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Introduzione
Il fruttosio è il principale zucchero della frutta… beh, allora deve far bene per forza, giusto? Poi ha basso indice glicemico, non stimola l’insulina ed è più dolce dello zucchero. Il Santo Graal dei carboidrati, che ne dici?
Eh, mica tanto… anche tralasciando gli effetti intestinali di cui si può rendere fastidiosamente protagonista, per non parlare del fatto che può imbarazzantemente rendere protagonisti anche voi se non riuscite a trattenervi, potrebbe essere responsabile dell’insorgenza di fegato grasso, si lega a tutte le proteine che trova in giro rovinandole ed ovviamente è stato collegato ad obesità e patologie metaboliche.
Com’è possibile? Quindi non dobbiamo più mangiare frutta? In realtà è tutto molto più semplice di così e ci troviamo di fronte per l’ennesima volta non tanto ad un Dr. Jekyll e Mr. Hyde, quanto più al più banale dei cliché della farmacologia, vecchio più di mezzo secolo:
Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto. (Paracelso)
Cos’è il fruttosio?
Il fruttosio è il principale zucchero naturalmente presente nel miele e nella frutta. È il più dolce di tutti i carboidrati presenti in natura e, quando legato chimicamente al glucosio, si trasforma nello zucchero da tavola, quello che hai nella zuccheriera in cucina.
È tuttavia uno zucchero un po’ particolare dal punto di vista metabolico, ovvero di come viene gestito dal tuo organismo quando lo consumi. Normalmente, quando mangi dei carboidrati (ad esempio pane, pasta, riso, ma anche un gelato o una crepes alla nutella), questi vengono demoliti nell’intestino ed assorbiti in forma di molecole più semplici, ovvero zuccheri. L’organismo, quando si accorge di tutti questo zucchero in circolo, inizia a produrre insulina, un ormone che stimola i muscoli a farsi carico di questo zucchero appena arrivato per estrarlo dal sangue e ristabilire quindi dei valori di glicemia nella norma (per approfondire si veda ad esempio questo articolo).
Il fruttosio, al contrario, non può essere gestito dai muscoli, mentre è solo il fegato che può farsene carico, e lo fa trasformandolo chimicamente in diversi modi:
- glucosio (~ 50%), che è lo zucchero circolante normalmente nel sangue, quello di pronto utilizzo,
- glicogeno, che è invece un modo per immagazzinare delle scorte di zuccheri per il futuro,
- ed altre sostanze, tra cui anche grassi.
Il glucosio può essere reimmesso nel sangue verso tutti gli organi, a quel punto soggetto anche lui agli effetti dell’insulina.
Il problema è che quando esageriamo con le quantità di fruttosio questo è in grado di alterare la capacità di gestione del nostro corpo, perché può accumularsi nel fegato favorendo lo sviluppo di fegato grasso (steatosi epatica), che è una cosa brutta tanto quanto sembra dal nome, perché può predisporre a guai ancora più grossi fino a sviluppare nei casi più gravi cirrosi, insufficienza epatica ed anche tumore del fegato.
Gli stessi grassi prodotti possono andare a spasso per l’organismo favorendo un aumento dei valori di colesterolo circolanti, con tutto quello che ne consegue.
Più in generale sono emerse correlazioni con obesità e sviluppo di insulino-resistenza, che è l’anticamera del diabete di tipo 2, perché tra i diversi effetti emersi negli ultimi decenni sembra che le diete ricche di fruttosio raffinato portino facilmente a sviluppare ipertrigliceridemia mediante vari processi metabolici indiretti.
Ma non solo, una parte del fruttosio circolante è in grado di reagire chimicamente con le proteine con cui viene in contatto trasformandole in AGE, prodotti di glicazione avanzata, anche loro collegati a diversi e gravi problemi di salute a causa dello stress ossidativo che sono in grado di innescare.
Accidenti, sembra un vero disastro!
Le molecole di fruttosio sono tutte uguali, ma alcune sono più uguali delle altre
C’è tuttavia un aspetto molto interessante, un tassello di fondamentale importanza: i danni causati dal fruttosio si verificano solo a dosi elevate, dosi difficilmente raggiungibili in modo sistematico quando il consumo derivi esclusivamente da alimenti vegetali, come verdura e frutta. E sì, anche considerando che le mele di oggi sono molto più dolci di quelle che consumavano i tuoi nonni.
Quindi il problema è il miele ed il suo contenuto di fruttosio? Nemmeno, o comunque quasi mai, perché pochi di noi esagerano con il miele, e peraltro ricadiamo in un esempio che faccio spesso: gli Hadza, popolazione africana di cacciatori raccoglitori, che nonostante basino per circa il 15-20% il loro apporto calorico proprio sul miele, non sono obesi, non sviluppano diabete e nemmeno fegato grasso.
Per qualche tempo è andato molto di moda il fruttosio in polvere come dolcificante al posto dello zucchero, tanto per la sua aura di di essere naturale, quanto perché effettivamente non ha effetti sull’insulina, ma oggi grazie ad un’accresciuta consapevolezza sul rovescio della medaglia questo utilizzo è ormai quasi del tutto trascurabile.
Il problema si riduce quindi al fruttosio che aggiungiamo ai prodotti industriali. Il fruttosio è il sogno di ogni reparto di ricerca e sviluppo:
- costa niente,
- dolcifica tantissimo, più dello zucchero,
- in alcune preparazioni consente anche di beneficiare di alcune proprietà tecnologiche sfruttate per aumentare i tempi di conservazione dei prodotti.
Il fruttosio commerciale si ottiene principalmente convertendo il glucosio naturalmente presente nell’amido di mais, ottenendo uno splendido sciroppo di mais ricchissimo di fruttosio (55-60%), pronto da essere usato nella preparazione di bibite dolci e snack di ogni genere (anche se va detto che in Europa fortunatamente non è molto usato, almeno non quanto lo sia negli Stati Uniti).
In questi prodotti (che per inciso sappiamo essere associati a tantissimi rischi di salute, ma ora non divaghiamo) non è che il fruttosio si comporti diversamente, come diciamo sempre il corpo non è in grado di distinguere la provenienza di una molecola di fruttosio così come non è in grado di distinguere se un amminoacido derivi da una fetta di carne o da un piatto di fagioli, semplicemente di fruttosio tendiamo ad assumerne di più, anche molto di più delle dosi più facilmente gestibili dal corpo quando viene aggiunto in fase industriale.
Quindi ora ti chiedo, la dose di fruttosio quotidiana considerata sostanzialmente sicura, diciamo 40-50 g al giorno (fonte Project Nutrition, Biasci), preferisci assumerla
- da snack e bibite dolci, alimenti ultratrasformati e fonti di calorie vuote,
- oppure dalla frutta, che ti sazia molto di più e allo stesso tempo ti apporta un elenco interminabile di fibra, vitamine, sali minerali e tantissimi altri fitocomposti?
Altro problema del fruttosio è che non sazia per nulla, principalmente perché non stimola la secrezione di insulina, anche se a onor del vero secondo gli ultimi studi in realtà sarebbe in questo del tutto paragonabile allo zucchero da tavola, il cui senso di sazietà semplicemente sparisce dopo poco a causa dal rapidissimo assorbimento; ma se non si tratta di un grosso problema con la frutta, che sazia eccome grazie alla presenza di fibra e acqua, diventa un problema enorme con alimenti ultra-trasformati, che favoriscono anzi il più classico dei consumi compulsivi “uno tira l’altro” (si veda anche il concetto di bliss point).
Concludiamo questa disamina superficiale con un caso particolare: esistono infatti prove piuttosto convincenti su come atleti allenati siano sostanzialmente immuni agli effetti deleteri descritti finora, ma ciò non toglie che anche per loro un alimento ultra-trasformato sia comunque negativo sotto altri aspetti, mentre appare più giustificato l’utilizzo di fruttosio in soluzioni reidratanti, le bibite sportive. Ma attenzione, non sono le bibite sportive ad essere sane, sono gli atleti con le loro particolari necessità a renderne l’uso giustificato ed anzi con risvolti positivi. A me e a te rimangono controindicate.
Chi lo deve evitare?
Ci sono un paio di categorie di persone che potrebbero tuttavia avere un motivo in più per non esagerare o addirittura la necessità di evitarlo del tutto; chi soffre di intolleranza ereditaria al fruttosio deve assolutamente escludere dalla propria alimentazione qualsiasi fonte non solo di fruttosio tal quale, ma addirittura anche di zucchero da tavola, perché nell’intestino sarebbe scisso nei suoi costituenti, ovvero glucosio e fruttosio.
Ma anche chi soffre di colon irritabile potrebbe trovarsi, magari soprattutto in periodi in cui i sintomi si fanno sentire in particolar modo, nella condizione di doverne ridurre il consumo; il fruttosio fa infatti parte dei cosiddetti FODMAP, molecole che possono venire fermentate dall’intestino e contribuire ai tipici sintomi fastidiosi della patologia, come gonfiore e flatulenza. Poi in realtà anche in questo caso si potrebbe scendere più in profondità, perché a differenza di altri FODMAP il fruttosio viene in genere assorbito completamente e potrebbe quindi non generare alcun disturbo e quindi in realtà potremmo ricadere nelle conclusioni che valgono per tutti, che vedremo tra breve. Mi preme infatti sottolineare che evitare il consumo di frutta una reale certezza delle necessità di farlo, potrebbe essere assolutamente controproducente.
Conclusioni
Ma ora che abbiamo un quadro più completo, cosa ne deduciamo?
Che in realtà, alla fine dei conti, potrebbe non essere nemmeno il fruttosio in sé il vero problema, quanto piuttosto l’eccesso calorico, un consumo di calorie superiore alle tue necessità. Ripensa agli atleti e ripensa agli Hadza africani…
Sul fatto che il consumo di bevande e alimenti zuccherati ad alta densità energetica sia associato a un aumento dell’apporto energetico e quindi all’aumento di peso corporeo nel tempo non ci sono dubbi, ma probabilmente è l’eccesso di fruttosio in termini di calorie a causare obesità viscerale, accumulo di grasso intraepatico e alte concentrazioni di trigliceridi nel sangue, più che non il fruttosio in sé e per sé.
La ricerca è ancora in corso e restano numerosi aspetti da chiarire, ma molti autori sono quindi convinti che il vero fulcro del problema siano le proprietà edonistiche dei cibi zuccherati che tendono a favorire il consumo eccessivo, l’abuso di alimenti ad alta densità energetica soprattutto quando facilmente accessibili (li troviamo dovunque, costano poco, sono gratificanti, …) e non il fruttosio come molecola. Nessuno si azzardi a dire che la frutta fa male, quindi, perché si tratterebbe di un’idea assolutamente priva di qualunque evidenza.
Quanta frutta al giorno? Vediamo cosa si trova in proposito sulle linee guida italiane per una sana alimentazione (grassetti e corsivi sono miei):
[… P]er il consumo di frutta e verdura non c’è limite superiore, come a dire, più ne mangiamo e meglio è, nel rispetto, tuttavia, dell’equilibrio nutrizionale della dieta, nella quale gli alimenti devono essere rappresentati tutti. Una dieta monotematica, o comunque prevalente di frutta e verdura è comunque sbilanciata per mancanza o relativa carenza di altri nutrienti. Le raccomandazioni internazionali dicono che dovremmo mangiarne almeno 400 g, come obiettivo minimo di salute pubblica per la prevenzione delle malattie croniche. In altre parole: se ne mangiamo di più è meglio; si richiama l’attenzione sul fatto che […] nel computo non sono compresi i succhi di frutta, [perché ] l’assenza di fibra e la ricchezza di zuccheri non consente di considerarli un sostituto della frutta. Lo stesso vale per centrifughe, estratti e via dicendo, sia di frutta che di verdura. Negli anni è diventata molto popolare la proposta delle 5 porzioni al giorno, […] ed ha avuto una sua ragion d’essere nel contesto statunitense, dove il consumo di frutta e verdura era molto basso. In area mediterranea, dobbiamo considerare le 5 porzioni al giorno come un obiettivo minimo: anche in questo caso “almeno” 5 porzioni, ma se sono di più è meglio.
Per aumentare il quantitativo di frutta e verdura nella dieta occorre moltiplicare le occasioni di consumo: sia frutta che verdura possono rappresentare uno spuntino, devono essere consumati in occasione dei pasti, prima colazione compresa, e possono costituire (in questo caso la frutta) componente di un dessert. […] Mentre c’è ampio consenso sulla raccomandazione di consumare più frutta e verdura in generale, la maggior parte delle linee guida nutrizionali non stabilisce una proporzione tra l’una e gli altri [, perché n]essun alimento ha in sé tutto ciò che è necessario ed è quindi l’insieme nella sua globalità che ci dà la protezione evidenziata dagli studi epidemiologici. […] Nelle nostre linee guida […], nel rispetto delle abitudini alimentari prevalenti nel nostro Paese, le cinque porzioni raccomandate sono state suddivise in due di verdura (che per abitudine consumiamo a pranzo e a cena) e tre di frutta (due ai pasti principali e una da destinare alla colazione, o a uno degli spuntini). Come ripetuto spesso nulla vieta di consumarne di più, nel rispetto però dell’equilibrio complessivo della dieta.
Cosa significa? Significa che puoi mangiarne sostanzialmente quanta ne vuoi, a patto di mantenere un giusto equilibrio complessivo nella tua dieta, ovviamente anche dal punto di vista calorico.
È invece da evitare, o quantomeno ridurre il più possibile, il fruttosio aggiunto, ma le prove raccolte suggeriscono che non sia tanto questa molecola in sé a causare problemi, ma il tipo di alimento in cui può essere aggiunto: una bevanda dolce, uno spuntino ultraprocessato, un alimento a lunga conservazione che tuttavia in questo modo vede aumentare le proprie calorie ingiustificatamente, perché oggi disponiamo di altre tecnologie per farlo, o semplicemente un alimento troppo dolce, come della marmellata con fruttosio aggiunto.
Fonti e bibliografia
Autore
Dr. Roberto Gindro
DivulgatoreLaurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.