del 2011 ha evidenziato un effetto superiore al placebo da parte di un particolare estratto standardizzato di foglie di Ginkgo biloba (EGb 761®) sia per il trattamento degli acufeni come disturbo primario, sia quando gli stessi erano concomitanti a declino cognitivo o sintomi di demenza [18,23]. Questi risultati appaiono particolarmente rilevanti se si tiene in considerazione il fatto che non esistono ad oggi cure efficaci per il trattamento degli acufeni: normalmente si ricorre a terapie sintomatiche con vasodilatatori, cortisonici o benzodiazepine, eventualmente associati a supporto psicologico, laddove si ritenga necessario.
Gli autori della suddetta revisione sottolineano come preparati diversi da quello standardizzato, usati in altri studi oggetto della revisione, non abbiano portato ai medesimi buoni risultati: questo, da un lato, potrebbe spiegare la variabilità dei riscontri ottenuti nelle ricerche condotte sinora e, dall’altro, sottolinea l’importanza della scelta preparato all’interno di uno studio, poiché una diversa concentrazione dei componenti attivi in esso contenuti (principalmente glicosidi flavonoidi e terpeni trilattoni) può inficiare in modo significativo il risultato finale, portando a conclusioni diametralmente opposte [18, 19].
Sono stati ottenuti alcuni risultati interessanti anche nel trattamento delle vertigini – un disturbo comune per il quale non esiste terapia farmacologica specifica – e della ipoacusia improvvisa idiopatica (ossia un tipo di sordità che insorge improvvisamente, in genere ad un solo orecchio, ed è di origine sconosciuta) con lo stesso estratto standardizzato EGb 761® di Ginko biloba [20-22].
La Commissione E tedesca ha approvato l’utilizzo del Ginkgo biloba per il trattamento dei disturbi dell’udito, quando di origine vascolare [14]
Degenerazione maculare senile, glaucoma e retinopatia
Risultati interessanti, anche se ancora a livello preliminare, sono stati ottenuti in caso di alcune patologie del sistema visivo. L’effetto positivo potrebbe essere dovuto a molteplici meccanismi, che coinvolgono le proprietà antinfiammatorie e antiossidanti del Ginkgo, la sua capacità di migliorare la circolazione a livello oculare e l’effetto protettivo nei confronti delle cellule gangliari della retina contro l’apoptosi (la morte cellulare programmata: fisiologicamente serve per eliminare le cellule vecchie e sostituirle con quelle nuove. Nel glaucoma, tuttavia, si è visto sperimentalmente che questo processo avviene in modo patologico, non controllato) [1].
Un recente lavoro di revisione ha sottolineato come, sebbene siano necessari ulteriori approfondimenti, l’estratto standardizzato di Ginkgo biloba EGB 761® può rappresentare un’opzione interessante nel caso di alcune patologie degenerative a carico della retina, in virtù delle sue capacità antiossidanti [24].
Buoni risultati sono stati ottenuti anche in alcuni studi sul glaucoma normotensivo (ossia senza aumento della pressione oculare), anche se condotti su un numero limitato di pazienti: in uno studio randomizzato controllato versus placebo, la somministrazione di Ginkgo biloba EGB 761® per 4 settimane ha portato a un aumento del flusso sanguigno oculare significativamente superiore rispetto al placebo [25].
Vitiligine
La vitiligine è un disturbo della pelle caratterizzata da perdita di melanociti e conseguente depigmentazione progressiva. In base ad alcuni studi preliminari, l’estratto di Ginkgo sarebbe in grado di arrestare in modo significativo la depigmentazione e di indurre addirittura, in alcuni casi, una ripigmentazione della pelle nelle zone già danneggiate.
Sebbene il meccanismo d’azione non sia noto, si suppone abbia a che fare con le proprietà antiossidanti del Ginkgo [26,27].
Un recente lavoro di revisione pubblicato nel 2019 ha sostanzialmente confermato i precedenti risultati preliminari, indicando di fatto il Ginkgo (estratto secco EGb 761®) come buon candidato per il trattamento di tale disturbo [28].
Sindrome premestruale
Un recente studio randomizzato controllato versus placebo su 85 partecipanti ha confermato i risultati di alcuni studi svolti in precedenza sulla capacità dell’estratto di Ginkgo di alleviare i disturbi sia fisici che psicologici caratteristici della sindrome premestruale, quando somministrato alla dose di 40 mg tre volte al giorno – dal 16mo giorno del ciclo fino al quinto giorno del ciclo successivo [29]. Sono necessari studi più approfonditi per meglio definire parametri quali dosaggio, modalità di assunzione e durata del trattamento, ma i risultati ottenuti sin qui sembrano promettenti.
Asma
Risultati interessanti sono stati ottenuti in un paio di studi clinici su pazienti asmatici: in base a queste ricerche, il Ginkgo sarebbe in grado di ridurre sensibilmente l’iperreattività polmonare e, in associazione col fluticasone (farmaco comunemente somministrato ai pazienti asmatici), ne potenzierebbe l’effetto in modo significativo, riducendo l’attività delle cellule infiammatorie (eosinofili e linfociti) [1,30].
Emicrania
In alcuni studi clinici cosiddetti “open-label”, ossia non in doppio cieco e senza confronto con placebo, sono state ottenute indicazioni interessanti circa la possibilità di utilizzare un estratto di Ginkgo in associazione con Coenzima Q10 e vitamina B2 per il trattamento dell’emicrania con e senza aura.
In uno studio condotto su 50 donne sofferenti di emicrania con aura, la somministrazione del preparato per 4 mesi ha portato a una riduzione degli episodi e dell’intensità del dolore. Stesso risultato in un altro studio analogo, condotto su 119 studenti sofferenti di emicrania: la somministrazione di Ginkgo, Coenzima Q10 e vitamina B per 3 mesi ha significativamente ridotto la frequenza degli episodi. Infine, stesso risultato, con contemporanea riduzione della terapia farmacologica, è stato ottenuto su 30 ragazzi di 11-15 anni, seguiti per 3 mesi e monitorati fino a 1 anno in uno studio italiano: trattamento ben tollerato e nessun episodio di regressione post-terapia [1, 31].
L’effetto di riduzione dell’emicrania pare sia dovuto al Ginkgolide B e alla sua azione antinfiammatoria e di inibizione dell’effetto eccitatorio del glutamato a livello del sistema nervoso centrale.
Dose
Il Ginkgo biloba si trova comunemente in commercio come foglie essiccate, per la preparazione di infusi, o come integratore alimentare, in forma di compresse o capsule.
A titolo informativo riportiamo che nella maggior parte degli studi pubblicati sinora, l’estratto più efficace sembra essere quello noto come EGb 761®, preparato a partire dalle foglie di Ginkgo essiccate, trattate con acetone 60% p/p, e standardizzato al 24% in glicosidi flavonoidi e al 6% in terpeni lattonici [1,3].
In generale, il dosaggio raccomandato risulta il seguente:
- Foglie essiccate per infusi e tisane: 9-10 g al giorno
- Estratto secco standardizzato (50:1): 120-240 mg al giorno, suddivisi in 2-3 dosi (40 mg di estratto corrispondono a circa 1,4-2,7 g di foglie essiccate)
- Estratto fluido (1:1): 0,5 mL tre volte al giorno
Più specificatamente e in base agli studi condotti per le diverse patologie:
- Asma: 40mg tre volte al giorno
- Demenza e problemi cognitivi: 120-240 mg al giorno di estratto secco standardizzato, divisi in 2-3 dosi
- Vertigini, claudicatio intermittens: 120-320 mg al giorno di estratto secco standardizzato, divisi in 2-3 dosi
- Sindrome di Raynaud: 240-360 mg al giorno di estratto secco standardizzato, divisi in 3 dosi
- Glaucoma: 120-160 mg al giorno di estratto secco standardizzato
- Sindrome premestruale: 80 mg due volte al dì, dal 16mo giorno di ciclo fino al quinto giorno del ciclo successivo
- Vitiligine: 120 mg al giorno di estratto secco standardizzato
Anche se alcuni studi riportano effetti già dopo 4-6 settimane di uso continuativo, in genere si raccomanda di proseguire almeno per 12 settimane per avere effetti significativi, specie in patologie croniche [1].
Effetti collaterali
In base agli studi pubblicati sinora, il Ginkgo ai dosaggi raccomandati risulta ben tollerato e privo di effetti collaterali indesiderati. Questi ultimi, quando presenti, riguardano essenzialmente
- Problemi gastrointestinali
- Cefalee
- Vertigini
[1]
Non essendoci dati sufficienti sull’utilizzo in gravidanza, in via precauzionale se ne sconsiglia l’assunzione, salvo diverso parere del medico curante.
Controindicazioni ed interazioni
Il Ginkgo può interagire con alcuni farmaci, primi fra tutti anticoagulanti ed antiaggreganti (fluidificanti del sangue); in pazienti che assumono questi farmaci, o con patologie che li espongano ad un aumentato rischio di sanguinamenti, si consiglia di evitarne l’assunzione.
Per la stessa ragione è consigliabile evitarne l’assunzione nelle due settimane che precedono un intervento chirurgico. [32]
Fonti e bibliografia
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Autore
Laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, con Dottorato di Ricerca in Scienza delle Sostanze Bioattive