Cos’è la villocentesi
La villocentesi è una tecnica di diagnosi prenatale per la scoperta di patologie cromosomiche, infettive o metaboliche; consiste nel prelievo dei villi coriali sotto guida ecografica. I villi coriali costituiscono la parte embrionale della placenta, sono ricchi di capillari, portano al feto ossigeno e nutrimento dal sangue materno e cedono alla madre anidride carbonica e sostanze di scarto del feto.
È un’indagine poco dolorosa, il prelievo viene eseguito ambulatorialmente e non necessita di anestesia né farmaci. Il rischio principale è quello di perdita del feto, che ad oggi si attesta intorno a 1-2 casi su ogni 100/200 villocentesi eseguite.
Nelle ore e nei giorni successivi all’esame possono comparire sintomi leggeri, quali un modesto sanguinamento genitale, crampi addominali, febbricola.

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A cosa serve
I cromosomi dei villi coriali sono gli stessi di quelli contenuti nelle cellule fetali perché ne condividono l’origine embrionale; la loro analisi consente quindi la diagnosi di malattie cromosomiche che affliggano il feto come
- sindrome di Down (trisomia 21),
- sindrome di Patau (trisomia 13),
- sindrome di Edwards (trisomia 18),
- altre malattie genetiche (sordità congenita, sindrome dell X fragile, fibrosi cistica,distrofia muscolare di Duchenne, emoglobinopatie, sindrome di Werdnig-Hoffmann, …).
Qualora fosse richiesto, la villocentesi offre anche la possibilità di stabilire la paternità del feto.
Quando è indicata
L’esecuzione dei test invasivi di diagnosi citogenetica è indicata in caso di:
- Figlio precedente con malattia cromosomica documentata
- Sospetto od evidenza ecografica di malformazione fetale e/o segni ecografici indicativi di una sindrome cromosomica
- Elevato rischio di malattia genetica emerso dai test non invasivi del primo trimestre
- Malattie genetiche dei genitori
Alla luce della stretta correlazione esistente tra età materna e malattie cromosomiche, in Italia gli esami più invasivi vengono in genere riservati ai casi di età materna superiore ai 35 anni, quando il rischio di complicazioni legate all’esame trova giustificazione in rapporto alla probabilità di anomalia cromosomica, ma è importante ricordare che la decisione finale di sottoporsi o meno a tale esame spetta sempre e soltanto alla gestante.
Quando si fa
La villocentesi viene idealmente praticata attorno alla X-XII settimana di amenorrea (più in pratica tra la decima e tredicesima settimana di gravidanza), ovvero qualche settimana prima dell’amniocentesi; prelievi eseguiti prima possono essere associati ad un aumentato rischio di aborti.
Quanto costa
Amniocentesi e villocentesi in Italia sono gratuite solo per le donne che, indipendentemente dalla loro età, mostrino un rischio elevato, rilevato attraverso il test combinato od in conseguenza di condizioni familiari. In alcune Regioni potrebbe inoltre essere offerto alle donne con 35 anni o più (compiuti alla data del prelievo) a prescindere dagli altri esami.
Se svolta privatamente il costo è ovviamente variabile in relazione alla struttura scelta, ma con un ordine di grandezza spesso compreso nella forbice tra € 1000 e € 1700.
Amniocentesi o villocentesi?
L’amniocentesi è un esame che consiste nel prelievo di cellule fetali disperse nel liquido amniotico che circonda il feto e si esegue tra la quindicesima e la diciottesima settimana di gravidanza.
La villocentesi ha il vantaggio di poter essere eseguita molto prima e di garantire una risposta in tempi più brevi, consentendo quando necessario di cercarne conferma con una successiva amniocentesi, ma secondo alcune ricerche potrebbe essere associata ad un rischio leggermente aumentato di aborto spontaneo.
Preparazione all’esame
Per la preparazione all’esame di solito non sono raccomandate particolari indicazioni, potrebbe essere semplicemente consigliato di trattenere qualche ora l’urina per favorire l’esecuzione della procedura grazie ad una migliore evidenza ecografica.
Esecuzione
La villocentesi prevede l’inserimento di un ago, attentamente guidato dal ginecologo che si avvale di immagini ecografiche raccolte in tempo reale, fino a raggiungere la placenta.
L’esame può essere condotto in due modi:
- trans-addominale, generalmente preferita (l’ago viene inserito attraverso l’addome)
- trans-cervicale (l’ago viene introdotto attraverso vagina e collo uterino).
La scelta è dettata dalla posizione di feto e placenta, ma in entrambi i casi l’obiettivo è raggiungere la placenta, da cui verranno prelevate alcune cellule su cui si condurranno poi in laboratorio gli esami genetici necessari.
Fa male?
In genere la villocentesi viene descritta più fastidiosa che dolorosa; in molti casi ci si avvale peraltro dell’applicazione di un anestetico locale in grado di ridurre il disagio al momento dell’introduzione dell’ago.
Quanto dura?
Il prelievo in sé richiede circa 10 minuti, la cui maggior parte è dedicata alla delicata ed attenta introduzione dell’ago dietro guida ecografica; considerando anche le fasi di preparazione e post-esame si raggiungono in genere circa 30 minuti, cui va sommato un certo periodo di osservazione.
Dopo l’esame
Una volta terminato l’esame è opportuno effettuare un’ecografia di controllo per valutare la vitalità del feto attraverso la rilevazione del battito cardiaco fetale, ma non è di solito richiesta l’assunzione di terapie antibiotiche o farmaci tocolitici per ridurre le contrazioni uterine. Se la mamma fosse di gruppo sanguigno con Rh negativo è raccomandata una profilassi con immunoglobuline anti D per prevenire la formazione di anticorpi diretti contro i globuli rossi del feto.
A seguito dell’esame è comune avvertire leggeri crampi addominali simili a quelli mestruali ed un leggero sanguinamento della durata di qualche ora.
Dopo la villocentesi è raccomandabile riposo per 24-48, in particolare evitando attività fisica intensa e rapporti sessuali.
Quando contattare il ginecologo
È opportuno contattare il medico qualora la paziente riferisse sintomi come forti dolori addominali, perdite di liquido o consistenti perdite di sangue dalla vagina, intense contrazioni uterine e febbre.
Rischi della villocentesi
Il rischio di aborto è strettamente correlato all’esperienza e alla capacità di chi effettua il prelievo, ma di solito si considera inferiore all’1%; si segnala anche la possibilità di infezioni del feto ed un lieve aumento del rischio di malformazioni agli arti quando l’esame venga condotto molto precocemente.
Un’altra possibile complicanza è un risultato falso positivo a casa di mosaicismo a livello della placenta, che rende purtroppo necessario un ulteriore prelievo invasivo, stavolta di liquido amniotico e a distanza di alcune settimane per poter confermare o smentire la diagnosi.
Quando arrivano i risultati
Il prelievo consente di effettuare l’esame cromosomico dopo 48 ore grazie alla preparazione diretta delle cellule del campione prelevato e l’esame colturale dopo almeno due settimane; inoltre il test dà la possibilità di effettuare anche l’esame del DNA utilizzando sonde specifiche per determinati geni e consente di individuare deficit enzimatici congeniti.
In caso di positività al test verrà effettuata una consulenza per mettere a corrente la coppia circa le implicazioni successive e per aiutare a valutare la decisione migliore da prendere tenendo conto che per la maggior parte delle malattie genetiche purtroppo non ci sono cure.
Un po’ di storia
La diagnosi prenatale si avvale spesso di atti invasivi, attraverso una serie di approcci che trovano le loro radici nel 1950, anno in cui sono state praticate le prime forme analisi del liquido amniotico volte alla diagnosi di eritroblastosi fetale, più spesso conosciuta come anemia emolitica del neonato, che può colpire un feto se di gruppo Rh positivo, ma la cui madre sia Rh negativa.
Nel 1952 la capacità di diagnosi nello stesso campione di liquido amniotico è stata estesa alla cromatina sessuale, permettendo di effettuare diagnosi di sesso in utero (distinguere tra maschietto e femminuccia), ma è solo dal 1960 che è iniziato lo studio delle malattie del tubo neurale (come la spina bifida) mediante la valutazione della alfa fetoproteina e due anni dopo sono iniziate le prime indagini sulle malattie enzimatiche familiari, nel 1966 sul cariotipo fetale.
A questo punto è necessario attendere circa 14 anni per la scoperta ed introduzione clinica delle tecniche di analisi molecolare, che hanno consentito di formulare diagnosi di malattie genetiche; nel decennio seguente queste tecniche hanno progressivamente raggiunto una notevole raffinatezza con l’introduzione della PCR (reazione a catena della polimerasi) e, attualmente, le malattie genetiche sia su base genetica che cromosomica diagnosticabili in utero sono più di 200.
Ad oggi, all’uso ormai consolidato delle tecniche di prelievo convenzionali quali amniocentesi, cordocentesi (funicolocentesi) e la villocentesi, si è aggiunta anche la prospettiva di prelievo e la diagnosi pre-impianto effettuata sugli ovociti e sull’embrione ai primi stadi.
Fonti e bibliografia
- Manuale Di Ostetricia E Ginecologia (A.Cardone, C.Balbi, N.Colacurci)
- Nurse24.it
Autore
Iscritta all'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Napoli n. 37187