Antinfiammatori, i pericoli che devi conoscere

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Introduzione

Gli antinfiammatori – e in particolare dei FANS (antinfiammatori non steroidei) – sono quei farmaci che assumiamo ogni qualvolta abbiamo per esempio mal di gola, mal di testa, mal di denti, mal di schiena, dolori articolari ecc. Parliamo di “male” e “dolore” perché molto spesso infiammazione e dolore vanno a braccetto, e i farmaci che fanno parte di questa categoria agiscono sia da antinfiammatori, che da antidolorifici che, in alcuni casi, anche da antipiretici.

I FANS sono i farmaci antidolorifici più comunemente prescritti a livello globale – e la loro efficacia nel trattamento acuto del dolore è ormai assodata [1,2,5].

Ma che cos’è esattamente un’infiammazione e cosa succede all’interno del nostro corpo quando si genera un processo infiammatorio?

Compresse di vari colori con accanto il cartello stradale di pericolo

Combinazione di:Par Roulex_45 — Travail personnel, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2688927 e Shutterstock/piggu

L’infiammazione

Iniziamo subito col dire che l’infiammazione è una risposta fisiologica, ossia del tutto normale e prevista dal corretto funzionamento del corpo, messa in atto ogni qualvolta si senta in qualche modo minacciato. In prima battuta, quindi, l’infiammazione è un meccanismo di difesa: il corpo crea condizioni inospitali per l’attecchimento per esempio di virus o batteri – nell’attesa che il sistema immunitario li rimuova – oppure crea le condizioni per una rapida riparazione di tessuti eventualmente danneggiati (pensiamo a una ferita, a una scottatura, a un’ustione, a una distorsione o qualsiasi trauma muscolare o articolare).

Attraverso l’infiammazione il corpo di fatto lancia un segnale di allarme, provoca una serie di cambiamenti (per esempio nel flusso sanguigno o nella permeabilità dei vasi sanguigni) e richiama una serie di sostanze – comprese le cellule del sistema immunitario – che hanno il compito di riparare il danno, qualsiasi esso sia.

Quindi, di fatto, l’infiammazione non è un evento di per sé negativo, proprio perché interviene in nostra difesa. Il problema insorge quando il corpo da solo non riesce a rimuovere la causa – o quando questa persiste nel tempo: in questo caso l’infiammazione da acuta/temporanea diventa cronica e dunque si trasforma da semplice sintomo – o segnale di allarme – in vera e propria patologia da trattare.

Anche quando è acuta, l’infiammazione si accompagna spesso a sintomi quali dolore o bruciore, difficili da sopportare – ecco che il ricorso agli antinfiammatori può avere un senso anche in questo caso.

Pensiamo a un mal di gola che ci impedisce persino di deglutire la saliva, a un trauma muscolare che non ci fa dormire di notte e così via.

I sintomi dell’infiammazione

I 4 sintomi caratteristici dell’infiammazione sono:

  • Rubor, ossia rossore. Spesso la zona infiammata appare arrossata e questo perché c’è un richiamo di sangue nella zona stessa – che è il veicolo con cui arrivano le sostanze chiamate in difesa di quel particolare distretto corporeo.
  • Calor, ossia sensazione di calore. Sempre in ragione dell’aumentato flusso ematico, la zona infiammata risulterà più calda rispetto a quelle circostanti (il caso più lampante è quello di una scottatura solare, ma succede anche in caso di infiammazione muscolo-tendinea o articolare). Nel calore rientra anche la febbre, che è anch’essa in prima battuta un meccanismo di difesa (sempre per la solita ragione: crea condizioni inospitali per l’attecchimento di microrganismi patogeni). Le cellule umane sopportano bene un temporaneo aumento di temperatura, anche fino ai 40°, mentre i microorganismi no. Facciamo inciso sul fatto che la febbre non andrebbe soffocata almeno fino ai 38-38.5?
  • Tumor, ossia gonfiore. Spesso la zona danneggiata appare tumefatta (pensiamo a una contusione, ma anche al caso di un’ustione con la formazione delle classiche “bolle” piene di liquido, o ancora alla comparsa di bolle quando sfreghiamo accidentalmente un’ortica). Il richiamo di liquidi, che fuoriescono dai vasi sanguigni, non è altro che uno dei meccanismi che il nostro corpo mette in atto per spegnere l’incendio, esattamente come fa l’acqua col fuoco.
  • Dolor: la parte infiammata ci fa male…questo è abbastanza intuitivo. Il dolore può essere dovuto al danno tissutale, per esempio, alla compressione dei tessuti da parte dei liquidi richiamati oppure al richiamo di alcuni mediatori , che provocano dolore.

Una delle conseguenze del processo infiammatorio in atto può essere la perdita temporanea di funzionalità dell’arto coinvolto (functio laesa), o per via del dolore acuto o per via del gonfiore che ostacola la mobilità.

Non necessariamente questi sintomi si presentano insieme e nella stessa entità: a volte solo uno o due sono presenti o quantomeno percepiti dalla persona.

L’infiammazione da un punto di vista biochimico

La risposta del corpo a uno stimolo infiammatorio dà il via ad una vera e propria serie di eventi concatenati fra loro che va sotto il nome di “cascata infiammatoria” e che vede la produzione di una serie di sostanze che provocano i sintomi appena visti (rossore, aumento di temperatura, ecc).

Cascata biochimica dell'infiammazione

Di Waglione – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=120553478

Il punto di partenza, la molecola che origina tutta la serie è l’acido arachidonico, un acido grasso omega-6, considerato semi-essenziale: quando sentiamo dire che un determinato amminoacido o una vitamina sono essenziali, significa che il corpo non è in grado di produrli da solo e quindi deve introdurli con l’alimentazione. Nel caso dell’acido arachidonico il corpo può fabbricarselo autonomamente a partire da un altro acido, l’acido linoleico (questo sì, è un acido grasso essenziale, da introdurre necessariamente con gli alimenti); in alternativa però può assumerlo anche con la dieta, in particolare con alimenti quali uova, carne, pesce o da fonti vegetali quali gli oli di semi. E in effetti l’acido arachidonico deve il suo nome al fatto di essere stato isolato per la prima volta dall’olio di arachidi.

L’acido arachidonico nel nostro corpo si trova prevalentemente all’interno della membrana che riveste le nostre cellule e che regola il passaggio delle sostanze dall’esterno all’interno della cellula e viceversa.

In presenza di un qualsiasi danno tissutale (ferita, ustione, puntura, infezione ecc), la membrana cellulare, attraverso l’azione di particolari enzimi, libera l’acido arachidonico, il quale a sua volta dà il via a quella famosa cascata infiammatoria – che è anche detta cascata dell’acido arachidonico

Pensate che i derivati di questa cascata e la loro azione nel corpo sono stati scoperti nel 1971 da un biochimico britannico, John Vane, e la scoperta è stata ritenuta talmente importante che gli è valsa il premio Nobel nel 1982 (insieme ad altri due biochimici svedesi).

L’acido arachidonico liberato dalla membrana cellulare diventa il substrato di due tipi di enzimi, le lipossigenasi e le ciclossigenasi: per azione dei primi si producono i Leucotrieni – che sono coinvolti nelle reazioni asmatiche e allergiche-di cui non ci occuperemo in questo video; per azione dei secondi si producono prostaglandine, prostacicline e trombossani.

Le prostaglandine sono coinvolte in numerosi processi fisiologici, non solo nell’infiammazione. Per esempio,

  • regolano il tono dei vasi sanguigni, provocando vasocostrizione o vasodilatazione, a seconda delle esigenze dell’organismo e allo scopo di mantenere l’omeostasi, ossia una condizione di equilibrio
  • allo stesso modo regolano sia la broncodilatazione che la broncocostrizione
  • regolano la funzionalità dei reni
  • hanno azione protettiva nei confronti della mucosa gastrica, regolando la produzione di muco e di bicarbonato (ne abbiamo parlato in modo approfondito nel video su antiacidi e gastroprotettori)

E sono solo alcuni dei numerosi processi in cui le prostaglandine sono coinvolte.

Quando invece vengono prodotte in seguito a uno stimolo infiammatorio, le prostaglandine provocano quelle reazioni che abbiamo visto in precedenza:

  • vasodilatazione e aumento della permeabilità dei vasi sanguigni (rossore, edema)
  • aumento della temperatura corporea (febbre)
  • aumento della percezione del dolore

I trombossani agiscono sulle piastrine, favorendone l’aggregazione – le piastrine sono coinvolte nella coagulazione del sangue e dunque nella riparazione delle ferite. Sono anche vasocostrittori.

Le prostacicline sono antagoniste dei trombossani: hanno azione antiaggregante piastrinica e agiscono da vasodilatatori.

Può sembrare strano che agiscano le une contro gli altri, ma in realtà va tutto nella direzione di quel famoso equilibrio cui tede sempre il nostro corpo, in ogni sua funzione. L’aggregazione piastrinica va bene per fermare un sanguinamento, ma a un certo punto deve cessare, altrimenti si va oltre la funzione fisiologica e si arriverebbe all’occlusione del vaso e alla compromissione del flusso sanguigno.

Dove e come agiscono i farmaci antinfiammatori (FANS)?

I farmaci antinfiammatori agiscono a vari livelli della cascata dell’acido arachidonico.

Una prima grande classificazione all’interno degli antinfiammatori riguarda la struttura di questi farmaci – e di conseguenza il loro bersaglio d’azione.

In questo video ci occuperemo dei cosiddetti FANS, gli antinfiammatori non steroidei – molti dei quali sono comuni farmaci da banco, liberamente acquistabili senza necessità di ricetta medica.

Esiste però un’altra categoria di farmaci ad azione antinfiammatoria, i corticosteroidi, ossia cortisone e suoi derivati, che invece richiedono prescrizione medica per poter essere utilizzati. I corticosteroidi agiscono più a monte rispetto ai FANS, bloccando l’enzima che libera l’acido arachidonico.

Gli antinfiammatori non steroidei, invece, agiscono sull’enzima che porta alla formazione di prostaglandine, prostacicline e trombossani, ossia la ciclossigenasi (COX).

Di ciclossigenasi ne esistono due tipi (in realtà sarebbero tre, ma della terza non si conosce ancora bene il meccanismo d’azione), le COX-1 e le COX-2.

  • Le prime portano alla produzione di quelle famose prostaglandine che intervengono nei normali processi fisiologici, compresa la protezione delle pareti dello stomaco
  • Le COX-2, invece, intervengono in caso di stimolo infiammatorio – e determinano la produzione dei mediatori dell’infiammazione.

Quindi, l’ideale sarebbe bloccare solo le COX-2. Il problema è che queste due forme son molto simili tra di loro e la maggior parte degli antinfiammatori non è in grado di distinguerle, quindi le blocca entrambe, interferendo così anche con le normali funzioni fisiologiche e non solo con l’infiammazione.

Gli effetti collaterali più comuni

L’effetto collaterale più comune degli antinfiammatori è l’irritazione a livello dello stomaco – che può essere inizialmente un semplice fastidio, ma può trasformarsi in qualcosa di più serio, se la terapia deve essere protratta nel tempo. In questi casi spesso si rende necessario l’utilizzo dei gastroprotettori.

Ci sono altri effetti collaterali che possono insorgere in seguito all’utilizzo degli antinfiammatori. Tra essi ricordiamo:

  • Inibizione dell’aggregazione piastrinica (con azione sovrapposta ad eventuali anticoagulanti, farmaci che fluidificano il sangue)
  • Problemi renali: a livello renale abbiamo visto che le prostaglandine regolano la funzionalità – e in particolare regolano il riassorbimento di sodio e acqua. Una compromissione di questa funzionalità può portare a squilibri elettrolitici e ipertensione arteriosa. Ecco perchè nelle persone che soffrono di pressione alta o affetti da insufficienza renale l’assunzione di FANS è sconsigliata – o quantomeno deve essere attentamente monitorata dal medico [2].
  • Tossicità epatica [4], poiché la maggior parte dei farmaci –antinfiammatori compresi– viene metabolizzata a livello epatico e questo alla lunga (parliamo ovviamente di assunzioni croniche) può provocare un sovraccarico per il fegato. Questo tipo di tossicità ha portato negli anni al ritiro dal mercato di alcuni antinfiammatori: un caso eclatante è quello della nimesulide, un principio attivo ad azione antinfiammatoria, analgesica e antipiretica, che, proprio per via della accertata tossicità epatica, in molti Paesi è stato ritirato dal commercio. In Italia è ancora disponibile, ma non più considerato tra quelli di prima scelta e comunque vendibile solo dietro presentazione di ricetta medica.
  • Problemi cardiovascolari [3,6]. È stato pubblicato nel 2016 sul BMJ (British Medical Journal) uno studio interessante condotto da diversi ricercatori europei – tra cui un gruppo di italiani – che ha evidenziato una pericolosa correlazione tra utilizzo continuativo di FANS e aumento del rischio di ricovero ospedaliero per insufficienza cardiaca.
    Una segnalazione in questo senso è arrivata anche dall’FDA, l’ente governativo americano che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, che già nel 2015 metteva in guardia sulla possibile correlazione tra FANS e aumento del rischio di infarto o ictus – rischio che cresce al prolungarsi della terapia, soprattutto a dosaggi elevati [7].

Segnaliamo, per completezza di informazione, che la FDA ha diramato nel 2020 una comunicazione in cui raccomanda di non assumere FANS durante il terzo trimestre di gravidanza – e in particolare oltre la 20ma settimana di gestazione – poiché potrebbe causare una diminuzione del liquido amniotico e quindi danni per il bambino [8].

Senza creare allarmismi, questi sono dati importanti di cui è opportuno tener conto, sempre nell’ottica di utilizzare qualsiasi tipo di farmaco in modo saggio e consapevole.

Teniamo presente che si stima, a livello globale, che gli eventi avversi dovuti all’assunzione di farmaci rendano conto del 10% dei ricoveri ospedalieri, soprattutto di persone anziane – e di questi ricoveri, il 30% riguarda l’assunzione di antinfiammatori non steroidei [9].

Qual è il migliore?

Gli antinfiammatori non steroidei sono forse la classe di farmaci più rappresentata in commercio: si differenziano per azione, dosaggio, forma farmaceutica (gocce, capsule, compresse, preparati a uso topico), via di somministrazione.

Scegliere un antinfiammatorio con azione locale (crema, gel, pomata; cerotti; colliri; ma anche spray orali e collutori, che non vengono comunque ingeriti se non in quantità minime) può essere molto vantaggioso in alcuni casi, perché garantisce un’azione mirata là dove c’è necessità, senza entrare in circolo- e quindi senza interagire per esempio con organi quali stomaco, fegato o reni.

La strada migliore per scegliere il prodotto più adatto al nostro problema resta come sempre quella di farsi consigliare dal medico o dal farmacista. Poi ognuno di noi, in base alla propria esperienza, ha imparato che il tal farmaco gli fa più effetto in caso di mal di testa, l’altro sembra più efficace per il mal gola, l’altro lo evita perché gli provoca bruciore di stomaco e così via. Questi farmaci condividono lo stesso meccanismo d’azione, quindi non dovrebbe esserci una differenza enorme tra l’uno e l’altro, ma sappiamo che esiste una certa variabilità nella risposta individuale, che fa sì che un farmaco sia più efficace su una persona e magari su un’altra meno.

Quando e come prenderli?

L’aspetto più importante è attenersi al dosaggio e assumere questi farmaci solo all’occorrenza.

Lo diciamo sempre e lo ripetiamo: i farmaci spesso curano il sintomo, ma se vogliamo che questo non si ripresenti, dobbiamo risalire alla causa e per quanto possibile rimuoverla. Ora, se la causa è un dente cariato, sappiamo benissimo cosa fare, se invece è un mal di testa ricorrente allora la situazione si complica: magari dobbiamo sentire il parere di diversi specialisti prima di capirne l’origine, ma ne vale comunque la pena perché, di nuovo, il problema non è l’uso sporadico, per il quale probabilmente non si manifestano nemmeno gli effetti collaterali, ma è l’uso cronico oppure ricorrente nel tempo, che inevitabilmente finisce con il creare squilibri in distretti del corpo che magari non erano interessati dal disturbo primario ma si ritrovano coinvolti (l’apparato gastrointestinale è il caso più frequente ma non certamente l’unico).

Ci sono casi in cui l’assunzione cronica non è evitabile (pensiamo a malattie come l’artrite reumatoide, osteoartrosi, malattie reumatiche; alla cardioaspirina come antiaggregante piastrinico) però nell’uso comune non abituiamoci a ricorrere con leggerezza ai farmaci – anche a quelli da banco che, ormai lo sappiamo, non sono comunque acqua fresca, né tantomeno privi di effetti collaterali.

Fonti e bibliografia

  1. Rivista Società Italiana di Medicina Generale
    FANS nel trattamento del dolore muscolo-scheletrico acuto e cronico: qualcosa sta cambiando
    G. Gandolini, M. Longhi
  2. Antiinflamm Antiallergy Agents Med Chem. 2012;11(1):52-64.
    Clinical pharmacology of non-steroidal anti-inflammatory drugs: a review
    S Bacchi, P Palumbo, A Sponta, M F Coppolino
  3. Annu Rev Pharmacol Toxicol. 2009;49:265-90.
    The COXIB experience: a look in the rearview mirror
    Lawrence J Marnett
  4. Expert Opin Drug Metab Toxicol. 2011 Jul;7(7):817-28.
    Assessment of nonsteroidal anti-inflammatory drug-induced hepatotoxicity
    José Ag Agúndez, María Isabel Lucena, Carmen Martínez, Raúl J Andrade, Miguel Blanca, Pedro Ayuso, Elena García-Martín
  5. Biochem Pharmacol. 2020 Oct;180:114147.
    Non-steroidal anti-inflammatory drugs (NSAIDs) and organ damage: A current perspective
    Samik Bindu, Somnath Mazumder, Uday Bandyopadhyay
  6. BMJ. 2016 Sep 28;354:i4857.
    Non-steroidal anti-inflammatory drugs and risk of heart failure in four European countries: nested case-control study
    Andrea Arfè, Lorenza Scotti et al.
  7. FDA Drug Safety Communication: FDA strengthens warning that non-aspirin nonsteroidal anti-inflammatory drugs (NSAIDs) can cause heart attacks or strokes
  8. FDA recommends avoiding use of NSAIDs in pregnancy at 20 weeks or later because they can result in low amniotic fluid
  9. Br J Gen Pract. 2016 Apr; 66(645): 172–173.
    The dangers of NSAIDs: look both ways
    Abigail Davis, John Robson
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