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Ioduro di potassio e tiroide
Lo ioduro di potassio (simbolo chimico KI) è un sale di iodio stabile che può aiutare a ridurre o bloccare l’assorbimento di iodio radioattivo da parte della tiroide, proteggendola così da possibili danni in grado di evolvere in tumore.
La tiroide contiene il tessuto dell’organismo più sensibile allo iodio, elemento chimico che preleva continuamente dal sangue per la sintesi degli ormoni tiroidei.
A seguito di un incidente nucleare, a prescindere dal fatto che sia legato ad una centrale o allo scoppio di un ordigno atomico, è possibile che venga liberata nell’aria una grande quantità di iodio radioattivo, che può essere assorbito dall’organismo e che la tiroide non è in grado di distinguere da quello più stabile, ovvero sicuro, che introduciamo normalmente con l’alimentazione. L’assunzione di ioduro di potassio non impedisce allo iodio radioattivo di entrare in circolo e non può invertire gli eventuali danni già perpetrati alla ghiandola tiroidea, ma se presente in concentrazioni elevate nel sangue può superare per quantità quello radioattivo, spiazzandolo, e riducendone così la frazione assorbita dalla ghiandola. In parole semplici in virtù dell’elevata quantità di ione ioduro disponibile, la tiroide in poco tempo ne assorbirà una grande quantità e per le successive 24 ore non ne avrà più la necessità, perché ne avrà fatto sufficiente scorta, mentre la frazione circolante rimanente, radioattiva e non, verrà gradualmente eliminate con le urine.
È davvero efficace?
L’efficacia dello ioduro di potassio in caso di incidente nucleare non è mai del 100%, salvo condizioni ideali, ma se usato correttamente può davvero fare la differenza soprattutto se:
- L’assunzione sarà tempestiva (prima si assume, più tempo avrà la tiroide per captarlo e farne scorta), idealmente entro 3-4 ore al massimo,
- si riduce al minimo l’esposizione allo iodio radioattivo, ad esempio adottando le precauzioni necessarie a seguito di incidente nucleare.
Non possedendo invece la capacità di un’azione di espulsione dello iodio radioattivo, non può in alcun modo proteggere il resto dell’organismo dalle radiazioni rilasciate fintanto che questo, od altre particelle radioattive, saranno circolanti.
Per questa ragione l’assunzione di potassio ioduro non può proteggere da elementi radioattivi diversi dallo iodio e, se questo non fosse presente, l’assunzione del farmaco non avrebbe alcuna efficacia protettiva, esponendo semplicemente il paziente al rischio dei suoi effetti collaterali.
Sebbene il sale da cucina iodato venga spesso preparato proprio addizionando potassio ioduro, non ne contiene una quantità sufficiente ad impedire allo iodio radioattivo di entrare nella ghiandola tiroidea e quindi è si raccomanda di non assumerlo in nessun caso al posto del farmaco, “NON è meglio di niente” perché il sodio presente può causare gravi effetti indesiderati. Considerazioni simili valgono per alimenti noti per essere ricchi di iodio, come le alghe.
Soggetti a rischio
Feti, neonati e bambini sono i soggetti maggiormente esposti ai rischi derivanti dall’esposizione a iodio radioattivo, perché l’attività tiroidea è particolarmente intensa (e perché associati ad un’aspettativa di vita lunga, durante la quale c’è tempo in abbondanza affinché si possano manifestare complicazioni anche a distanza di tempo).
Sono ad elevato rischio anche tutti i soggetti in stato di carenza di iodio, una condizione che è purtroppo molto comune nella popolazione (anche se spesso non si manifesta in modo eclatante).
Premesso che l’assunzione dovrebbe avvenire solo a seguito di espresse indicazioni mediche (o provenienti dagli organismi sanitari preposti), i CDC americani consigliano che in caso di esposizione l’assunzione privilegi
- neonati,
- bambini,
- giovani adulti (18-40 anni),
- donne incinte e che allattano.
Gli adulti di età superiore ai 40 anni non dovrebbero assumere ioduro di potassio a meno che i funzionari della sanità pubblica o della gestione delle emergenze non rilevino una contaminazione particolarmente abbondante, perché in questa categoria
- il rischio di sviluppare un tumore alla tiroide è inferiore,
- mentre è maggiore la possibilità di manifestare allergie od altri effetti avversi all’integrazione.
Dove si compra?
Sono disponibili in commercio (farmacia e parafarmacia) preparazione solide (pillole, compresse, pasticche, tavolette, …) e liquide, ma non sempre di semplice reperibilità perché poco usate nella normale pratica clinica (ad esempio stati carenziali da iodio e cure radioterapiche); è possibile inoltre la preparazione galenica in farmacia dietro prescrizione medica.
A seconda della formulazioni può essere richiesta o meno ricetta medica.
Dosi e modalità di somministrazione
Secondo la FDA americana le consigliate prevedono:
- Ai neonati dalla nascita e fino all’età di 1 mese 16 mg in dose unica, a prescindere che siano allattati al seno o meno.
- Per neonati e bambini di età compresa tra 1 mese e 3 anni sono previsti 32 mg.
- Per i bambini di età compresa tra 3 e 18 anni la dose suggerita è di 65 mg, a meno che il peso non giustifichi già una dose superiore.
- Per gli adulti la dose piena è di 130 mg, comprese le donne che allattano.
- Le donne che allattano al seno devono assumere la dose per adulti di 130 mg.
Una singola dose protegge la ghiandola tiroidea per 24 ore ed è in genere sufficiente quando non si venga ripetutamente esposti a materiale radioattivo. Nelle donne in gravidanza, che allattano e nei neonati si dovrebbe cercare di evitare in ogni caso somministrazioni ripetute, perché esposti a possibili effetti indesiderati permanenti legati allo sviluppo di ipotiroidismo, che può avere ripercussioni anche sullo sviluppo cerebrale.
Effetti collaterali
L’assunzione di iodio a queste quantità non è necessariamente innocua e deve quindi sempre essere soppesata in base al rapporto rischio/beneficio.
Tra gli effetti collaterali si annoverano ad esempio:
- disturbi gastrointestinali, alleviati dall’assunzione in concomitanza con il cibo (ma in caso di incidente nucleare la tempestività di assunzione deve avere la priorità),
- reazioni allergiche potenzialmente anche gravi,
- eruzioni cutanee
- e infiammazione delle ghiandole salivari, che possono gonfiarsi.
Occasionalmente possono poi verificarsi effetti collaterali anche a carico della tiroide stessa, soprattutto in caso di:
- Dosi eccessive
- Dosi ripetute
- Malattie tiroidee preesistenti, conosciute o meno.
Soprattutto in questi casi è possibile lo sviluppo di iodismo, una sindrome da intossicazione da iodio, caratterizzata da:
- sensazione di sapore metallico,
- bruciore alla bocca e alla gola,
- dolore a denti e gengive,
- sintomi da raffreddamento,
- mal di stomaco
- e diarrea
Pazienti affetti da dermatite erpetiforme e vasculite ipocomplementemica dovrebbero valutare con grande attenzione l’assunzione di potassio ioduro, perché spesso soggetti allo sviluppo di reazioni da ipersensibilità allo iodio.
Altri soggetti che richiedono una valutazione personalizzata del rischio sono pazienti affetti da:
- noduli alla tiroide
- malattie cardiache, sia per l’attività di stimolazione sulla tiroide che per il potassio presente,
ed i minor misura in caso di specifiche patologie tiroidee:
In caso di emergenza nucleare si deve assumere potassio ioduro?
Si raccomanda di non assumere iodio se non suggerito dagli organi preposti, perché il rapporto rischio beneficio potrebbe non essere favorevole se ad esempio
- non fosse stato liberato iodio 131, ovvero l’isotopo radioattivo,
- se la distanza dall’incidente fosse tale da non costituire un rischio diretto.
Scadenza
È ragionevole pensare che la stabilità nel tempo sia particolarmente solida, rendendo quindi in genere utilizzabili anche formulazioni oltre alla data di scadenza (che per legge è limitata a 5 anni), ovviamente previo parere medico.
Fonti e bibliografia
Autore
Dr. Roberto Gindro
laureato in Farmacia, PhD.Laurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.