Endometriosi: dolori e altri sintomi, cause, cura, intestino

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Cos’è l’endometriosi?

L’endometriosi è una malattia ancora poco conosciuta che colpisce le donne in età fertile, causando la crescita di tessuto uterino al di fuori dell’utero, in distretti come ovaie, tube di Falloppio ed anche intestino; si stima che solo in Italia ne siano interessate 3 milioni di donne.

L’utero è l’organo femminile che accoglie embrione e feto durante la gravidanza; l’endometriosi è una malattia in cui il tessuto che normalmente cresce all’interno dell’utero si trova a crescere anche in distretti diversi, come ad esempio ovaie, sulle tube di Falloppio, sulla vescica o su altri organi.

I sintomi principali dell’endometriosi comprendono

Molte donne non manifestano invece alcun sintomo e la malattia viene diagnosticata a seguito di indagini prescritte a causa di difficoltà nella ricerca di gravidanza.

La causa della malattia non è tuttora nota e la chirurgia, di solito laparoscopica, è attualmente l’unico modo per la formulazione di una diagnosi certa.

Uno dei principali problemi relativi all’endometriosi è purtroppo proprio la difficoltà di diagnosi: molto, troppo spesso, si giunge alla diagnosi corretta dopo innumerevoli approfondimenti e interminabili visite. I crescenti dolori associati al ciclo mestruale vengono spesso considerati fisiologici e per questo gli approfondimenti terapeutici vengono posticipati.

Non esiste alcuna cura definitiva, ma abbiamo a disposizione efficaci trattamenti che aiutano a gestire dolore e infertilità:

  • farmaci per il dolore,
  • trattamenti ormonali,
  • chirurgia.
Primo piano di una donna che si tocca la zona pelvica a causa di dolore

iStock.com/sasapanchenko

Ciclo mestruale

Per comprendere meglio il problema è però necessario fare un passo indietro per ricordare alcuni dei principi che sono alla base del ciclo mestruale: durante il ciclo il corpo della donna sessualmente matura fa aumentare le dimensioni dell’endometrio (la mucosa che riveste internamente l’utero) per accogliere l’ovulo in caso di fecondazione. Se non avviene fecondazione o se la gravidanza non procede per qualche motivo, l’utero si libera del rivestimento attraverso le mestruazioni, un meccanismo di pulizia che permette di eliminare i tessuti prodotti e non più necessari.

L’intero processo è finemente regolato dagli ormoni femminili, le cui quantità relative fungono da interruttori per le diverse fasi del processo:

  1. aumento delle dimensioni dell’endometrio,
  2. cambiamento del rivestimento in preparazione ad un’eventuale gravidanza,
  3. eliminazione dei tessuti e del sangue in eccesso non più necessario poiché non è avvenuta la fecondazione.

Ogni singola cellula dell’utero obbedisce quindi ai segnali ormonali modificando sé stessa, compresi gli impianti cellulari uterini che si trovano in altri distretti dell’organismo: se i tessuti all’interno dell’utero vengono eliminati attraverso il flusso mestruale, lo stesso non può accadere all’esterno dell’utero, provocando quindi ciclo dopo ciclo un continuo ingrossamento degli impianti ed un contemporaneo aumento del dolore.

Il risultato è un ristagno interno di sangue, con decomposizione del tessuto sfaldato a partire dalle lesioni, infiammazione delle aree circostanti e formazione di tessuto cicatriziale associati a comparsa di infiammazione e quindi dolore.

La risposta dell’organismo a questi danni tissutali è la cicatrizzazione, cioè la produzione di tessuto fibroso meno elastico e meno funzionale di quello originario. Spesso questo meccanismo di riparazione produce aderenze tra i diversi organi della cavità addominale, ostacolandone i movimenti e la corretta funzionalità.

Cause

Le cause dell’endometriosi sono ancora poco conosciute: alcuni fattori di rischio sembrano essere la giovane età e la famigliarità con la malattia (altri casi verificatisi in famiglia).

Una delle teorie più accreditate riconosce parte delle cause dell’endometriosi nelle mestruazioni retrograde, è infatti accertato che il flusso mestruale possa talvolta percorrere il percorso inverso a quello corretto, risalendo attraverso le tube e disperdendo quindi cellule uterine al di fuori dei consueti tessuti; qualcuno ipotizza che questo avvenga più o meno spesso in tutte le donne ma, solo nei soggetti predisposti, evolva in malattia.

Una seconda ipotesi prevede che le cellule responsabili vengano disperse in alcune regioni dell’organismo trasportate dai vasi linfatici e dal torrente circolatorio, mentre altri ricercatori ipotizzano un meccanismo autoimmune, caratterizzato quindi da un errore delle difese dell’organismo che si attivano verso i tessuti interessati dalla malattia.

Un’altra teoria suggerisce che alcune cellule della cavità pelvica possano trasformarsi in tessuto simil-endometriale attraverso un processo chiamato metaplasia celomatica. Questa teoria potrebbe spiegare i rari casi di endometriosi in donne che non hanno mai avuto mestruazioni o in sedi molto distanti dalla pelvi.

C’è infine chi ipotizza che alcune donne possiedano fin dalla nascita degli impianti di cellule uterine esternamente all’utero, o ancora che le cellule uterine possano aver raggiunto posizioni anomale attraverso il sistema circolatorio e linfatico.

L’attuale visione scientifica considera l’endometriosi come il risultato dell’interazione tra:

  • Predisposizione genetica
  • Alterazioni del sistema immunitario
  • Fattori ormonali
  • Influenze ambientali
  • Meccanismi infiammatori

Questa complessità spiega perché la malattia si manifesti in modi così diversi tra le pazienti e perché richieda approcci terapeutici personalizzati.

Fattori di rischio

  • Età: la malattia è di fatto limitata alle donne in età fertile: l’endometriosi pelvica colpisce tipicamente donne di 25-30 anni, mentre le forme extrapelviche si manifestano in donne di 35-40 anni.
  • Familiarità: poiché l’endometriosi mostra un evidente andamento familiare, potrebbe esistere una qualche forma di predisposizione genetica (il rischio aumenta di circa sei volte se madre, sorella o figlia hanno l’endometriosi).
  • Mestruazioni iniziate precocemente (menarca prima degli 11 anni).
  • Cicli mestruali corti (meno di 27 giorni).
  • Mestruazioni abbondanti e prolungate (oltre 7 giorni).
  • Nessun figlio.
  • Esposizioni ambientali durante lo sviluppo intrauterino; agenti chimici quali la diossina sono stati collegati allo sviluppo dell’endometriosi.

Fattori protettivi

Sintomi

I principali sintomi dell’endometriosi sono forti dolori addominali o pelvici, continui o discontinui, spesso associati al ciclo mestruale: è difficile valutare con esattezza la severità di un dolore fisiologico del ciclo, sicuramente in presenza di sintomi debilitanti e causa di assenza da scuola/lavoro potrebbe valere la pena approfondire il problema.

Il tessuto endometriale presente al di fuori dell’utero risponde alle stimolazioni ormonali dell’organismo come quello presente nella sede corretta, andando quindi incontro a proliferazione e successivo sanguinamento durante ogni ciclo mestruale: il gonfiore e soprattutto il sangue, impossibilitato ad essere espulso perché in sede addominale, causa infiammazione e dolore.

L’intensità del dolore non è in rapporto né all’estensione e/o alle dimensioni delle lesioni né alla gravità della malattia.

Ulteriori sintomi che possono essere segno di patologia sono:

Endometriosi intestinale

L’endometriosi può interessare anche altri organi addominali, come la vescica e l’intestino, in modo superficiale o più profondo; i sintomi sono in parte sovrapponibili alla sindrome del colon irritabile, ma possono andare incontro a variazioni d’intensità con il ciclo mestruale (peggiorando durante i giorni di flusso e in quelli immediatamente precedenti); possono inoltre comparire:

  • dolore alla defecazione,
  • sanguinamento rettale nei giorni di mestruazione.

Il trattamento è in genere ormonale, mentre l’opzione chirurgica è limitata ai casi più severi (rimuovendo il tessuto coinvolto od intere sezioni d’intestino nei pazienti con sintomi più debilitanti).

Per approfondire si segnala l’articolo dedicato.

Diagnosi e laparoscopia

La diagnosi dell’endometriosi rappresenta ancora oggi una sfida significativa in ambito clinico, principalmente per la varietà e l’aspecificità dei sintomi.

Purtroppo questo spesso comporta un ritardo diagnostico che può durare anni.

Un aspetto fondamentale della diagnosi moderna dell’endometriosi è l’approccio multidisciplinare. La complessità della malattia richiede spesso il coinvolgimento di diversi specialisti: ginecologi, radiologi, chirurghi, urologi e altri professionisti collaborano per garantire una valutazione completa e personalizzata.

È importante sottolineare che il percorso diagnostico dovrebbe essere personalizzato in base all’età della paziente, al desiderio di gravidanza, alla severità dei sintomi e alla sospetta estensione della malattia.

Visita medica

Il percorso diagnostico inizia tipicamente con un’accurata anamnesi, durante la quale il medico raccoglie informazioni dettagliate sui sintomi, la loro ciclicità e l’impatto sulla qualità della vita. Particolare attenzione viene posta alla storia familiare, dato il carattere ereditario della malattia, e alle caratteristiche del ciclo mestruale.

L’esame obiettivo ginecologico può fornire i primi indizi sulla presenza di endometriosi, specialmente nelle forme che coinvolgono il compartimento posteriore della pelvi o in presenza di noduli endometriosici palpabili.

Esami di imaging

L’ecografia transvaginale rappresenta oggi il primo strumento diagnostico strumentale. Questa indagine permette di identificare con elevata accuratezza le cisti endometriosiche ovariche (endometriomi) e, nelle mani di ecografisti esperti, anche le lesioni profonde che coinvolgono intestino, vescica o il compartimento posteriore. L’ecografia risulta particolarmente utile anche nel follow-up delle pazienti.

La risonanza magnetica con protocollo dedicato ha assunto un ruolo sempre più centrale nella diagnosi dell’endometriosi, specialmente nelle forme profonde e in quelle che coinvolgono organi extra-pelvici. Questo esame fornisce una “mappa” dettagliata delle lesioni, fondamentale per pianificare l’eventuale approccio chirurgico e per monitorare la progressione della malattia.

Esami del sangue

I marcatori biologici stanno acquisendo crescente importanza nel percorso diagnostico.

Oltre al tradizionale CA125, nuovi biomarcatori come HE4 e pannelli più complessi sono in fase di studio. Purtroppo, ad oggi, nessun marcatore ha tuttavia dimostrato una specificità e sensibilità sufficienti per essere utilizzato come strumento diagnostico isolato.

Laparoscopia

L’unico accertamento diagnostico che permette di stabilire con certezza il problema è la laparoscopia, un intervento effettuato in anestesia totale che permette di diagnosticare l’endometriosi, valutarne la gravità ed eventualmente intervenire per la risoluzione.

Seppure sia il gold standard diagnostico, in anni recenti il suo utilizzo si è notevolmente evoluto: non viene più considerata un passaggio obbligato nelle fasi iniziali della diagnosi, ma viene riservata a casi selezionati dove gli esami non invasivi lasciano dubbi diagnostici significativi, o quando si pianifica contestualmente un intervento terapeutico.

La tecnica laparoscopica, oltre a confermare la diagnosi, permette di valutare l’estensione della malattia e, se necessario, procedere immediatamente al trattamento delle lesioni.

La laparoscopia, di cui è possibile visionare filmati reali su YouTube, è una operazione chirurgica addominale effettuata esclusivamente attraverso piccole incisioni (da 0.5 cm a 1.5 cm) attraverso l’uso del laparoscopio, uno strumento che possiamo immaginare come un tubo rigido sottile dotato due canali ottici: un canale porta la luce all’interno, mentre l’altro trasmette all’esterno l’immagine degli organi addominali.

Nel caso dell’endometriosi, grazie alla pratica di tre o quattro piccoli fori,

  • uno a livello dell’ombelico,
  • uno a livello dell’attaccatura dei peli pubici
  • e uno o due laterali,

viene inserito uno strumento a fibre ottiche che permette al chirurgo di vedere, ingrandita sullo schermo di un monitor, la cavità peritoneale. Per poter lavorare meglio, è necessario che sia insufflata dell’anidride carbonica, un gas che tiene disteso l’addome e permette una migliore esplorazione degli organi ed eventuale rimozione degli impianti.

Gravidanza e fertilità

L’endometriosi può influenzare significativamente la capacità riproduttiva, con circa il 30-40% delle donne affette che possono incontrare difficoltà nel concepimento. Tuttavia, è importante sottolineare che una diagnosi di endometriosi non equivale necessariamente a infertilità: molte donne con endometriosi riescono a concepire naturalmente o con supporto medico appropriato.

I meccanismi attraverso cui l’endometriosi può compromettere la fertilità sono complessi e spesso interconnessi. Le lesioni endometriosiche possono alterare l’anatomia pelvica, causando aderenze che disturbano il normale trasporto dell’ovocita e degli spermatozoi. A livello ovarico, la malattia può danneggiare il tessuto sano e ridurre la riserva ovarica. Infine l’ambiente infiammatorio creato dall’endometriosi può interferire con la qualità degli ovociti, la fertilizzazione e l’impianto dell’embrione.

Il supporto psicologico riveste un ruolo cruciale in questo percorso. Le difficoltà nel concepimento possono generare ansia e stress significativi, che a loro volta possono influenzare negativamente la fertilità. Un approccio che integri il supporto emotivo e psicologico può aiutare le coppie ad affrontare meglio questo periodo complesso.

Cosa fare?

La gestione della fertilità nelle donne con endometriosi richiede un approccio personalizzato che tiene conto di diversi fattori:

  • l’età della paziente,
  • la durata dell’infertilità,
  • la gravità della malattia,
  • la riserva ovarica
  • e la presenza di altri fattori di infertilità.

È fondamentale non perdere tempo prezioso: se si desidera una gravidanza, è consigliabile consultare uno specialista della fertilità già nelle fasi iniziali del percorso, eventualmente in centri specializzati, dove team multidisciplinari possono offrire un approccio integrato alla gestione della malattia e della fertilità.

Le opzioni terapeutiche sono diverse e vengono calibrate sulla situazione specifica. In alcuni casi, soprattutto nelle forme lievi e nelle donne giovani, può essere sufficiente cercare di concepire naturalmente per alcuni mesi, possibilmente dopo aver controllato i sintomi della malattia. La chirurgia può essere considerata in presenza di cisti endometriosiche di grandi dimensioni o endometriosi severa, ma la decisione deve essere attentamente ponderata poiché l’intervento stesso potrebbe potenzialmente ridurre la riserva ovarica.

Le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) rappresentano spesso una valida opzione. La fecondazione in vitro (FIVET) o l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI) possono offrire buone possibilità di successo. Il trattamento può essere preceduto da una terapia ormonale per controllare la malattia e ottimizzare le condizioni per la stimolazione ovarica.

Cosa succede durante la gravidanza?

Durante la gravidanza l’endometriosi tende a migliorare grazie alle modificazioni ormonali, Tuttavia le gestanti potrebbero avere un rischio leggermente aumentato di alcune complicanze ostetriche, come il parto pretermine o la placenta previa.

Pericoli

Sono stati segnalati casi di tumore ovarico (fino al 3%) o di aumento del rischio di contagio da HPV.

Cura e terapia

Il trattamento dell’endometriosi richiede un approccio personalizzato e spesso a lungo termine, poiché ad oggi non esiste una cura definitiva.

L’obiettivo della terapia è duplice:

  1. controllare i sintomi, in particolare il dolore,
  2. e gestire le possibili complicanze, come l’infertilità.

La pianificazione del trattamento dipende da diversi fattori:

  • l’età della paziente,
  • la severità dei sintomi,
  • l’estensione della malattia,
  • il desiderio di gravidanza
  • e la presenza di altre condizioni mediche.

Farmaci

La terapia ormonale rappresenta il cardine del trattamento medico. I contraccettivi ormonali combinati (pillola) sono spesso la prima scelta, specialmente nelle forme lievi-moderate. Possono essere assunti in modo ciclico o continuo, quest’ultimo particolarmente utile quando si vuole evitare il sanguinamento mestruale. L’efficacia di questo approccio è legata alla loro capacità di ridurre l’infiammazione e limitare la crescita del tessuto endometriosico.

I progestinici rappresentano un’alternativa efficace, con preparati di nuova generazione come il dienogest che ha dimostrato un’efficacia specifica nel trattamento dell’endometriosi. Questi farmaci possono essere somministrati per via orale, attraverso dispositivi intrauterini (IUD o spirale ormonale) o impianti sottocutanei, offrendo diverse opzioni per adattarsi alle esigenze della paziente.

Per le forme più severe o resistenti ai trattamenti di prima linea, sono disponibili gli analoghi del GnRH e i più recenti antagonisti del GnRH. Questi farmaci inducono una temporanea menopausa farmacologica, efficace nel controllo dei sintomi ma utilizzabile solo per periodi limitati a causa degli effetti collaterali. L’aggiunta di una terapia ormonale “add-back” può aiutare a gestire gli effetti della carenza estrogenica.

In alcune pazienti è possibile valutare il ricorso agli inibitori dell’aromatasi, farmaci che riducono la quantità di estrogeni circolanti.

Il controllo del dolore può richiedere l’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), da utilizzare con attenzione e sotto controllo medico per evitare effetti collaterali gastrointestinali. In alcuni casi, possono essere necessari analgesici più potenti o approcci specifici per il dolore cronico.

Chirurgia

L’intervento chirurgico viene preso in considerazione quando la terapia medica non risulti sufficiente o in presenza di lesioni significative come endometriomi ovarici di grandi dimensioni o noduli endometriosici profondi. La chirurgia moderna privilegia l’approccio mini-invasivo laparoscopico o robot-assistito, che offre una migliore visualizzazione delle lesioni e una più rapida ripresa post-operatoria.

L’obiettivo dell’intervento è rimuovere il tessuto endometriosico visibile e ripristinare la normale anatomia pelvica, sciogliendo eventuali aderenze. La tecnica chirurgica deve essere particolarmente accurata e conservativa, soprattutto nelle pazienti che desiderano preservare la fertilità. L’asportazione di endometriomi ovarici richiede particolare attenzione per preservare il tessuto ovarico sano.

L’isterectomia con asportazione delle ovaie, un tempo considerata l’intervento risolutivo, viene oggi riservata a casi selezionati di pazienti che hanno completato il loro progetto riproduttivo e presentano sintomi severi non controllabili diversamente.

Approccio Integrato

Un aspetto sempre più importante del trattamento è l’approccio integrato, che può includere:

  • Supporto psicologico per gestire l’impatto emotivo della malattia
  • Fisioterapia del pavimento pelvico per il controllo del dolore
  • Tecniche di gestione dello stress come mindfulness o yoga
  • Modifiche dello stile di vita e dell’alimentazione

Monitoraggio e follow-up

Il trattamento dell’endometriosi richiede un monitoraggio regolare per valutare l’efficacia della terapia e individuare precocemente eventuali effetti collaterali o recidive. Il follow-up deve essere personalizzato e può includere:

  • Visite ginecologiche periodiche
  • Ecografie transvaginali
  • Valutazione dei marcatori di infiammazione
  • Monitoraggio degli effetti collaterali della terapia

La gestione dell’endometriosi è un processo dinamico che richiede frequenti rivalutazioni e possibili modifiche del piano terapeutico. Il coinvolgimento attivo della paziente nelle decisioni terapeutiche è fondamentale per garantire l’aderenza al trattamento e il miglior risultato possibile.

Dieta ed endometriosi

Recentemente è stato suggerito che una corretta alimentazione possa ridurre il rischio di sviluppo della malattia e l’entità dei sintomi, anche se in realtà ad oggi mancano ancora evidenze certe in proposito.

Si consiglia in ogni caso una dieta sana, plant-based (con abbondante consumo di frutta e verdura), mentre sono da ridurre:

  • carni rosse,
  • zuccheri semplici (compresi miele e fruttosio),
  • latticini (per la presenza di pesticidi agricoli ed ormoni somministrati all’animale).
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