Cos’è la colina?
La colina (o vitamina J) è un nutriente essenziale naturalmente presente in alcuni alimenti e disponibile come integratore alimentare (ricordiamo che essenziale in questo campo significa che è necessario introdurla regolarmente con l’alimentazione, perché indispensabile per l’organismo). Gli esseri umani sono in realtà in grado di produrre colina autonomamente a livello del fegato, principalmente come fosfatidilcolina, ma in quantità insufficiente a soddisfare i bisogni metabolici e strutturali.
Il corpo ha bisogno della colina per sintetizzare la fosfatidilcolina e la sfingomielina, due importanti molecole (fosfolipidi) necessarie per garantire integrità strutturale alle membrane cellulari; la colina è inoltre necessaria per produrre acetilcolina, un importante neurotrasmettitore coinvolto nei processi biochimici di
- memoria
- regolazione dell’umore
- controllo muscolare,
- altre funzioni cerebrali e del sistema nervoso.
La colina svolge anche un ruolo importante nella modulazione dell’espressione genica (come e quando si producono proteine a partire dal DNA), nei meccanismi di segnalazione a disposizione della membrana cellulare, nel trasporto e nel metabolismo dei grassi e negli stadi iniziali di sviluppo e maturazione del cervello.
È inoltre coinvolta nella regolazione della concentrazione di omocisteina nel sangue attraverso il suo metabolita betaina.
A cosa serve?
La colina viene comunemente offerta in forma di integratore con diversi scopi, tra i più comuni figurano:
- Protezione cardiovascolare: Alcune ricerche mostrano che un aumento delle scorte di colina potrebbe garantire un vantaggio in termini di salute cardiaca e dei vasi sanguigni, riducendo anche i valori di pressione sanguigna. Altre ricerche suggeriscono tuttavia un potenziale aumento del rischio cardiovascolare (probabilmente per la produzione di elevate concentrazioni ematiche di trimetilammina N-ossido (TMAO), generata dalla colina stessa), rendendo quindi ad oggi impossibile trarre una conclusione in merito, ma è parere di chi scrive che a differenziare i due effetti possa essere il dosaggio: la carenza, così come l’eccesso, potrebbe esporre allo sviluppo di rischi.
- Disordini neurologici: Alcuni studi hanno evidenziato un legame tra una maggiore assunzione di colina (e quindi livelli ematici più elevati) e una migliore funzione cognitiva (come la memoria verbale e visiva). Le sperimentazioni condotte su pazienti affette da pazienti con malattia di Alzheimer, demenza di Parkinson purtroppo non hanno confermate le ipotesi ed è quindi prematuro consigliarla a questo scopo.
- Steatosi epatica non alcolica: Garantirsi un adeguato apporto di colina è necessario per una corretta funzionalità epatica e per prevenire la steatosi epatica, ma i meccanismi esatti che ne sono alla base rimangono da chiarire.
In questo quadro molto nebuloso, l’EFSA ha autorizzato solo 3 indicazioni d’uso per la colina, utilizzabili nel caso di alimenti che contengano almeno 82,5 mg di colina ogni 100 g (o 100 ml, o porzione):
- contribuisce al normale metabolismo dell’omocisteina (anche se non necessariamente questo si traduce in benefici clinici),
- contribuisce al normale metabolismo lipidico,
- contribuisce al mantenimento della normale funzione epatica.
In che alimenti si trova?
La colina negli alimenti si trova principalmente in forma di fosfolipidi liposolubili, più che come colina libera; a seguito del consumo alimentare gli enzimi digestivi liberano parte della colina per garantirne l’assorbimento a livello dell’intestino tenue ed il successivo passaggio in circolo per il trasporto verso il fegato, dove verrà immagazzinata e rilasciata al bisogno.
La frazione restante, in forma di fosfolipidi interi, viene assorbita tal quale e distribuita direttamente ai diversi tessuti.
Sono numerosi gli alimenti che contengono colina (essendo presente tanto nelle membrane cellulari animali che vegetali, ma le principali fonti sono rappresentate da:
- carne,
- pollame,
- pesce,
- latticini
- e uova.
Anche le verdure crocifere (cavolo, cavolfiore, …) e alcuni fagioli ne sono ricchi, così come
- noci,
- semi
- e cereali integrali.
La colina è presente anche nel latte materno.
Secondo un parere espresso da un gruppo di esperti scientifici dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) i quantitativi di assunzione giornaliera adeguata sono quantificabili in:
- 160 mg per lattanti di età compresa tra 7 e 11 mesi
- da 140 a 340 mg per bambini di età compresa tra 1 e 14 anni
- 400 mg per adolescenti di età compresa tra 15 e 17 anni e adulti
- 480 mg per donne incinte e 520 mg per donne che allattano.
Vale la pena sottolineare che questi valori riflettono i dati sui consumi elaborati tramite indagini effettuate a livello della popolazione europea su individui sani.
Carenza
La carenza di colina può causare danni muscolari e danni al fegato tra cui steatosi epatica non alcolica; almeno nei Paesi sviluppati la carenza conclamata è fortunatamente rara, ma tra le fasce di popolazione più a rischio figurano:
- Donne incinte: Il rischio di sviluppare una condizione di carenza potrebbe essere maggiore nelle donne in gravidanza e in allattamento che non assumono integratori di acido folico, in coloro a rischio di carenza di vitamina B12 (ad esempio donne vegano che non l’assumano in forma di integratore); esistono ipotesi che correlano livelli più bassi di colina nel sangue a un aumentato rischio di difetti del tubo neurale (gravi malattie del feto), ma gli studi sono preliminari e ancora contraddittori
- Soggetti con specifiche alterazioni genetiche che riguardano il metabolismo di colina, folato e metionina.
- Pazienti che necessitano di nutrizione parenterale (endovena) totale (al momento la colina non viene aggiunta di routine alle soluzioni parenterali commerciali per neonati e adulti).
Effetti collaterali e controindicazioni
Assunzioni elevate di colina sono associate a:
- sviluppo di un odore corporeo di pesce,
- vomito,
- sudorazione e salivazione eccessive,
- abbassamento della pressione,
- tossicità epatica (fegato).
È stato dimostrato che il consumo di colina aumenta la produzione di TMAO, una sostanza che è stata collegata a un rischio più elevato di malattie cardiovascolari, in modo dose-dipendente negli adulti (dose-dipendente significa che maggiore è la dose, maggiore è il rischio).
Non sono note interazioni con farmaci.
Fonti e bibliografia
Autore
Dr. Roberto Gindro
DivulgatoreLaurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.