Disbiosi intestinale: sintomi, test, dieta e cura

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Introduzione

L’intestino umano contiene trilioni di microrganismi (tra batteri, funghi e virus) che nel complesso formano il cosiddetto microbiota intestinale.

Abituati come siamo a pensare a batteri e virus come minacce per la salute, potremmo essere portati a concludere che anche quelli presenti nell’intestino rappresentino un pericolo o, nella migliore delle ipotesi, sottovalutarne l’impatto che possono avere in termini di promozione della salute umana. La realtà è invece differente: non solo i batteri presenti contribuiscono alla digestione ed al corretto assorbimento dei principi nutritivi introdotti con la dieta, ma hanno un’influenza molto più profonda sullo stato di salute, arrivando a condizionare in modo estremamente rilevante ogni apparato e sistema, ivi compreso il sistema nervoso (che è paradossalmente isolato da molti altri processi metabolici e biochimici per mezzo della barriera ematoencefalica).

Pensa che il microbiota è oggi considerato così importante, così determinante nella salute di un individuo, che inizia ad essere definito a tutti gli effetti un “organo”.

Negli ultimi anni, parallelamente all’aumento della conoscenza scientifica dei meccanismi biochimici e delle interazioni tra microbiota intestinale e salute è emerso quindi un nuovo concetto di malattia definita come disbiosi:

  • dis, prefisso con significato peggiorativo, indicante alterazione rispetto al normale
  • bio, dal greco bios, vita
  • osi, suffisso dal greco che in campo medico viene usato per indicare una malattia/condizione.

La disbiosi si contrappone quindi alla situazione di normalità (eubiosi), indicando una qualche forma di squilibrio della composizione del microbiota, anche se va detto che si tratta di un concetto non accettato dall’intera comunità scientifica, quantomeno nei termini in cui viene spesso proposto, perché in alcuni casi potrebbe essere difficile definire esattamente la direzione del rapporto di causa-effetto.

Uno dei tentativi probabilmente più riusciti di darne una definizione consiste nel considerarla un cambiamento nell’abbondanza relativa o nella diversità presente in relazione ad alcuni specifici gruppi di microrganismi, indotto ad esempio dallo stile di vita, con il risultato di una proliferazione eccessiva di patogeni ai danni di ceppi considerati positivi per la salute umana (ad esempio bifidobatteri); allargando ulteriormente l’angolo di visione alcuni autori inseriscono nella definizione non solo l’alterazione della composizione, ma anche l’eventuale variazione delle loro attività metaboliche, nonché uno spostamento relativo nella distribuzione locale, ovvero un po’ più su od un po’ più giù nell’intestino.

Sulla base di queste considerazioni è possibile classificare la disbiosi in tre diverse possibili forme, che sono sicuro ti aiuteranno a meglio comprendere il problema come è stato per me:

  1. Riduzione delle specie positive
  2. Aumento dell’impatto delle specie pericolose
  3. Riduzione della diversificazione delle specie presenti.

Le tre situazioni molto spesso vanno a sovrapporsi, a questo proposito è infatti molto importante comprendere che il microbiota non è mai una situazione statica, nemmeno quando è ottimale, ma sempre un equilibrio dinamico in cui numerose specie (su cui prevalgono per numerosità quelle considerate positive) competono tra loro per spazio e risorse; a titolo di esempio pensa ad esempio che, esclusa l’acqua, la frazione preponderante delle feci è costituita proprio da batteri e che un cambiamento delle abitudini alimentari conduce a variazioni molto significative del microbiota già in pochi giorni (è addirittura possibile rilevare un aumento di quasi due grammi di feci per ogni grammo di fibra introdotta, a causa del processo di fermentazione che promuove la crescita batterica).

Microbioma o microbiota?

Prima di procedere oltre una piccola parentesi dedicata alla nomenclatura:

  • Il termine microbiota indica l’insieme di microrganismi presenti in uno specifico distretto (ad esempio nell’intestino, se l’argomento è il microbiota intestinale),
  • parlando di microbioma si fa invece riferimento al patrimonio genetico del microbiota nel suo complesso, ovvero DNA (ed RNA) dei microrganismi. È interessante notare che il codice genetico dei microrganismi presenti (microbioma) supera di circa 150 volte quello del singolo organismo umano.

A proposito, in passato si usava spesso il termine flora batterica ad indicare il microbiota, ma alcuni autori ritengono che si tratti di una terminologia da abbandonare perché:

  • il termine flora porta a pensare alla presenza di specie vegetali, che non sono certamente rilevanti in termini numerici, ammesso e non concesso che ce ne siano,
  • ma l’aggettivo batterico risulta riduttivo, perché sebbene i batteri siano senza dubbio il Regno più rappresentato nell’intestino umano, è anche possibile isolare la presenza di virus e funghi.
Disbiosi

Shutterstock/Sakurra

Cause

Sebbene esista un insieme di specie batteriche comuni a tutti gli esseri umani sani (è stato stimato che un terzo del microbiota intestinale è comune alla maggior parte delle persone), la composizione esatta è per lo più unica per ciascun individuo, come una sorta di carta d’identità, ed è influenzata da:

  • Fattori non modificabili:
    • genetica individuale, che può essere responsabile di un ambiente e quindi di pressioni selettive anche sensibilmente diverse;
    • età dell’individuo;
    • parto, sia nel confronto tra parto naturale e cesareo (che priva il neonato del contatto diretto con il microbiota vaginale della mamma, probabilmente determinante nella futura composizione del proprio microbiota intestinale in quanto primo contatto con un ambiente non sterile, anche se ci sono ipotesi su contatti ancora precedenti), ma anche in quanto ad età gestazionale a cui avviene (i neonati prematuri mostrano differenze)
  • Fattori modificabili:
    • alimentazione, comprendendo tutto quanto riguardi la nutrizione umana; l’allattamento materno rispetto alle formule può determinare variazioni in qualche modo permanenti, così come ovviamente anche la successiva scelta quotidiana del cibo consumato e delle modalità di cottura/introduzione;
    • eventuali farmaci assunti
    • ambiente e stile di vita, ad esempio vivere in campagna tende a selezionare specie diverse rispetto alla città, così come anche la pratica regolare di attività fisica ed il peso corporeo.

La difficoltà di definire un concetto condiviso di disbiosi deriva anche dal fatto che è ostico definire cosa sia un microbiota ottimale, ma tendenzialmente si ritiene che questo preveda:

  1. Aumento della ricchezza e/o della diversità delle specie presenti: più specie ci sono e più sono diverse tra loro, meglio è;
  2. Direttamente collegato al primo punto, un’elevata ricchezza in termini di di geni microbici intestinali, un microbioma ricco e diversificato è considerato positivo tanto per il nostro metabolismo quanto per la salute in genere;
  3. Resistenza, resilienza e stabilità nel tempo, ovvero la capacità di resistere ad eventuali perturbazioni temporanee, come una terapia antibiotica o qualche sgarro alimentare di troppo, recuperando rapidamente un equilibrio di nuovo stabile ed ottimale;

Le possibili cause alla base di un’alterazione del microbiota sono numerose, spaziando da eventi acuti (assunzione di antibiotici) ad abitudini in grado di indurre alterazioni più progressive, come ad esempio un insufficiente apporto di fibra alimentare (sostanze che l’essere umano non è in grado di digerire, ma che è in grado di favorire lo sviluppo di specie batteriche considerate positive), passando per alterazioni meno note, come ad esempio

  • la composizione della dieta e l’equilibrio tra alimenti di origine animale e vegetale,
  • la presenza residua di antibiotici e fitofarmaci nel cibo consumato,
  • lo stress,
  • alcolici,
  • malattie intestinali (disturbi della motilità, malattie infiammatorie intestinali, …) ma anche sistemiche (diabete, allergie, tumori),
  • interventi chirurgici (spicca per importanza la resezione gastrica),
  • effetti indesiderati di farmaci, non solo antibiotici, ma anche ad esempio inibitori di pompa usati per la riduzione del pH gastrico.

Sintomi

Alla luce dell’assenza di una definizione condivisa di disbiosi è difficile distinguere tra effetti diretti (sintomi) e condizioni associate, ma poiché è noto che i batteri presenti siano in grado di influenzare direttamente la modulazione di importanti processi fisiologici intestinali come motilità e secrezione, oltre a rivestire un ruolo di primo piano nel mantenimento dell’integrità della barriera fisica costituita dall’intestino a separare l’ambiente esterno dagli organi interni, è ragionevole pensare che si possano sviluppare i disturbi caratteristici di sindromi funzionali come il colon irritabile.

Non sto dicendo che il colon irritabile sia causato da uno squilibrio del microbiota, anche se è possibile che per almeno una frazione di pazienti in realtà possa essere così, ma che si osservano sintomi poco specifici in assenza di lesioni od alterazioni organiche.

Prendendo ad esempio in esame una specifica forma di disbiosi, la SIBO, che consiste in un’eccessiva presenza di batteri (o, almeno secondo alcuni autori, un’eccessiva presenza di batteri indesiderati, definizione che condivido e che si lega in fondo al concetto più generale di disbiosi) i sintomi con cui si presenta possono comprendere

In molti casi i disturbi saranno più sottili, ma non solo, è probabile che per la maggior parte della popolazione portatrice di un microbiota non ideale non si manifestino sintomi specifici, se non una naturale predisposizione allo sviluppo di numerose malattie a seguito di un funzionamento sub-ottimale dei processi intestinali.

Complicazioni

Dovrebbe esserti ormai chiaro quanto il legame tra batteri intestinali ed organismo umano sia non solo stretto, ma bi-direzionale: le nostre scelte influenzano direttamente composizione e salute del microbiota, che di riflesso influenza direttamente il nostro stato di salute.

In termini biologici un rapporto di questo tipo tra due specie è definito simbiosi, ma sono in gran parte le scelte che facciamo ogni giorno a determinare se la relazione sia di tipo

  • mutualistico, ovvero di reciproco beneficio,
  • commensale, ci sopportiamo bene, senza darci fastidio a vicenda,
  • parassitico, quando ad esempio i batteri che selezioniamo sono felici del cibo spazzatura che gli consegniamo, ma anziché premiarci con effetti positivi esercitano un influsso decisamente negativo, fino ad arrivare a vere e proprie infezioni come quelle da clostridium difficile.

La presenza di un microbiota alterato è stato per questo associato allo sviluppo di condizioni e patologie anche molto gravi, come ad esempio

  • obesità
  • malattie infiammatorie intestinali
  • diabete
  • tumori

È importante ribadire che non esistono dimostrazioni di un rapporto diretto di causa-effetto tra l’alterazione intestinale e queste condizioni, ad esempio in alcuni casi potrebbe esserci una causa comune a determinarle entrambe, oppure la disbiosi potrebbe fungere semplicemente da fattore di rischio, ma l’aspetto su cui non ci sono più dubbi è l’importanza di mantenere e coltivare quotidianamente un microbiota quanto più possibile ottimale.

Test

Ad oggi non esistono test ed esami in grado di consentire routinariamente una valutazione del microbiota, salvo operare valutazioni indirette e/o invasive come ad esempio

  • analisi delle feci e coprocoltura (analisi microbiologica delle feci, ma che di norma è volta ad evidenziare specie dichiaratamente patologiche)
  • acidi organici urinari
  • breath test (approccio su cui persistono diversi dubbi in questo contesto)
  • analisi di un campione di materiale prelevato con tecniche endoscopiche, in genere gastroscopia (esame colturale quantitativo dell’aspirato delle secrezioni intestinali).

La stessa Gut Microbiota and Health, sezione della prestigiosa European Society for Neurogastroenterology and Motility (ESNM), ritiene che sia difficile operare una diagnosi corretta, anche in virtù dell’ampio ventaglio di quanto possa essere definito normale (si sono osservate variazioni piuttosto significative sia in termini di specie presenti che di percentuali relative) ed anche per questo sono stati proposti approcci sperimentali che poggiano su un’analisi genetica del microbiota (ovvero una valutazione del microbioma), ma per ora limitati alla ricerca.

Cura e dieta

Quello che mangi non nutre solo te in quanto individuo, ma anche l’incredibile ecosistema presente nel tuo intestino; per favorire un ambiente in grado di garantirti non solo l’assenza di malattia, ma anche un pieno benessere nel senso più ampio possibile del termine, quello che puoi fare quotidianamente è:

  • Consumare abbondanti quantità di alimenti ricchi di fibra alimentare: sicuramente frutta e verdura, ma soprattutto penso a cereali integrali e legumi; a questo proposito ti faccio notare che i LARN, il documento che suggerisce il fabbisogno di riferimento per i diversi nutrienti e rivolto alla popolazione italiana, a proposito di fibra sottolinea la necessità di consumare “negli adulti, almeno 25 g/die anche in caso di apporti energetici inferiori alle 2000 kcal/die.” Ti sottolineo due aspetti importanti: la parola almeno, che significa che 25 g è proprio il minimo indispensabile, ma più è meglio, secondo aspetto è che questo fabbisogno è indipendente dalle calorie introdotte: anche se mangi poco, la fibra deve sempre essere consumata in abbondanza. Come ricordiamo sempre, l’aumento dev’essere però graduale, un po’ alla volta, per evitare l’insorgenza di antipatici gonfiori se non sei ancora abituata.
  • Privilegiare alimenti biologici quando possibile, ma soprattutto
  • preferire gli alimenti vegetali a quelli animali, tra l’altro così farai un favore non solo a te stesso e ai batteri presenti nel tuo intestino, ma anche al pianeta;
  • Inserire nella tua dieta un’assunzione regolare di alimenti fermentati: probabilmente qualcosa consumi già, magari yogurt e gorgonzola, magari crauti quando vai a mangiare da Tony Panini Buoni in piazzetta, ma avventurati a scoprire anche qualcosa di meno conosciuto come le verdure lattofermentate (che non sono solo i crauti), bevande come kefir e kombucha, ma anche tempeh, kimchi e tanto altro;
  • Perdi peso se necessario e assicurati di perseguire una vita attiva.

Quando il danno dovesse ormai essere fatto, o perché arrivi da un’alimentazione non propriamente ottimale, o magari perché hai dovuto seguire tuo malgrado una terapia antibiotica, resta valido tutto quanto descritto relativamente alla dieta, ma potrebbe servire un approccio più incisivo. In questo senso sono tre i possibili interventi, peraltro molto diversi tra loro:

  • probiotici, quelli che spesso, ma impropriamente, chiamiamo fermenti lattici; optare per formulazioni di qualità significa assumere abbondanti quantità di batteri salutari in grado di arrivare vivi e vitali al tuo intestino; c’è tanta ricerca ancora da fare su questo argomento, e ti confesso che nutro ancora qualche perplessità, ma qualche evidenza c’è già;
  • antibiotici: sembra assurdo dopo tutto quanto ci siamo detti finora, ma alcuni casi possono essere trattati con antibiotici, anche se in realtà più che disbiosi si tratta ovviamente di vere e proprie infezioni intestinali;
  • in casi molto particolari, e fondamentalmente per ora i casi si riducono all’infezione da Clostridium Difficile resistente ad altre terapie, si può valutare infine di ricorrere al trapianto fecale da donatore, che sì, è proprio quello che stai pensando, seppure ovviamente con modalità tali da renderlo assolutamente tollerabile sotto tutti i punti di vista.

Fonti e bibliografia

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