Introduzione
Nel passato la diagnosi di sindrome della congestione pelvica (varicocele femminile) gettava spesso la donna in una condizione di frustrazione, non solo perché le possibilità di terapia erano poche e limitate, ma soprattutto perché si trattava di un quadro clinico in cui erano più le diagnosi escluse e gli esami negativi per altre patologie più conosciute, che le reali certezze.
Negli ultimi 20 anni abbiamo invece assistito a un progressivo miglioramento della conoscenza di questa patologia che, grazie anche a una maggiore sensibilità da parte degli specialisti coinvolti, ha permesso di diradare le nebbie che avvolgevano questa condizione.
La sindrome da congestione pelvica è una condizione che causa dolore pelvico cronico e si pensa che sia causato da alterazioni funzionali delle vene nell’area pelvica, ovvero nella parte inferiore della pancia (addome). Le vene sono i vasi sanguigni responsabili di riportare il sangue al cuore; in alcune donne le vene del basso addome possono smettere di funzionare bene, causando un progressivo accumulo di sangue che nel tempo induce un allargamento delle vene del bacino, che tendono a cambiare forma proprio come le vene varicose delle gambe (o le vene nello scroto nel varicocele maschile).
In questo senso il termine “congestione pelvica” indica un accumulo di sangue (congestione) nel basso addome (regione pelvica).
Tra i sintomi più comuni del varicocele femminile ricordiamo:
- dolore pelvico cronico che peggiora durante la mestruazione,
- dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali),
- dismenorrea (dolore durante la mestruazione),
- vene varicose alle gambe.
Il dolore può essere intermittente o costante, della durata di almeno 3-6 mesi ed avvertito nella regione pelvica o addominale; peggiora durante la mestruazione.
La diagnosi viene in genere sospettata sulla base della storia clinica e spesso trova conferma dall’esecuzione di tecniche di imaging che dimostrano la presenza delle varici pelviche.
L’avanzamento clinico-tecnologico ha inoltre consentito di offrire soluzioni terapeutiche più mirate e meno invasive, che permettono finalmente una buona gestione della condizione e un importante miglioramento della qualità di vita della paziente (fino a nove donne su dieci traggono beneficio dal trattamento).
Cause
Numerosi fattori contribuiscono alla genesi della sindrome della congestione pelvica.
Le donne con molteplici gravidanze alle spalle sembrerebbero essere più predisposte alla sindrome, soprattutto all’approssimarsi della menopausa:
- L’incremento dimensionale delle vene, causato dalla gravidanza, creerebbe le condizioni per l’incontinenza valvolare venosa.
- L’aumento di dimensione e le modificazioni anatomiche delle strutture pelviche durante i nove mesi di gestazione possono inoltre innescare un’ostruzione intermittente delle vene.
- Il ristagno del sangue in queste strutture venose dilatate può comportare fenomeni di trombosi, l’effetto massa sulle strutture adiacenti, specie le nervose, che, collettivamente, contribuiscono alla genesi del dolore.
È possibile che gli ormoni estrogeni possano rivestire un ruolo attivo nella genesi del problemi e, secondo alcuni autori, questa sarebbe la ragione della scomparsa del disturbo dopo la menopausa (la produzione ormonale viene meno).
Anche la presenza di anomalie ostruttive possono comportare, in via secondaria, la genesi della sindrome; un decorso retroaortico della vena renale sinistra, la compressione ad opera della arteria mesenterica superiore sulla vena renale sinistra, possono favorire l’insorgenza di queste varici ovariche sintomatiche; viceversa, la compressione dell’arteria iliaca comune destra sulla vena iliaca comune sinistra, contro la colonna, può causare l’insorgenza di varici degli arti inferiori o pelviche, fino alla trombosi.
Conseguenza di tale dilatazione ed incontinenza è il reflusso venoso e il ristagno di sangue, che determina un corredo sintomatologico, che comprende il dolore pelvico cronico, il dolore ai rapporti sessuali, i dolori alla comparsa del ciclo mestruale, la facile irritabilità della vescica, la presenza di varici nel pavimento pelvico, vulvari, perineali, e la comparsa di varici ectopiche negli arti inferiori. Tale reflusso e ristagno di sangue tende ad aumentare con la gravità, la deambulazione e la stazione eretta.
A differenza dell’uomo, dove il ristagno del sangue venoso determina un innalzamento della temperatura e una alterazione della fertilità, nella donna non esiste tale rapporto: in altre parole, nel caso del varicocele femminile la fertilità non viene alterata.
Sintomi
Definita inizialmente come insufficienza venosa pelvica, la sindrome della congestione pelvica fu descritta per la prima volta nel 1949 da Taylor, relativamente a una paziente che presentava il classico corollario sintomatologico:
- dolore pelvico continuo, presente da oltre 6 mesi, esacerbato durante la mestruazione,
- accompagnato da dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali),
- dismenorrea (dolore durante la mestruazione),
- congestione vulvare
- e/o comparsa di varicosità negli arti inferiori.
I sintomi legati alla presenza di dolore peggiorano durante il giorno e sono esacerbati dall’attività o dalla posizione eretta prolungata (restare a lungo in piedi), così come alcuni cambi di postura.
Le varici ovariche e pelviche sono un reperto frequente nelle donne adulte, soprattutto tra coloro che abbiano portato a termine una o più gravidanze e, in misura inferiore, tra le giovani donne asintomatiche.
Diagnosi
Essendo molto spesso una diagnosi di esclusione, il primo gradino del percorso diagnostico terapeutico rimane un approccio multidisciplinare, in cui ciascuno specialista coinvolto elimina le diagnosi differenziali di propria competenza:
- gastroenterologo per la patologia digerente,
- ginecologo per l’endometriosi, le cisti ovariche, il prolasso uterino e i fibromi,
- urologo per il la patologia urologica,
- flebologo o chirurgo vascolare per l’insufficienza venosa degli arti inferiori.
In passato queste varicosità potevano essere diagnosticate direttamente, con l’esame obiettivo (visita medica) delle varici vulvari o perineali, oppure in modo indiretto, sulla base della sintomatologia, che faceva indirizzare verso il sospetto di “una sindrome della congestione pelvica” .
Più recentemente è stato possibile aggiungere una dimostrazione pratica attraverso tecniche diagnostiche relativamente invasive, come la flebografia, o l’ecografia transvaginale.
Ad oggi, grazie a
- una maggiore diffusione dell’esame ecografico transvaginale tra i ginecologi,
- una maggiore conoscenza dell’interdipendenza della sindrome della congestione pelvica con le varici anomale degli arti inferiori,
si assiste ad un incremento delle diagnosi di varicocele femminile.
Il reflusso pelvico ha catturato l’attenzione degli specialisti vascolari, flebologi, per la potenziale relazione con l’insufficienza venosa degli arti inferiori; la vena iliaca interna si può connettere con la giunzione safeno femorale e le vene profonde, attraverso la vena pudenda, le collaterali perineali, trasmettendo l’ipertensione venosa pelvica al sistema venoso degli arti inferiori, tanto da costituire la causa nel 17% delle varici recidive dopo intervento chirurgico.
Un’incapacità di conoscere, considerare e ricercare questo punto alto di reflusso potrebbe compromettere l’efficacia di qualunque trattamento rivolto agli arti inferiori.
Terapia
La gestione medica, attraverso farmaci ormonali e antidolorifici, si è dimostrata insufficiente e deludente.
La legatura chirurgica delle vene ovariche o l’isterectomia si sono dimostrate essere non risolutive
L’intervento radiologico, endovascolare, ha comportato invece un significativo avanzamento nella risoluzione del quadro clinico. La tecnica prevede
- la semplice anestesia locale nell’accesso venoso (braccio o gamba)
- e l’introduzione di un filo guida e di un piccolo cateterino per andare dentro le vene ovariche.
Dopo aver dimostrato l’incontinenza delle vene, viene iniettato un farmaco sclerosante o molecole con azione simile e destinate a chiudere questi vasi diventati incontinenti.
Il tempo richiesto dall’intervento non supera i 45 minuti e può essere erogato in regime di day hospital, anche se ha tutte le caratteristiche per essere proposta in regime ambulatoriale protetto.
Dopo 6 settimane la paziente viene in genere invitata ad effettuare il controllo eco-color-Doppler o l’ecografia transvaginale, a seconda dello specialista da cui è stata inizialmente visitata.
Con la dovuta concentrazione nella fase di puntura iniziale e nella tecnica di embolizzazione, le complicazioni sono molto rare.
Si ringrazia il dott. Stefano Pieri dell’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma, medico chirurgo e docente in “Tecniche di Radiologia Medica per Immagini e Radioterapia”, per la preziosa collaborazione.
Autore
Dr. Roberto Gindro
laureato in Farmacia, PhD.Laurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.
Durante un’ecografia tranvaginale mi hanno diagnosticato un varicocele pelvico, cosa devo fare?
Il ginecologo suggerirà probabilmente di approfondire con un ulteriore esame (ecocolordoppler pelvico e transvaginale), dopodichè in base ai sintomi di valuterà il trattamento più adeguato.
La presenza di varici nelle gambe può predisporre allo sviluppo di varicocele?
Alcuni autori hanno effettivamente rilevato che in donne con varicocele pelvico si scopre una storia clinica di varici agli arti inferiori.
L’ecografia è pericolosa? Emette radiazioni?
La valutazione ecografica si basa sull’utilizzo di ultrasuoni, generalmente considerati assolutamente innocui.