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Ritmi circadiani e glicemia
La temperatura del tuo corpo, la pressione del sangue, la concentrazioni di vari ormoni nel sangue come il cortisolo, … tutti parametri e funzioni che variano in modo sistematico, periodico e quindi abbastanza prevedibile durante le 24 ore, perché legate ai cosiddetti ritmi circadiani.
Meno noto è il fatto che a cambiare è anche la risposta glicemica al cibo: dato un pasto, lo stesso pasto, se consumato alla sera può avere un effetto drammaticamente diverso rispetto al consumo nelle prime ore della giornata.
Un panino alla Nutella consumato a colazione può stimolare una risposta glicemica che mostra una sensibile differenza rispetto al consumo serale…
Lo ammetto, non è una grande novità, è almeno da 60 anni che sappiamo che anche la tolleranza al glucosio osserva un andamento circadiano e più nello specifico quello che si osserva è un progressivo peggioramento che inizia nel tardo pomeriggio; pensa che in pazienti sani (non diabetici, sani) uno stesso identico pasto (diciamo il panino alla Nutella) consumato alle 20, rispetto alle 8 del mattino, induce una risposta glicemica doppia (a essere doppia è l’area sotto la curva, ovvero la variazione di glicemia nel tempo, e non il valore di picco):
Pensa che questo effetto è così rilevante che, per assurdo, l’esito di una curva da carico di glucosio, un esame per la diagnosi di diabete, nello stesso individuo può risultare normale al mattino e alterato alla sera, così alterato da rientrare nell’intervallo di diagnosi del pre-diabete, a causa di una ridotta tolleranza glucidica:
The size of the diurnal variation in glucose tolerance is strikingly large: adults with normal glucose tolerance in the morning are metabolically equivalent to being prediabetic in the evening. Fonte: Circadian Regulation of Glucose, Lipid, and Energy Metabolism in Humans
Ma non solo, è stato addirittura coniato il termine “diabete pomeridiano” per indicare l’esistenza di questi casi falsi positivi e anche se, per assurdo, la glicemia a digiuno è solitamente più bassa nel pomeriggio e alla sera rispetto al mattino, a dimostrazione del fatto che non è tanto la produzione endogena a modificarsi nella giornata, quanto più la risposta metabolica al consumo di cibo, che quelli bravi indicherebbero in effetti come una variazione diurna della tolleranza al glucosio, mediante soppressione ciclica dell’azione e della secrezione dell’insulina.
Ricapitoliamo per semplificare:
- al mattino la glicemia potrebbe essere un po’ più alta, ma è comunque migliore la tolleranza al glucosio, quindi rispondi meglio a pasti ricchi di carboidrati,
- nel pomeriggio sera la glicemia a digiuno tende a diminuire, ma peggiora la tolleranza al glucosio.
Ti faccio notare che, anche se può sembrare controintuitivo, questi due elementi viaggiano spesso in contrapposizione tra loro, tant’è che i diabetologi usano due nomi diversi per indicare l’insorgenza di difficoltà che possono predisporre allo sviluppo di diabete:
- una glicemia a digiuno compresa fra 100 e 125 mg/dL non è ancora diabete, ma è un’alterata glicemia a digiuno,
- una glicemia a 2 ore dopo un carico orale di glucosio, l’esame di cui abbiamo parlato poco fa, compresa fra 140 e 199 mg/dL non è ancora diabete ma è una ridotta tolleranza glucidica.
Cronobiologia
Ma torniamo alle variazioni di orario, perché quella descritta è in realtà solo la punta dell’iceberg di una branca della medicina definita cronobiologia, che studia come cambiano il metabolismo e altri processi in relazione all’ora del giorno o, più poeticamente, al sole e all’esposizione alla sua luce. Ad esempio quest’altro studio arriva alla conclusione che la scelta di alimenti a basso indice glicemico nelle ore serali è sostanzialmente inutile se presa allo scopo di ridurre la risposta glicemica, perché “consumare cibo a fine giornata ha un impatto metabolico dannoso indipendentemente dall’indice glicemico”, come confermato anche da studi successivi.
Tutti questi studi sono ragionevolmente solidi e non abbiamo quindi ragione di dubitare dell’esistenza di queste differenze, di queste notevoli differenze, che hanno quindi dimostrato una riduzione della tolleranza al glucosio che inizia ben prima di andare a dormire e continua poi a peggiorare fino a circa metà della notte.
In pazienti sani, per ora abbiamo parlato di soggetti in buona salute.
Perché questo accada non è ancora del tutto chiaro: sembrano coinvolti numerosi fattori tra cui diversi ormoni (ad esempio GH e cortisolo hanno notoriamente un andamento circadiano ed entrambi esprimono direttamente effetti sulla glicemia), ma anche la melatonina potrebbe essere coinvolta, il sonno stesso, l’età e l’eventuale sovrappeso, ma quello su cui vorrei concentrare la tua attenzione è tuttavia un aspetto differente.
Quanto ci deve importare o addirittura preoccupare questa variazione?
Analizziamo diversi casi e, per farlo, mi baserò in gran parte su questo bellissimo articolo pubblicato su una rivista di endocrinologia.
Ma prima apriamo una parentesi, perché non possiamo non tirare in ballo il digiuno intermittente.
Digiuno intermittente
Una delle forme più comuni di digiuno intermittente è la cosiddetta formula 16:8, che prevede di concentrare il consumo di tutto il cibo in 8 ore, alternandolo con 16 ore di digiuno.
Non esiste una regola assoluta sugli orari, ma la consuetudine prevede in genere di saltare la colazione, per unire le ore della mattina a quelle di digiuno naturale dovute al sonno; questo approccio prevede quindi di mangiare a pranzo, eventuale merenda e cena.
Visto con gli occhi di un cronobiologo questo è tuttavia uno schema non ottimale, perché andiamo a concentrare una significativa quota calorica e presumibilmente glicemica proprio nelle ore metabolicamente peggiori, ovvero quelle serali.
Prima di stravolgere le tue abitudini, ti consiglio prudenza: se con un 16:8 ti trovi bene, magari hai perso peso e tutto sembra funzionare, non avrei troppa fretta di stravolgere le abitudini, perché c’è una scala di priorità importante che non dobbiamo dimenticare, ma ne parliamo meglio alla fine.
Soggetti anziani
Prendiamo ora in considerazione i soggetti anziani, un caso che ho trovato curioso; prese nel loro insieme, le prove disponibili suggeriscono che, in condizioni dietetiche normali, la tolleranza ai pasti ricchi di carboidrati diminuirebbe con un certo anticipo negli anziani rispetto ai soggetti giovani magri.
Le abitudini alimentari comportamentali negli anziani, che tendono ad anticipare l’ora della cena rispetto agli adulti più giovani, sembrano quindi corrispondere tutt’altro che casualmente ai cambiamenti metabolici dell’organismo, anche se di fatto “le implicazioni cliniche restano da chiarire”, ovvero non è detto che obbligare tutti gli over-65 a mangiare prima del tramonto sia davvero necessario.
Obesi
Ecco, qui le cose si fanno più interessanti, perché un soggetto obeso è un paziente ad alto rischio di squilibri metabolici, che riguardano non solo la glicemia ma anche i grassi e la pressione del sangue.
Va da sé che tutto ciò che può aiutare a perdere almeno qualche chilo potrebbe essere utile e forse in modo un po’ inaspettato, nella revisione si osserva che, mediamente, questi soggetti tendono a trascurare la colazione a favore degli altri pasti della giornata.
Ovviamente non è troppo chiaro quale sia la causa e quale l’effetto e non entriamo nelle infinite discussioni sull’opportunità di fare o meno colazione, anche perché a complicare l’analisi subentra un potenziale effetto estremamente rilevante della sindrome delle apnee notturne, condizione comune nel paziente obeso che può a sua volta influire sulla tolleranza al glucosio.
Complessivamente gli autori non si sbilanciano a suggerire variazioni comportamentali, ma in questa categoria di pazienti potrebbe avere senso iniziare a starci attenti, rifacendosi un po’ alla saggezza popolare del “colazione da re, pranzo da principe, cena da povero”.
L’obiettivo rimane tuttavia la perdita di peso, più che il contenimento della glicemia, anche se a parità di altre condizioni, abitudini e preferenze, potrebbe avere senso dare un occhio anche all’orologio.
Anche se, va detto, iniziamo a osservare uno strano fenomeno: a differenza dei pazienti sani, negli obesi non si osserva più una riduzione della tolleranza al glucosio nelle ore serali, proprio come succede nella prossima categoria di pazienti che andiamo a esaminare.
Diabetici
Nel soggetto diabetico la situazione si fa, se possibile, ancora più complessa: dai numerosi e spesso contraddittori studi sulle variazioni diurne e notturne della regolazione del glucosio nel diabetico che NON usa insulina, emergono almeno due differenze importanti:
- Innanzitutto, la tolleranza al glucosio aumenta dalla mattina alla sera, esattamente il contrario di quanto si osserva nel soggetto sano, dove la tolleranza al glucosio e la sensibilità all’insulina sono massime al mattino.
- In secondo luogo, in alcuni pazienti diabetici non insulino dipendenti si può osservare un aumento dei livelli di glicemia al risveglio, il discusso e controverso effetto alba.
Anche alla luce di questi rilievi contraddittori, a mio parere sulla scala delle priorità la scelta di cosa e quanto mangiare rimane quindi molto più determinante del quando, con il fermo obiettivo di perdere peso a qualsiasi costo, ad oggi l’unica strategia che ha dimostrato di poter garantire in alcuni casi una completa remissione della malattia.
Se spostiamo l’attenzione sui pazienti in terapia con insulina, è abbastanza chiaro che eventuali variazioni diurne nella tolleranza al glucosio sono probabilmente di minore importanza rispetto al ruolo svolto da altri fattori, come
- regime di terapia insulinica (tipo, dosaggio, tempi, etc.),
- abitudini alimentari (dimensioni dei pasti, composizione e tempistica)
- e attività fisica (intensità, durata e tempistica).
Soggetto sano
E arriviamo finalmente a quello che spero essere il tuo caso: nel soggetto metabolicamente sano… normopeso e giovane? Che si fa?
Vale la pena prestare attenzione all’orologio nella scelta di cosa preparare o addirittura se preparare?
Gli autori della revisione non entrano nel merito del caso, ma la mia personale opinione è che che no, non vale la pene perderci il sonno, quantomeno con le attuali conoscenze, ma lascia che te ne spieghi la ragione,
Nel paziente a rischio, ma soprattutto nel paziente diabetico, tra gli obiettivi terapeutici che ci si pone uno dei principali consiste nel limitare l’escursione dei valori di glicemia perché, essendo fuori controllo, può facilmente raggiungere valori così elevati da determinare lesioni ai vasi sanguigni, responsabili negli anni dell’insorgenza delle classiche complicazioni del diabete.
Nel soggetto sano NON è così, perché per definizione è sano, metabolicamente sano, quindi la sua risposta in termini di glicemia e insulina è entro limiti fisiologici e quindi non pericolosa; a costo di apparire blasfemo, ritengo che anche l’ossessione per alimenti a basso indice glicemico sia sopravvalutata se questo non va in contrasto con l’apporto calorico complessivo e il raggiungimento del fabbisogno giornaliero di fibra… non dimentichiamo infatti che la popolazione africana di cacciatori raccoglitori Hadza vive per diversi mesi all’anno dipendendo per circa l’80% del proprio fabbisogno calorico dal miele, cioè da zucchero, e praticamente non conoscono né obesità né diabete.
Questo significa che il problema non è necessariamente un indice glicemico elevato, ma più probabilmente un surplus calorico che predispone alla perdita della capacità di gestire adeguatamente i carboidrati.
Ossessionarsi sul contenere le escursioni di glicemia è sbagliato e probabilmente nemmeno troppo utile rispetto ad altre scelte; peraltro questa è la posizione delle nostre linee guida
Il consumo di cereali integrali rientra nelle indicazioni di una dieta salutare, ossia di uno stile di vita alimentare che sia protettivo nei confronti delle malattie cronico-degenerative. Quindi è una buona pratica la sostituzione di cereali raffinati con cereali integrali. Questo non vuol dire che le farine “bianche” o “raffinate” o “tipo 0 o 00” siano un “veleno”, come troppo spesso purtroppo si sente dire non solo sui media e sul web, ma soltanto che bisogna limitarne il consumo a favore di prodotti integrali.
Gli alimenti ottenuti con farina bianca hanno un indice glicemico più alto di quelli ottenuti con farina integrale (e questo è ovvio perché contiene poca fibra), ma non significa che la farina bianca provochi il diabete o che determini un’iperproduzione di insulina, o che sia responsabile di obesità. È questione di misura e l’indice glicemico è, oltretutto, un parametro complesso di difficile interpretazione poiché riguarda un solo ingrediente di un solo alimento come in questo caso e non tiene conto della composizione degli altri nutrienti, degli altri alimenti e degli altri pasti.
Non fraintendermi, personalmente consumo quasi esclusivamente cereali integrali (se solo si trovassero più facilmente i paccheri integrali, accidenti…), ma la scelta è dettata soprattutto dalla ricchezza nutrizionale in termini di minerali e vitamine e dall’effetto che la fibra esercita sul microbiota intestinale e sul senso di sazietà, più che sul contenimento della risposta glicemica.
(Per inciso, c’è chi ritiene che anche il microbiota abbia un peso nell’insorgenza di diabete)
Ripeto perché sia chiaro: cerca di preferire cereali integrali, ma il ridotto indice glicemico non è probabilmente la ragione che più deve preoccuparti.
Per questa stessa ragione non mi fascerei la testa sulla scelta degli orari, se non prima di essermi assicurato che l’apporto calorico sia corretto, la qualità della dieta buona e l’attività fisica abbondante.
Clicca qui per leggere la seconda parte dell’articolo: Tutta la verità (scomoda) sui picchi glicemici
Altra fonte e bibliografia
Un ringraziamento particolare al Dr. Greger che, seppure con conclusioni differenti dalle mie, ha ispirato questo video e fatto un lavoro straordinario nella raccolta di gran parte della bibliografia usata.
Autore
Dr. Roberto Gindro
laureato in Farmacia, PhD.Laurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.