Chetosi: cause, sintomi e pericoli

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Introduzione

Nel precedente articolo abbiamo scoperto cosa sia una dieta low-carb, evidenziandone gli aspetti principali collegati al metabolismo dello zucchero nel nostro organismo, come ad esempio la capacità del fegato di produrre una certa quantità di glucosio anche quando questo non sia introdotto dall’esterno (gluconeogenesi).

Prima di affrontare direttamente la trattazione della dieta chetogenica appare utile comprenderne il meccanismo fondante; una dieta chetogenica è essenzialmente una dieta low-carb molto aggressiva, in cui l’apporto dietetico di carboidrati è estremamente basso, tanto basso da andare a stimolare alcuni meccanismi biochimici del tutto normali, ma che il nostro organismo normalmente utilizza solo in condizioni di digiuno.

Chetosi

In una persona sana, quando non vengano introdotti carboidrati in quantità sufficiente alle esigenze dell’organismo, si attivano dei cambiamenti volti a far fronte alla situazione di necessità; dovendo in qualche modo risparmiare il glucosio disponibile e quello prodotto ex-novo dal fegato, che è limitato dalla capacità produttiva, si assiste ad una serie di adattamenti metabolici dell’organismo, che inizia così ad usare anche grassi e proteine come fonte di energia, più di quanto non faccia normalmente.

Immagina di avere un’automobile a GPL: su questo tipo di veicolo ci sono in genere due serbatoi, GPL appunto, ma anche un piccolo serbatoio di benzina. Questa duplicità è utile per far fronte all’eventualità di non riuscire a trovare un distributore di GPL prima di terminare questo carburante, che è preferibile perché più economico e più efficiente, ma piuttosto che rimanere a piedi meglio avere un po’ di riserva di benzina. Nel momento in cui il GPL finisce il motore passa automaticamente all’alimentazione a benzina, senza necessità di fermarsi tra l’altro, con solo una lieve percezione dal parte del conducente in termini di erogazione e rumore.

Nel nostro corpo avviene la stessa cosa, un passaggio dall’uso dei carboidrati, generalmente preferibili, all’uso dei grassi. Ci sono però almeno due importanti differenze rispetto all’automobile:

  1. Nel corpo umano non c’è ma una fornitura di energia che passa dal 100% dei carboidrati al 100% dei grassi, ma si tratta sempre di equilibri che si spostano più verso gli uni o verso gli altri a seconda di attività, abitudini e disponibilità. Ad esempio abbiamo visto in precedenza che ci sono alcune cellule come i globuli rossi che possono usare esclusivamente il glucosio, mentre altri tessuti come i muscoli possono adattarsi ad usare anche i grassi.
  2. Strettamente correlato al punto precedente, è poi importante comprendere un secondo aspetto essenziale: se in un’automobile nel motore entra o GPL, oppure benzina, nel nostro corpo esistono reazioni biochimiche che possono beneficiare di entrambi i carburanti contemporaneamente (carboidrati e grassi) ottimizzando così la prestazione e l’efficienza delle reazioni, e solo quando questo non sia possibile si passa all’utilizzo esclusivo dei grassi.

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Ricorrerò nuovamente al paragone dell’automobile per semplificare alcuni passaggi, ma ti chiedo lo sforzo di ricordare sempre che in realtà nell’organismo non si tratta mai di tutto o niente, ma sempre di spostare le percentuali in una direzione o nell’altra, d’altra parte anche normalmente usiamo un po’ di grassi come fonte di energia, ma abbiamo comunque bisogno che ci sia anche un po’ di glucosio disponibile per utilizzarli nel modo più efficiente ed efficace possibile.

Quando però il glucosio inizia a scarseggiare succede qualcosa di diverso: aumenta necessariamente il consumo di grassi per supplire alle necessità energetiche delle cellule, ma i sottoprodotti che prima venivano ulteriormente sfruttati insieme al glucosio, tendono ora ad accumularsi nel sangue.

Si tratta dei corpi chetonici, o più semplicemente chetoni.

In verità piccole tracce di chetoni sono sempre presenti nel sangue e sono appunto un prodotto dello sfruttamento energetico dei grassi, ma quando le riserve di glucosio sono basse i corpi chetonici aumentano, segno che l’organismo sta spostando gli equilibri verso i grassi.

Se questo capita durante un tempo limitato, ad esempio se dovesse capitarti di saltare un pranzo, in realtà non succede poi nulla di particolare… le riserve di glucosio diminuiscono, aumentano i corpi chetonici, ma arrivata a cena e consumando magari un bel piatto di pasta tutto torna in equilibrio come prima: parte dei corpi chetonici verranno eliminati con le urine, parte verranno recuperati come energia, ma si tratta di quell’equilibrio dinamico di cui parlavamo prima.

Quando invece dovessi optare per una dieta fortemente low-carb, come appunto la chetogenetica, succede qualcosa di più interessante: l’organismo non riceve più i carboidrati necessari a ristabilire il precedente equilibrio, quindi fa di necessità virtù ed inizia ad usare i chetoni stessi come fonte energetica. Eh sì, perché abbiamo detto prima che in assenza di carboidrati non riusciamo ad essere perfettamente efficienti nell’estrarre tutta l’energia disponibile nei grassi, questo significa che ce n’è ancora accumulata nei chetoni ed abbiamo a disposizione alcuni meccanismi biochimici per estrarne ancora un pochino. Non tutta, non in modo ideale, ma non si butta via nulla.

Ecco allora che ad esempio muscoli e cervello nel giro di qualche giorno sono in grado di adattarsi e passare da un afflusso di energia garantito dai carboidrati ai corpi chetonici, ovvero dal GPL alla benzina.

Il corpo è ora ufficialmente in chetosi, che da un punto di vista medico è definita come una condizione fisiologica (ricorda questo termine, fisiologica, ci torneremo a breve) caratterizzata da un’elevata concentrazione nel sangue di chetoni, ma con livelli normali di glicemia.

Se hai letto l’articolo precedente, sulle diete low-carb, potresti ora legittimamente alzare la mano ed accusarmi di un errore, ovvero aver dichiarato che il cervello fosse glucosio-dipendente; è quindi ora di ammettere quella che era una bugia bianca, scritta per semplificare, mentre ora possediamo le conoscenze per capire come in realtà il cervello sia “condizionatamente glucosio-dipendente”: se è vero che in condizioni dietetiche normali il glucosio è l’unico substrato energetico utilizzato dal cervello, che ne consuma circa 100 g al giorno, in presenza di una privazione di carboidrati che persista abbastanza a lungo il nostro organo più prezioso è capace di passare a coprire gran parte delle richieste energetiche attraverso chetoni, continuando a consumare solo una minima parte di glucosio. Ci sono addirittura autori che ritengono che i corpi chetonici siano il risultato della necessità evolutiva di garantire al cervello un substrato energetico derivante dai grassi durante periodi in cui i carboidrati non siano disponibili, a prescindere dal motivo.

La chetosi può infatti essere indotta non solo dalla diete low-carb, ma anche dal digiuno, situazione che probabilmente qualche migliaio di anni fa era decisamente comune, ed in caso di attività fisica particolarmente prolungata, quando potrebbero venire meno le scorte di glucosio accumulate.

Ricapitoliamo?

  1. A causa di un digiuno obbligato perché ci siamo persi nel deserto, oppure in semplice assenza di carboidrati perché abbiamo deciso di seguire una dieta chetogenica, la disponibilità di glucosio nell’organismo diminuisce.
  2. Le riserve nel fegato si depauperano rapidamente, circa 24 nella migliore delle ipotesi, perché quelle di carboidrati sono limitate, così lo stesso fegato si dà da fare per potenziare i meccanismi di gluconeogenesi con cui converte proteine ed in minor misura i grassi in glucosio, nelle quantità necessarie a garantire le esigenze indispensabili delle cellule che non possono farne a meno, come i globuli rossi ed inizialmente anche il cervello.
  3. Parallelamente le cellule capaci di farlo, come i muscoli, iniziano a virare verso l’utilizzo dei grassi come principale fonte energetica.
  4. Questo utilizzo non perfettamente efficiente dei grassi porta all’accumulo di corpi chetonici nel sangue.
  5. Il cervello si trova di fronte al fatto compiuto: scarsa disponibilità di glucosio, alta disponibilità di corpi chetonici, non ci pensa su troppo e nel giro di 2-3 giorni si adatta ad usare quest’ultimi per coprire le sue elevate necessità energetiche.
  6. Il cervello è il principale consumatore di glucosio del corpo, quindi una volta che si sia adattato ad usare i corpi chetonici si verifica una complessiva riduzione della necessità di tale molecola a livello dell’intero organismo ed il fegato può gradualmente ridurre la gluconeogenesi, avendo ora ristabilito un nuovo equilibrio, seppure diverso da quello preferito.

È infine importante comprendere che questi meccanismi non scattano mai come degli interruttori, come succede nell’esempio dell’automobile, si tratta di passaggi graduali, di spostamento degli equilibri verso una direzione o verso l’altra, tanto che si considera che il cervello impieghi fino a 3 settimane per raggiungere una nuova condizione di stabilità, in cui il rapporto tra utilizzo di chetoni/glucosio pende nella massima misura possibile a favore dei primi (circa 75% e 25%, se ti interessa una stima).

Peraltro è proprio dopo queste 3 settimane che i tessuti periferici riducono progressivamente l’utilizzo dei chetoni per lasciarli al cervello, passando invece ad utilizzare acidi grassi liberi.

Tecnicamente è solo adesso, dopo 3 settimane, che si può parlare di vera dieta chetogenica.

Concludiamo con un ultimo importante punto: i corpi chetonici, una volta sintetizzati, non si possono accumulare, quindi se non immediatamente utilizzati potrebbero venire semplicemente eliminati con le urine e, in parte, con il sudore e con l’aria che espiriamo, ecco perché l’alito fruttato caratteristico dei soggetti in chetogenica.

Sintomi

Nei primi giorni, al limite nelle prime settimane di chetosi, è abbastanza comune avvertire piccoli e transitori disturbi, come ad esempio

Si tratta di fastidi che in genere tendono a risolversi entro breve, chiari segnali della necessità di adattamento dell’organismo e del cervello in particolare alla nuova condizione.

Chetosi fisiologica o chetoacidosi?

È importante sgombrare il campo da equivoci su questo aspetto: esiste una condizione patologica, ovvero di malattia, che prende il nome di chetoacidosi ed insorge prevalentemente in pazienti affetti da diabete di tipo 1, talvolta anche negli alcolisti cronici, ma che rappresenta un caso estremamente particolare di chetosi e non una possibile conseguenza di diete chetogeniche (se non in condizioni di preesistente forte stress per l’organismo, come ad esempio uno stato di gravidanza o di malattia).

La chetoacidosi può avere esito potenzialmente fatale a causa dell’aumento fuori controllo della presenza di corpi chetonici in circolo, a differenza della cosiddetta chetosi fisiologica (indotta per esempio non solo da una dieta chetogenica, ma anche da un digiuno prolungato) che è un meccanismo ben rodato e sicuro, in cui il nostro organismo non perde mai il controllo della situazione.

La principale differenza tra chetosi patologica (pericolosa) e fisiologica risiede proprio nella quantità di corpi chetonici in circolo, che nel primo caso schizzano alle stelle.

Può valere invece la pena sottolineare un’importante differenza tra la chetosi dietetica (ovvero volontaria) e quella da digiuno; se è vero che in entrambi i casi si assiste ad un cosiddetto shift metabolico, ovvero un passaggio dall’uso del glucosio come principale substrato energetico, all’uso quasi esclusivo di acidi grassi e corpi chetonici, in condizioni di digiuno assoluto non c’è nemmeno un regolare apporto proteico, quindi il corpo userà anche le proteine come fonte energetica, proteine che vengono necessariamente prelevate dai muscoli determinando quindi una progressiva perdita di massa magra. Questo depauperamento viene invece prevenuto nelle diete chetogeniche attraverso un importante apporto proteico giornaliero.

Relativamente alle controindicazioni ed ai possibili effetti a lungo termine della dieta c’è tuttora un vivace dibattito in letteratura, perché disponiamo di pochi dati affidabili che vadano al di là di periodi di chetosi limitati, in genere non più di un paio d’anni. Approfondiremo questi dettagli nel prossimo articolo, dedicato alla dieta chetogenica.

Segnaliamo infine per completezza anche l’esistenza della chetoacidosi infantile, il cosiddetto acetone nei bambini, anche in questo caso condizione benigna a meno che non sia associata a diabete.

Fonti e bibliografia

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