Disclaimer importante
Il presente articolo ha scopo meramente informativo e non costituisce una valutazione dell’efficacia delle statine né affronta la questione delle loro indicazioni terapeutiche. Non è da intendersi in alcun modo come un invito a modificare le terapie in corso.
L’obiettivo di questa trattazione è esclusivamente quello di esaminare l’esistenza di potenziali alternative alle statine, presentando una panoramica generale delle principali opzioni disponibili. Si sottolinea che l’intento non è quello di suggerire specifici trattamenti, bensì di informare il lettore sulla possibile esistenza di approcci terapeutici differenziati in determinate circostanze.
È fondamentale ricordare che qualsiasi decisione terapeutica deve essere presa esclusivamente dal medico curante, il quale, per le prescrizioni a carico del Servizio Sanitario Nazionale, è tenuto ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni ministeriali contenute nella Nota 13. Questo vincolo normativo limita necessariamente il ventaglio di opzioni prescrivibili dal medico di medicina generale, che deve operare le proprie scelte in base alla situazione clinica specifica del paziente e nel rispetto delle linee guida vigenti.
A chi serve un’alternativa alle statine?
Le statine sono ad oggi il farmaco di prima scelta per il trattamento del colesterolo alto, quando le modifiche allo stile di vita non si siano rivelate sufficienti.
Sono essenzialmente solo due le ragioni per cui si potrebbe voler o dover cercare un’alternativa alle statine:
- Quando l’abbassamento dei valori non fosse sufficiente, ovvero quando la quantità di colesterolo non-HDL o meglio ancora di apo-B sia troppo alta nonostante stile di vita e assunzione regolare del farmaco,
- oppure quando non sia possibile assumere una statina, ad esempio a causa di una controindicazione assoluta alla sua assunzione, come ad esempio:
- allergia o ipersensibilità, ovvero lo sviluppo di effetti collaterali intollerabili,
- gravidanza e allattamento,
- malattia molto grave del fegato.
In entrambi questi casi si presenterebbe la necessità di trovare soluzioni alternative, ma con una grande differenza a distinguere le due situazioni:
- Se l’abbassamento dei valori non fosse sufficiente sarebbe più corretto parlare della necessità di trovare una terapia alternativa, che in molti casi prevede di continuare la statina e aggiungere uno o più altri farmaci,
- mentre nel secondo caso è per definizione necessario trovare un’alternativa proprio alla statina, che non può essere iniziata o dev’essere sospesa.
Per approfondire:
Efficacia delle statine: un riferimento
Per valutare l’efficacia di terapie alternative, è utile avere un parametro di riferimento:
In condizioni ottimali, con le statine più efficaci ai dosaggi massimi, è possibile ottenere una riduzione dei valori di LDL superiore al 50% rispetto al livello iniziale.
Ad esempio, in caso di infarto con LDL a 180 mg/dL, una terapia con 80 mg al giorno di atorvastatina potrebbe potenzialmente ridurre i valori a 90 mg/dL o meno, corrispondente a una riduzione del 50%.
Questo riferimento sarà utile per confrontare l’efficacia di terapie alternative che verranno discusse successivamente.
Altre statine
Una delle prime opzioni da considerare, spesso trascurata, è il passaggio ad una statina differente. Questa strategia può essere efficace per diverse ragioni:
- Efficacia variabile: Le diverse statine hanno efficacia variabile nell’abbassare i livelli di colesterolo.
- Reazioni individuali: Le reazioni avverse possono manifestarsi con una statina ma non con un’altra.
- Rischio ridotto di effetti collaterali: Alcune statine, come pravastatina e fluvastatina, generalmente presentano un minor rischio di effetti avversi muscolari (per i pazienti che soffrono di dolori muscolari intollerabili, il passaggio a pravastatina o fluvastatina può rappresentare un’opzione ragionevole, una volta che i sintomi iniziali si siano risolti a seguito della sospensione del farmaco in uso precedentemente).
Modifica del dosaggio
Un’altra possibile strategia da considerare è l’aggiustamento del dosaggio: ad esempio una riduzione della dose può aumentare la tollerabilità alla terapia in caso di effetti indesiderati, ma allo stesso tempo questa soluzione richiede una attenta rivalutazione del rischio cardiovascolare, poiché quasi certamente comporterebbe un aumento dei valori di colesterolo circolante.
Ezetimibe
L’ezetimibe è una molecola che interferisce con l’assorbimento intestinale del colesterolo alimentare e biliare, innescando così una serie di risposte da parte del fegato che si traducono in una maggiore eliminazione di LDL dal sangue.
Se assunto da solo consente una riduzione dei valori stimabile tra il 15 e il 20% circa, in altre parole è decisamente meno efficace delle migliori statine ad alto dosaggio.
Può quindi essere un’ottima alternativa quando la riduzione richiesta è minima, ma molto più spesso si vede usato in associazione alle statine; potendo vantare un meccanismo d’azione completamente diverso, quindi complementare, di fatto si può potenzialmente ottenere un’ulteriore diminuzione dei valori.
- In associazione alla statina può quindi essere usato per raggiungere valori assoluti più bassi,
- oppure quando sia necessario ridurre la dose di statina, ad esempio a causa di effetti collaterali.
La combinazione è così solidamente diffusa nella pratica clinica che esistono farmaci che combinano già i due principi attivi, sollevando quindi il paziente dalla necessità di assumere due compresse differenti, a tutto vantaggio dell’aderenza alla terapia.
Si vede più raramente associato ad altre categorie di farmaci, tra cui una classe che con la diffusione delle statine ha perso gran parte d’interesse, le resine a scambio anionico.
Resine a scambio anionico
Le resine a scambio anionico, di cui la più comune è la colestiramina, sono vecchi farmaci che agiscono in modo simile all’ezetimibe, ovvero legando gli acidi biliari nell’intestino per impedirne il riassorbimento e aumentando così l’aumento dell’escrezione fecale di colesterolo. Anche l’efficacia è paragonabile, ma si rivelano meno tollerati dal punto di vista degli effetti collaterali, che comprendono ad esempio flatulenza, stitichezza, sensazione di difficoltà digestiva e nausea.
Acido bempedoico
L’acido bempedoico rappresenta una delle più recenti e promettenti alternative nel campo della terapia ipolipemizzante. Questa molecola offre nuove possibilità sia in combinazione con le terapie esistenti che come opzione alternativa in casi specifici.
Tra i vantaggi:
- Somministrazione: Compresse da assumere una volta al giorno
- Disponibilità: Disponibile anche in associazione con ezetimibe
- Utilizzo: Può essere usato in combinazione con le statine o come alternativa quando queste sono controindicate
Sebbene i dati sull’efficacia dell’acido bempedoico siano ancora in fase di consolidamento, le evidenze preliminari sono promettenti:
- Monoterapia: Riduzione dei livelli di colesterolo LDL di circa il 25%
- Terapia combinata: L’efficacia aumenta in associazione con statine e/o ezetimibe
- Potenziale terapeutico: Offre la possibilità di una tripla terapia (acido bempedoico + statina + ezetimibe) in casi che richiedono un approccio più aggressivo
È generalmente ben tollerato, ma è possibile un aumento dei livelli di acido urico nel sangue.
L’acido bempedoico si configura come una significativa aggiunta all’arsenale terapeutico per il controllo del colesterolo, offrendo nuove opportunità di trattamento personalizzato, specialmente per i pazienti che non possono tollerare le statine o che necessitano di un’ulteriore riduzione del colesterolo LDL.
Per approfondire: Acido bempedoico
Inibitori del PCSK9
Nel panorama in continua evoluzione delle terapie ipolipemizzanti, gli inibitori del PCSK9 emergono come una delle innovazioni più promettenti degli ultimi anni. Questi farmaci rappresentano un salto qualitativo nella lotta contro l’ipercolesterolemia, grazie al loro approccio unico e alla loro notevole efficacia.
Il meccanismo d’azione di questi farmaci è tanto sofisticato quanto mirato. Prendono di mira la proteina PCSK9 (Proprotein convertase subtilisin/kexin type 9), un elemento chiave nella regolazione dei livelli di LDL nel sangue. Attraverso l’uso di anticorpi monoclonali, questi farmaci riescono a interferire con l’azione della PCSK9, portando a una significativa riduzione del colesterolo LDL circolante.
L’efficacia degli inibitori del PCSK9 è impressionante: in monoterapia, possono ridurre i livelli di LDL di oltre il 60% rispetto ai valori iniziali. Ma è in combinazione con altre terapie che questi farmaci mostrano il loro pieno potenziale. Quando associati a statine ad alta intensità ed ezetimibe, la riduzione del colesterolo LDL può raggiungere addirittura l’85%. Questa sinergia è particolarmente interessante considerando che il trattamento con statine tende ad aumentare i livelli circolanti di PCSK9, rendendo la combinazione di questi farmaci particolarmente efficace.
Un altro aspetto che rende gli inibitori del PCSK9 particolarmente attraenti è la loro frequenza di somministrazione. A differenza di molti altri farmaci che richiedono assunzioni quotidiane, questi possono essere somministrati una volta ogni due settimane, o addirittura una volta al mese per alcune molecole specifiche. Questo regime terapeutico può significativamente migliorare l’aderenza al trattamento, un fattore critico nel successo della terapia a lungo termine.
Tuttavia, come spesso accade con le innovazioni farmacologiche, gli inibitori del PCSK9 presentano alcune limitazioni:
- La prima riguarda la via di somministrazione: a differenza delle statine che si assumono per via orale, questi farmaci richiedono un’iniezione sottocutanea. Sebbene la frequenza ridotta di somministrazione possa mitigare questo inconveniente, per alcuni pazienti potrebbe comunque rappresentare un ostacolo.
- Ma la sfida più significativa all’adozione diffusa di questi farmaci è senza dubbio il loro costo. Gli inibitori del PCSK9 sono notevolmente più costosi delle terapie convenzionali, con un prezzo che supera quello delle statine di circa due ordini di grandezza. Questo elevato costo limita attualmente il loro uso a casi specifici e selezionati, tipicamente pazienti con ipercolesterolemia severa o ad alto rischio cardiovascolare che non rispondono adeguatamente alle terapie convenzionali.
Nonostante queste limitazioni, gli inibitori del PCSK9 rappresentano un’importante aggiunta all’arsenale terapeutico per il controllo del colesterolo. Offrono una soluzione potente per i casi più complessi e resistenti alle terapie tradizionali. Il loro sviluppo sottolinea l’importanza della ricerca continua in questo campo e apre nuove possibilità per il trattamento personalizzato delle dislipidemie.
Alternative naturali
Nel panorama delle terapie per il controllo del colesterolo, le alternative cosiddette “naturali” alle statine meritano una particolare attenzione.
Tralasciando gli integratori di omega-3, la cui efficacia si concentra principalmente sui trigliceridi, e la vitamina B3, che non ha mai davvero preso piede in Italia e ora solleva qualche preoccupazione in più, concentriamoci su due alternative particolarmente interessanti: la monacolina K e i fitosteroli.
Riso rosso fermentato e monacolina K
La monacolina K, presente nel riso rosso fermentato, si è dimostrata sorprendentemente efficace nel ridurre i livelli di colesterolo LDL. La sua efficacia è paragonabile a quella della lovastatina, una statina regolarmente commercializzata. Questo non dovrebbe stupire, considerando che si tratta della stessa molecola. Di conseguenza, presenta la stessa efficacia ma anche gli stessi potenziali effetti collaterali delle statine tradizionali.
Recentemente, la legislazione europea ha imposto restrizioni sulle dosi di monacolina K vendibili senza ricetta, sottolineando l’importanza di un approccio cauto. È fondamentale ricordare che “naturale” non equivale automaticamente a “sicuro”. Il fatto che una sostanza sia prodotta dalla natura non la rende intrinsecamente meno pericolosa di quelle sintetizzate in laboratorio. Come dimostra il tragico esempio di Socrate e la cicuta, la natura può essere fonte di sostanze potenti e potenzialmente pericolose.
Fitosteroli
Passando ai fitosteroli, questi composti naturali presenti nelle piante meritano una menzione speciale. Con una struttura simile al colesterolo animale, i fitosteroli – noti anche come steroli o stanoli vegetali – sono presenti in molti alimenti che consumiamo quotidianamente. Li troviamo in abbondanza nella frutta secca a guscio, nei semi, nei cereali integrali, nei legumi, nella frutta e nella verdura.
Il meccanismo d’azione dei fitosteroli è particolarmente interessante: competono con il colesterolo per l’assorbimento intestinale, portando così a una diminuzione dei livelli di colesterolo nel sangue. Tuttavia, la loro efficacia, sebbene clinicamente significativa, non è eclatante. Si parla di una possibile riduzione del colesterolo che, nella migliore delle ipotesi, può arrivare al 5-10%.
Questa riduzione, seppur interessante, probabilmente non è sufficiente per la maggior parte dei pazienti come vera alternativa alla terapia farmacologica. Tuttavia, i fitosteroli possono rappresentare un valido supporto in un approccio integrato al controllo del colesterolo, specialmente per coloro che cercano di gestire livelli borderline o come complemento a una terapia farmacologica.
Altre fonti e bibliografia
Autore
Dr. Roberto Gindro
laureato in Farmacia, PhD.Laurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.