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Cos’è
Il topinambur è un tubero originario del continente americano, del Canada in particolare. Il nome scientifico del genere cui appartiene, Helianthus, deriva da due parole greche:
- “helios” (sole)
- e “anthos” (fiore)
e nasce dalla tendenza del fiore a seguire proprio la nostra stella nel cielo. E mi piace pensare che già questo comportamento sia in effetti di buon auspicio, una sorta di poetica premessa ai benefici garantiti da un regolare consumo dell’ortaggio.
Come al solito mi preme specificare che NON esistono alimenti indispensabili né miracolosi, ma ho la sensazione che il topinambur sia ingiustamente poco conosciuto e per questo poco usato, nonostante alcune sue caratteristiche che ne valgono da sole il consumo.
Si tratta di una pianta perenne, presente ovunque in Italia con la sola eccezione della Sardegna, e si consuma prevalentemente nella stagione fredda; fa parte delle Asteraceae, la famiglia che comprende anche lattuga, tarassaco, radicchio, carciofo e tante altre.
Ed è proprio il carciofo, almeno secondo alcuni, a costituire il paragone più adatto quando ci si chiede: ma che cavolo di gusto ha il topinambur?
A questo proposito, in inglese si chiama Jerusalem artichoke, che tradotto suonerebbe come “carciofo di Gerusalemme”; in realtà è la BBC a spiegarci che in questo caso il termine Jerusalem fa riferimento non tanto alla città, quanto all’assonanza con il termine italiano girasole, ovviamente per il comportamento descritto prima.
Proprietà
Da un punto di vista nutrizionale il topinambur, secondo le tabelle del CREA, apporta da bollito circa 50 calorie per 100 g, prevalentemente da carboidrati.
Secondo le tabelle USDA americane l’apporto energetico per il tubero consumato crudo è leggermente superiore, circa 70 calorie (probabilmente perché da bollito assorbe un po’ d’acqua), ma soprattutto ci permette di scoprire che rappresenta un’ottima fonte di numerosi minerali, tra cui
Ma è in realtà un’altra la caratteristica peculiare di questo tubero, la presenza di inulina. Solo topinambur e cicoria contengono quantità significative di questa sostanza, venduta anche come integratore, grazie soprattutto alla capacità di agire come prebiotico, favorendo cioè la selezione di una flora batterica sana e vitale nell’intestino.
Puoi immaginare l’inulina come una torta di compleanno per i tuoi amici batteri e nel topinambur ce n’è tanta, almeno il 10% in peso sul tubero crudo e con una certa variabilità in base alla varietà analizzata, ma alcuni studi ne hanno in realtà trovata anche molta di più (addirittura fino all’80%, considerato però in questo caso sul peso a secco). A influenzare la quantità interviene anche la freschezza del tubero, perché con il tempo l’inulina, che come tutta la fibra è una catena di carboidrati, tende a rilasciare i singoli anelli della catena.
E questi singoli anelli sono in realtà fruttosio, lo zucchero della frutta, ed è questa la ragione di quel sapore leggermente dolciastro così gradevole.
Ma non è tutto: il topinambur è considerato un alimento funzionale, ovvero naturalmente ricco di molecole dotate di proprietà benefiche e protettive per l’organismo, che vanno anche al di là del mero apporto nutrizionale. Tra gli effetti dimostrati o allo studio vale infatti la pena di citare:
- La già nominata inulina, studiata per potenziali applicazioni in pazienti affetti da diabete di tipo 2, obesità e malattie correlate, come la sindrome metabolica. Interessante notare che l’inulina di per sé non apporta calorie, è fibra e non siamo in grado di digerirla, ma la fermentazione batterica cui viene sottoposta produce acidi grassi a corta catena che possono determinare un minimo apporto calorico, che a seconda del grado di fermentazione e del modello utilizzato nel calcolo si stima che possa essere quantificato come variabile tra 0 e 2,5 kcal/g, ma poiché è probabile che l’assunzione giornaliera di questi carboidrati sia sostanzialmente trascurabile, in genere si considera che l’apporto sia pressoché nullo a fini pratici. Ma tutt’altro che nulli sono invece gli effetti degli acidi grassi a corta catena, che stanno accumulando una notevole letteratura a dimostrazione dei benefici sull’intero organismo, addirittura anche da un punto di vista neurologico. C’è poi grande attenzione sul possibile effetto di riduzione del colesterolo, anche se per ora si tratta di osservazioni preliminari che aspettano una conferma clinica, al pari di potenziali effetti di prevenzione su alcune forme tumorali.
- Più in generale la fibra apportata dal topinambur nel complesso favorisce poi la funzionalità intestinale, contribuendo al raggiungimento dei famosi 25-30 g giornalieri minimi consigliati dalle linee guida, peraltro favorendo la selezione di una flora batterica sana, che può influire attivamente anche in termini di stimolazione immunitaria e potenziamento della sintesi vitaminica, e sopprimendo allo stesso tempo la percentuale di quella putrefattiva (favorita dal consumo di alimenti di origine animale).
Controindicazioni
Considerato ininfluente da un punto di vista pratico sulla glicemia (indice glicemico e carico glicemico sono bassi), la caratteristica peculiare del topinambur si trasforma purtroppo anche nel suo più grande limite e controindicazione: soprattutto in soggetti poco abituati al consumo di fibra, può causare gonfiore e flatulenza. L’inulina è infatti considerata a tutti gli effetti un FODMAP, ovvero un carboidrato a catena corta fermentato dai batteri intestinali, che proprio per questa ragione può dar fastidio soprattutto ad alcuni pazienti affetti da sindrome del colon irritabile. Mi permetto tuttavia di sottolineare di come NON si tratti di allergia o intolleranza, ma solo di una reazione che potrebbe cambiare nel tempo, quindi se li hai mangiati una volta e ti hanno dato fastidio non è detto che questo valga per sempre, ma ovviamente ti consiglio ti introdurli gradualmente nella tua alimentazione, magari partendo da piccole dosi cotte.
Come si cucina
Eh già, perché i tuberi di topinambur, che tra l’altro assomigliano molto allo zenzero, sono anche estremamente versatili; se sei pigro come me puoi semplicemente pulirli bene, fregando gli eventuali residui di terra, e poi mangiarli crudi, ad esempio in insalata, senza necessità di sbucciarli.
Ma possono anche essere cotti in vari modi, ad esempio arrostiti, bolliti, a vapore, fritti, ridotti a zuppa o fatti fermentare in salamoia.
A differenza delle patate meglio conservarlo in frigorifero, dove si mantiene per una decina di giorni circa.
Autore
Dr. Roberto Gindro
laureato in Farmacia, PhD.Laurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.