Introduzione
La discopatia degenerativa è un processo fisiologico di decadimento cui va incontro il disco intervertebrale, la struttura che collega tra loro due vertebre vicine e che funge da cuscinetto ammortizzatore durante i movimenti quali camminare, saltare, correre, sollevare carichi, …
Il disco intervertebrale è costituito da parti fibrose e parti cartilaginee e racchiude al proprio interno una struttura gelatinosa detta nucleo polposo. Questo, con il passare degli anni, può perdere di elasticità ed andare incontro ad un processo degenerativo che può causare lo slittamento del disco intervertebrale dalla sua sede senza/con fuoriuscita del nucleo polposo, condizioni note rispettivamente come
di cui la discopatia degenerativa ne rappresenta un fattore di rischio.

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La discopatia degenerativa non è dunque una vera e propria malattia, bensì un’usura naturale che riguarda la nostra colonna vertebrale. Può svilupparsi in qualsiasi tratto della colonna vertebrale ma, le zone maggiormente esposte sono:
- le prime vertebre (tratto cervicale) con possibile dolore alla nuca e coinvolgimento del braccio,
- le ultime vertebre (tratto lombare) con possibile mal di schiena e coinvolgimento del gluteo, coscia e gamba.
Finché non c’è pressione sui nervi il paziente non avverte alcun disturbo in particolare, mentre in caso di compressione possono comparire sintomi, in primis un dolore particolarmente intenso e fastidioso.
Spesso la discopatia degenerativa ha una prognosi favorevole e con una semplice cura medica i sintomi possono venire efficacemente controllati. Nei casi in cui ciò non si verifica potrebbero svilupparsi complicanze tali da rendere necessario un intervento chirurgico.
Cause
La maggior parte delle persone riferiscono di aver avuto almeno un episodio di mal di schiena nel corso della loro vita.
La prevalenza di discopatia degenerativa legata ad un’ernia del disco è stata stimata pari a circa 1-3% nei paesi occidentali, mentre l’incidenza è di circa 35 nuovi casi all’anno ogni 100000 persone. Questo dato, tuttavia, è solo approssimativo dal momento che non sempre c’è una corrispondenza tra sintomi, aspetti radiologici e anatomici nella storia naturale della discopatia degenerativa.
L’età più colpita è quella dopo i 50 anni e c’è una lieve prevalenza nei maschi (M:F= 2:1).
Oltre il 90% dei casi interessa le ultime vertebre della colonna vertebrale, cioè L4-L5 o L5-S1, meno il tratto cervicale ha un rapporto di 1:10 rispetto al tratto lombosacrale.

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La discopatia degenerativa è dovuta al fisiologico invecchiamento della nostra colonna vertebrale: ciò che si verifica con l’avanzare dell’età è una progressiva ed irreversibile perdita della componente acquosa dei dischi intervertebrali, di cui è un costituente principale finché si è giovani.
La discopatia degenerativa può essere correlata alla presenza di uno o più fattori di rischio, come ad esempio
- occupazioni sedentarie,
- sedentarietà,
- sovrappeso ed obesità,
- alta statura,
- guida di veicoli a motore prolungata e costante,
- vibrazioni,
- lavori a elevato impegno fisico soprattutto se comportano abitualmente il sollevamento manuale di carichi,
- gravidanze,
- posture scorrette,
- movimenti errati e/o bruschi del corpo.
Tutte queste condizioni predisponenti possono causare a lungo andare un indebolimento dei dischi intervertebrali e favorirne/accelerarne il processo di degenerazione.
Sintomi
La discopatia degenerativa generalmente non dà sintomi, ma può talvolta essere sintomatica ed associarsi alla comparsa di dolore.
A seconda della sede d’insorgenza può manifestarsi:
- dolore al collo,
- dolore che si irradia alla spalle e/o alle braccia,
- intorpidimento o formicolio agli arti superiori o inferiori,
- difficoltà di movimento in fase acuta (camminare, presa di un oggetto, …),
- dolore a metà schiena,
- lombalgia,
- sciatalgia,
- dolore crurale.
Per sciatalgia s’intende un dolore irradiato lungo il decorso del nervo sciatico, dalla natica alla parte posteriore della coscia e postero-laterale della gamba, fino alla caviglia. Può essere associata a mal di schiena (lombosciatalgia).
Per cruralgia si intende il dolore avvertito lungo la faccia anteriore o antero-interna della coscia, lungo il decorso del nervo crurale.
Il dolore tende a peggiorare in tutte quelle situazioni che gravano maggiormente sulla colonna vertebrale come ad esempio:
- posizione seduta,
- piegamenti della schiena,
- sollevamenti errati di carichi pesanti (fatti a gambe diritte),
- mentre migliora camminando o quando il paziente è sdraiato.
Complicanze
La presenza di sintomi quali intorpidimento, sensazione di formicolio e/o debolezza muscolare di braccia o gambe è dovuta allo schiacciamento del disco intervertebrale con conseguente pressione sui nervi spinali.
La progressiva perdita del contenuto idrico del disco posto tra una vertebra e l’altra può comportare lo svilupparsi di una:
- protrusione erniaria,
- ernia del disco.
In entrambi i casi si verifica uno slittamento del disco intervertebrale dalla sua sede originale, che fa avvicinare le vertebre tra di loro e causa una compressione più o meno severa sulle strutture nervose della colonna vertebrale. In caso di ernia discale si verifica anche una rottura della struttura fibrocartilaginea del disco intervertebrale con la fuoriuscita del nucleo polposo.
Finché non si verifica una pressione sui nervi spinali il paziente può non accusare nessun disturbo, oppure manifestare un dolore sordo e continuo, che solo in determinate occasioni si fa più forte.
La discopatia degenerativa associata ad ernia del disco rappresenta un frequente motivo di assenteismo dal lavoro, a causa del dolore intenso e delle conseguenti limitazioni funzionali ad esso correlate: comuni attività come salire e scendere le scale, guidare l’auto, camminare, fare le faccende di casa, … possono diventare complicate.
Lo Stato del resto ha riconosciuto già da oltre 10 anni (con DM del 27/04/2004) l’ernia discale lombare tra le patologie professionali, nel caso di lavoratori dediti ad attività di movimentazione manuale di carichi, giornalmente e per lungo tempo; ciò vale anche per gli autisti di automezzi pesanti, in cui le vibrazioni trasmesse a tutto il corpo durante i lunghi ed abituali viaggi possono gravare con il tempo sulla colonna vertebrale, procurandone un indebolimento.
Con il passare del tempo, se non trattata, la discopatia degenerativa complicata può influenzare negativamente l’umore, tanto che sono frequenti i casi di depressione riscontrati in questi pazienti.
Talvolta un dolore alla colonna vertebrale può essere segno di una malattia sistemica, per cui è importante che il medico valuti con attenzione la presenza di eventuali sintomi/segni indicativi di gravità, detti “semafori rossi” (vedi diagnosi).
Diagnosi
La diagnosi richiede un primo colloquio con il paziente che racconterà la sua storia clinica, con particolare attenzione circa
- caratteristiche del dolore (sede, intensità, durata),
- assenza/presenza di intorpidimento, formicolii, impotenza funzionale e/o debolezza delle braccia o delle gambe,
- malattie note,
- lavoro svolto,
- assunzione abituale di farmaci.
La visita medica comprende un esame obiettivo completo degli arti superiori ed inferiori e della colonna vertebrale in toto, con particolare attenzione al collo e alla schiena.
È inoltre fatta una valutazione, anche con l’ausilio di specifiche manovre mediche quali
- manovra di Lasègue,
- SLR (Straight Leg Raising) test,
riguardo
- la capacità di movimento e flessibilità della schiena, delle braccia, delle gambe,
- la resistenza dei muscoli,
- la presenza/assenza dei riflessi,
- la presenza/assenza della sensibilità.
Per giungere ad una corretta diagnosi di discopatia degenerativa ed escludere cause organiche (più o meno gravi) di dolore, il medico può richiedere a completamento della visita una radiografia o, meglio, una risonanza magnetica della colonna vertebrale.
La radiografia della colonna andrebbe fatta solo nel casi di sospetta spondilite anchilosante infiammatoria o per un primo controllo in caso di trauma o sospetto crollo vertebrale.
La risonanza magnetica resta invece il gold standard per la miglior visualizzazione della colonna vertebrale, anche alla luce del fatto che non espone il paziente a radiazioni ionizzanti tipiche della TAC (che rimane una valida alternativa nei pazienti in cui la RMN sia controindicata).
Questi approfondimenti diagnostici andrebbero sempre richiesti in presenza di uno o più dei seguenti sintomi/segni che possiamo indicare come “semafori rossi” per una possibile causa organica della discopatia. Si tratta di
- deficit neurologico esteso e/o progressivo,
- anamnesi positiva per tumore,
- perdita di peso inspiegabile,
- astenia protratta,
- febbre,
- dolore ingravescente continuo a riposo e notturno,
- traumi recenti,
- assunzione protratta di cortisonici,
- osteoporosi,
- quadro clinico della sindrome della cauda equina,
- età minore di 20 anni o maggiore di 55 anni, in associazione ad uno degli altri sintomi indicati.
La sindrome della cauda equina è un’emergenza medica che richiede un intervento chirurgico se possibile entro 24 ore o comunque non oltre 48 ore dalla comparsa dei sintomi; i disturbi comprendono:
- debolezza dei muscoli delle gambe fino alla paralisi,
- difficoltà ad urinare (ritenzione urinaria) che poi evolve in incontinenza urinaria,
- incontinenza fecale,
- disfunzione erettile,
- perdita di sensibilità nella regione attorno all’ano e al perineo (nota come anestesia a sella),
- assenza del riflesso cutaneo plantare in entrambi i piedi: normalmente strisciando con una punta smussa il piede (dal tallone verso l’alluce) le dita si flettono; se manca questo riflesso le dita si apriranno a ventaglio (è il segno di Babinski).
Secondo le linee guida, in assenza dei semafori rossi, una risonanza magnetica andrebbe richiesta solo se il dolore non migliora con le cure conservative dopo almeno 4-6 settimane di terapia.
Test elettrofisiologici di routine, incluso lo studio dei potenziali evocati, sono richiesti solo in pochi casi selezionati dallo specialista.
Diagnosi differenziale
La discopatia degenerativa va distinta da altri casi di discopatia dovuti a:
- traumi,
- infezioni (ad esempio da stafilococco, streptococco, tubercolosi, febbre di Malta, …),
- processi infiammatori,
- malattie vascolari,
- malattie autoimmuni,
- tumori benigni o maligni della colonna vertebrale (rari).
Cura
La discopatia degenerativa richiede una terapia solo se associata a sintomi, altrimenti non necessita di alcuna cura.
Durante la fase acuta di dolore, è consigliato seguire questi semplici rimedi:
- riposo,
- evitare di restare troppo a lungo in piedi,
- evitare di sollevare carichi pesanti,
- fare eventualmente ricorso ad anti-infiammatori, corticosteroidi e anti-dolorifici in compresse, cerotti medicati, infiltrazioni, …
È bene non abusare dei comuni farmaci da banco e rivolgersi invece al proprio medico di famiglia per una cura farmacologica adeguata; spesso, soprattutto nella popolazione anziana, l’uso prolungato di FANS può associarsi alla comparsa di severi effetti collaterali.
Passata la fase acuta, di contro, è raccomandato mantenere il corpo in movimento: a seconda dell’età del paziente e delle sue condizioni cliniche generali, può essere consigliata una passeggiata di almeno mezz’ora al giorno o la pratica di uno sport leggero per mantenere attivi i muscoli.
I pazienti possono inoltre ottenere sollievo dal dolore al collo o alla schiena anche grazie all’aiuto di un fisioterapista o attraverso altri trattamenti conservativi come uso di corsetti lombosacrali o collari (dietro indicazione di un professionista qualificato).
Non sono ad oggi disponibili risultati sostenuti da un’adeguata letteratura scientifica relativamente a trattamenti quali manipolazioni, agopuntura o terapie fisiche (stimolazioni elettriche, ultrasuonoterapia e laserterapia).
Nei casi più gravi di discopatia degenerativa, accompagnati da ernia del disco e/o dolore intenso e persistente nonostante le cure conservative, può rendersi necessario il ricorso alla chirurgia, che può avvalersi di varie soluzioni tra cui:
- stabilizzazione dinamica,
- discoplastica,
- chirurgia di fusione spinale.
La stabilizzazione dinamica è un intervento chirurgico mini-invasivo che
- non prevede l’asportazione di ossa,
- consiste nel porre uno spaziatore (una protesi) tra i processi spinosi delle vertebre interessate dalla discopatia.
Obiettivo di questo approccio è di aumentare la distanza tra le vertebre, che permette di ottenere un miglioramento dei sintomi grazie all’interruzione della pressione del disco intervertebrale sui nervi spinali. Non trattandosi di un intervento demolitivo, inoltre, offre al chirurgo, in accordo con il paziente, di valutare in un secondo momento eventuali altri trattamenti al peggiorare della condizione medica.
Con la discoplastica si procede alla sostituzione del disco intervertebrale andato incontro a degenerazione con un disco artificiale (una protesi). Questi dischi artificiali possono essere formati da materiali diversi, come acciaio inossidabile, polietilene e cromo cobalto. L’intervento prevede un taglio chirurgico anteriormente al collo o nella pancia, a seconda della sede della discopatia. La colonna vertebrale mantiene, dopo l’intervento di discoplastica, la propria flessibilità.

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La chirurgia di fusione spinale consiste nella vera e propria fusione di 2 o più vertebre adiacenti. L’intervento prevede un’incisione anteriore nel collo o nell’addome, a seconda della sede della discopatia degenerativa, ed una sostituzione del disco malato con altro osso. L’osso sostituto si ricava dall’anca del paziente (i medici parlano di “innesto osseo da autotrapianto”) e viene fissato alle vertebre con barre e viti in titanio o acciaio inossidabile. Il tutto funge da una sorta di “gesso” che stabilizza le vertebre e ne consente la crescita ossea.
Dopo l’intervento è utile la fisioterapia ed una ripresa graduale dell’attività fisica.
In generale la chirurgia della discopatia degenerativa è molto gratificante sia per il medico che per il paziente che entra in sala operatoria in preda a dolori lancinanti e ne esce sollevato.
Fonti e bibliografia
Autore
Dr.ssa Tiziana Bruno
Medico ChirurgoIscritta all'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Trapani n. 3439