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INR, PT e APTT: significato e differenze

  • Il tempo di protrombina (PT) è un esame del sangue che misura il tempo necessario per la coagulazione della parte liquida (plasma) del sangue; in particolare viene calcolato valutando i secondi necessari al campione di sangue per formare un coagulo in seguito all’aggiunta di uno specifico reagente. Da questo valore è possibile calcolare come misura derivata l’lNR.
  • Anche il tempo di tromboplastina parziale (PTT), più spesso indicato come test tromboplastina parziale attivata (APTT), è un test che valuta la capacità di un soggetto di formare coaguli di sangue in modo corretto.

Entrambi i test misurano il tempo necessario (in secondi) alla formazione del coagualo dopo l’aggiunta del/dei reagenti, quindi

  • valori superiori alla norma indicano un allungamento dei tempi, con possibile rischio di emorragie,
  • valori inferiori alla norma indicano un’eccessiva rapidità e facilità di coagulazione, con possibile rischio di formazione di trombi.

La cascata della coagulazione

Ricostruzione grafica della formazione di coaguli

iStock.com/Dr_Microbe

Quando l’organismo si trova di fronte alla necessità di formare un coagulo, per esempio a seguito di una ferita, attiva una complessa serie di reazioni successive che hanno come risultato finale la la coagulazione del sangue. Eventuali disturbi possono quindi interessare fasi diverse di questa cascata di reazioni e questi due esami del sangue consentono di distinguere e misurare tempi e modi di due diverse fasi della coagulazione:

  • l’APTT è utilizzato per la valutazione della via intrinseca della coagulazione e della via di coagulazione comune ( che riguarda i fattori XII, XI, IX, VIII, X, V, II (protrombina), I (fibrinogeno), precallicreina (PK) e il chininogeno ad alto peso molecolare (HK));
  • il test PT valuta la via estrinseca e comune della coagulazione (fattori della coagulazione VII, X, V, II e I).

I due esami permettono quindi di misurare difetti e disturbi differenti.

Cos’è l’INR?

L’INR è un dato di laboratorio che permette di valutare il tempo di protrombina (PT), ossia il periodo necessario affinché il sangue formi un coagulo.

La necessità di sviluppare questo nuovo indice nasce dall’osservazione dall’estrema variabilità dei valori forniti dai diversi laboratori riguardanti il tempo di protrombina, che rende impossibile per esempio confrontare valori ottenuti con strumenti differenti; nel 1983 l’OMS ha quindi sviluppato e raccomandato il passaggio all’International Normalized Ratio (INR).

Il valore dell’INR è calcolato come rapporto tra il tempo di protrombina del paziente (PT) e il tempo di protrombina di un gruppo di controllo, che tiene conto della variabilità dei risultati ottenuti utilizzando diversi sistemi commerciali nel calcolo del valore finale, che rappresenta un indice numerico indipendente dallo strumento e dal reagente utilizzato

L’INR viene utilizzato soprattutto nei pazienti che assumono farmaci anticoagulanti (tipicamente  antagonisti della vitamina K, come Warfarin® o Sintrom®), per disturbi come:

La terapia ha l’obiettivo di rendere il sangue più fluido e ridurre al minimo il rischio di formazione dei trombi (coaguli di sangue che ostruiscono il flusso sanguigno).

Si noti che la maggior parte dei laboratori riporta sia i valori del PT che quelli dell’INR quando viene richiesto l’esame del PT.

Valori normali

Per le ragioni spiegate nel paragrafo precedente riporteremo di seguito esclusivamente i valori di riferimento dell’INR, rimandando al proprio referto per la valutazione del range di normalità di PT e aPTT.

L’aspetto più importante da capire riguardo alla valutazione dell’INR è che maggiore è il valore, più il sangue è fluido.

  • Nelle persone sane il valore di INR è sufficiente che sia inferiore o uguale a 1.1 (0.9-1.1),
  • nei pazienti che assumono anticoagulanti è necessario che il valore sia più alto,
    • tipicamente compreso tra un intervallo tra 2.0 e 3.0,
    • o ancora superiore nei pazienti con valvola cardiaca meccanica, in cui è necessario rilevare valori compresi tra 2.5 e 3.5.

Quando viene richiesto l’esame

Tipicamente l’esame viene richiesto ai pazienti in TAO (terapia anticoagulante), ma esistono alcune altre indicazioni in cui può essere utile lo studio del PT:

  • diatesi emorragica (tendenza al sanguinamento) in pazienti con carenza nota dei fattori della coagulazione (fibrinogeno e fattori II, V, VII o X), che può essere suggerita da un’eccessiva tendenza di sanguinamento (sangue dal naso, difficoltà di coagulazione di ferite accidentali, sanguinamento gengivale, …),
  • formazione di trombi nelle vene o nelle arterie,
  • coagulazione intravascolare disseminata (CID),
  • pazienti con patologie del fegato allo stadio terminale.

Interpretazione

Pazienti in terapia anticoagulante (TAO)

Nei pazienti che assumono anticoagulanti è quindi necessario un regolare monitoraggio, per evitare i gravi rischi legati ad un valore troppo alto oppure troppo basso, le cui conseguenze possono essere le seguenti:

  • valori inferiori a 2: terapia non sufficiente e rischio aumentato di tromboembolia, con migrazione dei coaguli di sangue in altri distretti (embolia polmonare).
  • valori superiori a 4: dosaggio eccessivo e rischio aumentato di sanguinamenti che possono manifestarsi in forma di:

Altri pazienti

Per i pazienti a cui viene prescritto l’esame a seguito di sintomi suggestivi di disturbi della coagulazione (o in presenza di malattie diagnosticate in precedenza) viene in genere valutato il valore del PT, il cui intervallo di riferimento dipende come spiegato in precedenza dal metodo usato.

Il risultato del PT a scopo diagnostico richiede in genere l’esecuzione in contemporanea dell’aPTT:

Fonte tabella: LabTestsOnLine
PT PTT Possibile interpretazione
Alto Normale Patologie del fegato, carenze di vitamina K, alterazione o carenza del fattore VII, coagulazione intravascolare disseminata cronica (CID), terapia con farmaci anticoagulanti ad azione anti-vitamina K (ad esempio warfarin)

 

Normale Alto Diminuzione o carenza dei fattori VIII, IX, XI o XII, malattia di von Willebrand (tipo grave), presenza di lupus anticoagulant, presenza di anticorpi diretti contro specifici fattori della coagulazione (ad esempio contro il fattore VIII)

 

Alto Alto Decremento o carenza dei fattori I (fibrinogeno), II (protrombina), V o X, patologie epatiche gravi, coagulazione intravascolare disseminata (CID) acuta

 

Normale Normale o moderatamente alto Condizione tipica di alcuni soggetti sani, ma potrebbe esserci anche una modesta carenza di un fattore o una forma lieve di malattia di von Willebrand.

Quanto spesso si misura l’INR?

All’inizio della terapia con anticoagulanti il monitoraggio dell’INR avviene su base giornaliera, fino al raggiungimento del valore target per almeno due giorni consecutivi.

Viene quindi analizzato ogni 2-3 giorni nelle successive settimane fino a quando i valori non si siano stabilizzati; se l’INR rimane in range il dosaggio, e di conseguenza il prelievo di sangue, potrà a questo punto avvenire ogni quattro settimane.

Tuttavia, come accennato in precedenza, un monitoraggio più frequente consente di riconoscere più rapidamente la necessità di un miglior aggiustamento della dose del farmaco (variabile in base ai valori di INR), riducendo al minimo le reazioni avverse.

Preparazione

L’esame non richiede di essere a digiuno, ma per i pazienti in terapia anticoagulante è opportuno che il prelievo avvenga subito prima dell’assunzione del farmaco.

Altri fattori

Numerosi farmaci, alcuni alimenti e alcune patologie possono interferire con i farmaci anticoagulanti e, di conseguenza, con l’INR.

Ricordiamo a mero titolo di esempio e senza pretesa di esaustività:

  • alimenti (in particolare le verdure a foglia verde come la lattuga, i broccoli, gli spinaci, le bietole, le rape, …),
  • alcuni integratori dietetici, contenenti ad esempio vitamina K, ma non solo,
  • alcolici,
  • farmaci:
    • per il cuore, come l’amiodarone, il diltiazem o il propranololo;
    • per l’ipercolesterolemia, come la simvastatina;
    • alcuni antidolorifici e antinfiammatori, come il celecoxib e il tramadolo;
    • alcuni antidepressivi, come il citalopram e la sertralina;
    • alcuni antiepilettici, come la carbamazepina.

Per una disamina più approfondita delle interazioni tra alimenti e terapia anticoagulante si rimanda all’articolo sulla vitamina K.

Come si misura l’INR

L’INR può essere monitorato mediante due metodiche:

  • prelievo di sangue venoso dalla vena di un braccio, che verrà poi inviato in laboratorio;
  • utilizzo di un dispositivo portatile: la goccia di sangue prelevata da un dito, viene posizionata su una striscia reattiva che viene inserita nello strumento. Il risultato viene quindi visualizzato sullo schermo del dispositivo.

Entrambe le metodiche si sono dimostrate egualmente efficaci.

Fonti e bibliografia

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