Picchi glicemici: sintomi, cause e come evitarli

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Cosa sono i picchi glicemici?

Parlando di picchi glicemici ci si riferisce in genere ad aumenti rapidi e significativi dei livelli di glucosio nel sangue (glicemia), generalmente osservati dopo pasti contenenti carboidrati.

È tuttavia importante notare che NON esiste una definizione scientifica universalmente condivisa di “picco glicemico”, tanto che molto spesso viene citato a sproposito generando fraintendimenti e incomprensioni.

In ambito scientifico e clinico si ricorre più spesso a parametri meglio definiti come:

  1. Escursione glicemica postprandiale: Definita come la differenza tra il valore glicemico pre-pasto e il valore massimo raggiunto nelle 2-3 ore successive al pasto.
  2. Incremento glicemico massimo: Il valore più alto raggiunto dopo un pasto rispetto al valore basale.
  3. Area sotto la curva (AUC) della glicemia: Misura l’esposizione complessiva al glucosio nel tempo, piuttosto che concentrarsi solo sul valore di picco.

È tuttavia fondamentale ricordare che una certa variabilità glicemica è normale anche negli individui non diabetici.

Quando un picco glicemico è effettivamente preoccupante?

  1. Non esiste una definizione clinica chiara o consenso scientifico su cosa costituisca un “picco glicemico”, ma sono generalmente descritti come aumenti rapidi e significativi della glicemia dopo aver mangiato, in particolare dopo pasti ricchi di carboidrati ad alto indice glicemico.
  2. Da un punto di vista molto generale un aumento della glicemia a 180 mg/dL o superiore potrebbe essere considerato un picco che idealmente dovrebbe essere evitato, perché potrebbero essere suggestivi di una ridotta tolleranza al glucosio o resistenza all’insulina, soprattutto se si verificano regolarmente.
  3. Nelle persone naturalmente tolleranti al glucosio (giovani, magri, attivi), la glicemia raramente supera i 140-150 mg/dL dopo un pasto e modeste fluttuazioni della glicemia all’interno dell’intervallo normale (70-140 mg/dL) non sono considerate picchi preoccupanti.

Non è ad oggi chiaro se i picchi glicemici siano direttamente dannosi di per sé o se siano piuttosto indicatori di una salute metabolica non ottimale.

Cause

Tra le possibili cause di picchi glicemici aumentati o addirittura patologici e possibile annoverare:

  1. Resistenza all’insulina, che può essere causata da:
  2. Ridotta capacità del pancreas di produrre insulina, che può essere dovuta a:
  3. Ridotta risposta insulinica di prima fase, che può verificarsi in persone che seguono una dieta a basso contenuto di carboidrati e poi consumano improvvisamente un pasto ricco di carboidrati.
  4. Cambiamenti ormonali, come quelli che si verificano dopo la menopausa.
  5. Alcuni farmaci che possono causare resistenza all’insulina.

Spesso è una combinazione di questi fattori a causare i picchi glicemici, soprattutto in seguito al consumo di carboidrati ad altro indice glicemico (zuccheri a alimenti raffinati), ma il contesto individuale è importante: in molti casi i picchi glicemici sono preoccupanti per i possibili cambiamenti metabolici sottostanti e/o abitudini alimentari non ottimali, piuttosto che essere problematici di per sé.

Picchi glicemici frequenti e superiori ai 180 mg/dL potrebbero invece essere associati a un aumentato rischio di malattie croniche nel lungo termine.

Per approfondire:

Sintomi

Nella maggior parte dei casi i picchi glicemici non causano alcun sintomo.

Alcuni pazienti, dove la capacità metabolica potrebbe già essere compromessa, potrebbero tuttavia sperimentare un rapido calo della glicemia seguente al picco (ipoglicemia reattiva), che può causare sintomi come:

Per approfondire:

I picchi glicemici non ti fanno dimagrire?

Non esiste un vero e proprio legame tra picchi glicemici e difficoltà nel perdere peso, ma:

  1. I picchi glicemici sono spesso associati a una dieta ricca di carboidrati raffinati e cibi ultra-processati, che possono portare a un aumento di peso.
  2. La resistenza all’insulina, che può causare picchi glicemici, è spesso associata all’accumulo di grasso viscerale ed ectopico.

In altre parole è più corretto dire che gli eventuali picchi glicemici potrebbero essere segno di condizioni (interne ed esterne) che si oppongono alla perdita di peso, più che rappresentare essi stessi un ostacolo.

Migliorare la qualità della dieta, aumentare l’attività fisica, gestire lo stress e migliorare il sonno sono tutte azioni che potrebbero tradursi in benefici per la salute generale, una riduzione dei picchi glicemici e una maggior facilità nella diminuzione del peso.

Per approfondire: Cosa mangiare a colazione per non avere picchi glicemici?

I picchi glicemici fanno ingrassare?

Strettamente correlato a quanto appena visto, no, i picchi glicemici non fanno ingrassare, è sempre l’eccesso calorico a far aumentare di peso, ma allora da dove nasce l’equivoco?

Essenzialmente dall’osservazione che l‘insulina (che viene prodotta in maggiori quantità in seguito alla produzione del picco glicemico) promuove la lipogenesi, ovvero la conversione di glucosio in acidi grassi, che possono poi essere immagazzinati nel tessuto adiposo.

Sebbene questi siano meccanismi noti e dimostrati, è importante ricordare che:

  • in un soggetto sano e con dieta normocalorica la de novo lipogenesi è responsabile di una produzione trascurabile di grassi,
  • l’aumento di peso è in ultima analisi sempre causato dall’eccesso di calorie ingerite, a prescindere dalla forma chimica.

Come evitare i picchi glicemici?

Dieta low-carb o dieta equilibrata?

Se è vero che con una dieta a basso contenuto di carboidrati consente di prevenire a monte l’espressione di eventuali picchi, contrariamente all’opinione comune non consente una maggiore tolleranza a occasionali eccessi. Al contrario, l’organismo si adatta riducendo l’efficienza nella gestione dei carboidrati, portando a picchi glicemici più pronunciati in seguito all’assunzione di alimenti ricchi di zuccheri.

Questo fenomeno adattativo si manifesta rapidamente: pochi giorni di dieta low-carb sono sufficienti per alterare la capacità dell’organismo di metabolizzare efficacemente i carboidrati. Tale meccanismo è analogo al principio dell’allenamento sportivo: la regolarità nell’assunzione di un nutriente ne migliora il metabolismo.

Da un punto di vista pratico, un individuo sano abituato a un consumo equilibrato di carboidrati mostrerà generalmente un aumento più contenuto della glicemia in risposta a un’occasionale indulgenza alimentare.

È poi importante notare che diete eccessivamente ricche di grassi possono favorire l’insulino-resistenza, compromettendo ulteriormente la gestione dei carboidrati.

In conclusione, per ottimizzare il controllo glicemico, si consiglia un’alimentazione bilanciata che includa regolarmente fonti salutari di carboidrati, come cereali integrali e legumi, evitando eccessi calorici. Questo approccio permette all’organismo di mantenere un’efficiente capacità di gestione dei carboidrati.

In altre parole, quello che spesso si dimentica è che una dieta ragionevolmente ricca di carboidrati è stata associata a una MIGLIORE tolleranza al glucosio e a una RIDOTTA progressione verso il diabete.

E la dieta dell’indice glicemico?

È certamente vero che il consumo regolare di cibi ad alto indice glicemico, ovvero responsabili di un rilevante aumento della glicemia, è stato spesso associato a malattie cardiometaboliche, ma il fatto che il meccanismo sotteso sia semplicemente un maggior aumento della glicemia rimane tutto da dimostrare.

  • Siamo sicuri che la carenza dell’effetto prebiotico delle fibre conti meno?
  • Siamo sicuri che l’impoverimento in termini di micronutrienti conti meno?
  • Siamo sicuri che la probabile presenza di additivi e residui dei processi di lavorazione industriale contino meno?

Tutti gli alimenti naturalmente a basso indice glicemico sono considerati sani, ma lo sono solo perché hanno un basso indice glicemico o semplicemente questa è una delle loro caratteristiche?

La dieta dell’indice glicemico è sexy nella sua semplicità e ha dimostrato di funzionare per dimagrire, ma che funzioni grazie alla ridotta oscillazione glicemica rimane da dimostrare… potrebbe essere semplicemente un proxy che ci permette di scegliere alimenti sani.

Effetto secondo pasto

In termini di glicemia abbiamo già parlato dell’effetto alba, ma oggi vorrei parlarti del cosiddetto effetto secondo pasto, tanto semplice quanto potente.

L’impatto glicemico di un pasto è influenzato non solo dal suo contenuto, ma anche dalla composizione dei pasti precedenti, un fenomeno che si estende per diverse ore.

Un’alimentazione equilibrata, ricca di cereali integrali e legumi, può moderare la risposta glicemica dei pasti successivi, anche a distanza di 10-12 ore. Questo effetto si manifesta attraverso una serie di pasti: dalla cena alla colazione, dalla colazione al pranzo, e così via.

Il meccanismo sottostante non è ancora completamente chiarito, ma si ipotizza un ruolo significativo del microbiota intestinale e dei suoi metaboliti, come gli acidi grassi a catena corta.

È importante notare che la lavorazione eccessiva degli alimenti può attenuare questo effetto benefico. Gli studi suggeriscono che i cereali integrali e i legumi dovrebbero essere consumati preferibilmente nella loro forma originale o minimamente processata per massimizzare i benefici.

Questo non implica l’eliminazione totale di alimenti come pane e pasta. Un approccio alimentare equilibrato e ragionevole è generalmente sufficiente per individui sani. Per i soggetti diabetici, potrebbe essere consigliabile un maggiore consumo di cereali in chicco rispetto ai prodotti raffinati, al fine di ottimizzare il controllo glicemico.

In sintesi, la composizione dei pasti influenza la risposta glicemica non solo nell’immediato, ma anche nelle ore successive, sottolineando l’importanza di una dieta bilanciata e ricca di alimenti integrali per un migliore controllo metabolico.

Attività fisica

Che svolgere regolarmente attività fisica possa migliorare la sensibilità all’insulina e ridurre il rischio di diabete di tipo 2 è probabilmente noto, ma come influisce la singola sessione sulla glicemia delle ore successive?

L’impatto dell’attività fisica sulla glicemia presenta un profilo bifasico:

  1. Fase acuta post-esercizio: Immediatamente dopo un’intensa attività fisica, si osserva un aumento della glicemia postprandiale superiore rispetto a una condizione sedentaria. Questo fenomeno persiste per circa un’ora.
  2. Fase di sensibilizzazione all’insulina: Successivamente, si instaura un periodo di aumentata sensibilità all’insulina, che si protrae per circa 48-72 ore. Durante questa fase, a parità di apporto alimentare, si riscontrano incrementi glicemici più contenuti rispetto a uno stato di inattività.

Questo porta ad alcune importanti considerazioni:

  1. Oscillazioni glicemiche transitorie in un contesto di stile di vita sano non sono motivo di preoccupazione, data l’efficacia dei meccanismi omeostatici dell’organismo.
  2. L’attività fisica si conferma un potente modulatore metabolico. La durata dell’effetto benefico suggerisce l’opportunità di praticare esercizio con frequenza quotidiana o a giorni alterni per massimizzarne i benefici.
  3. Questi fenomeni riflettono la notevole plasticità metabolica dell’organismo umano. L’incremento della mobilizzazione e utilizzo del glucosio durante l’attività aerobica non solo non rappresenta un rischio, ma promuove un adattamento metabolico favorevole, migliorando l’efficienza nell’utilizzo del substrato energetico.

In conclusione, l’attività fisica regolare si conferma un elemento chiave nella gestione della glicemia e nella promozione della salute metabolica complessiva.

Fonti e bibliografia

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