Retinite pigmentosa: cause, sintomi e cura

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Introduzione

La retina è uno strato di tessuto posto nella parte posteriore dell’occhio che si occupa di convertire la luce in segnali elettrici da inviare al cervello, che procederà poi ad una corretta interpretazione.

Retinite pigmentosa è il termine che indica un gruppo di malattie oculari rare che colpiscono la retina.

Retina

Shutterstock/Designua

La retina è costituita da speciali cellule nervose capaci di reagire alla luce (ad esempio in forma di coni e bastoncelli) e al fine di garantire una corretta visione è necessaria un’efficace cooperazione tra queste; le mutazioni genetiche che causano le diverse forme di retinite pigmentosa impediscono a queste cellule di funzionare correttamente, causando in ultimo la perdita progressiva della vista; si tratta di malattie genetiche, i cui sintomi esordiscono già durante l’infanzia, ma evolvono in modo variabile a seconda della forma ereditata.

Purtroppo ad oggi non esiste cura, quindi la terapia è volta massimizzare la capacità visiva del paziente in ogni fase della malattia.

Cause

La retinite pigmentosa è una malattia genetica, ovvero causata da errori presenti nel DNA fin dalla nascita.

Più nel dettaglio può essere la conseguenza di alterazioni di numerosi geni (l’unità funzionale del DNA: se immaginiamo il DNA come un manuale d’istruzioni relativo al funzionamento dell’organismo, un genere rappresenta un paragrafo dedicato ad una specifica funzione).

I difetti possono essere associati a molteplici capacità di causare lesioni, ma tendenzialmente quello che si osserva è la morte delle cellule deputate alla visione nottura (bastoncelli); sul lungo periodo la perdita di un gran numero di cellule genera un effetto più diffuso sul tessuto della retina, che innesca una progressiva perdita anche dei coni (responsabili della visione diurna e dei colori); come vedremo in seguito questo andamento rispecchia perfettamente anche il decorso più comune della malattia in termini di sintomi.

Interessa 1 persona su 4000 negli Stati Uniti e circa una su 5000 nel mondo e si tratta quindi della malattia ereditaria più comune della retina; in genere è bilaterale (colpisce entrambi gli occhi), ma esistono segnalazioni aneddotiche di un coinvolgimento monolaterale. I maschi sono colpiti leggermente più spesso delle femmine, a causa della diffusione di forme trasportate sui cromosomi sessuali (ereditarietà X-linked).

A seconda dei casi il rischio di trasmissione della malattia ai propri figli è differente, è quindi consigliabile per i pazienti affetti procedere ad una consulenza genetica prima di iniziare la ricerca di una gravidanza.

Più raramente la retinite pigmentosa può essere causata dagli effetti collaterali di alcuni medicinali o la conseguenza di infezioni/lesioni agli occhi.

Sintomi

Il sintomo iniziale più comune della retinite pigmentosa è la perdita della capacità visiva notturna, che si sviluppa già durante l’infanzia nella maggior parte dei casi; poiché i bambini non hanno necessariamente un termine di paragone, i genitori potrebbero rendersi conto del sintomo osservando un’eccessiva difficoltà a muoversi al buio od in condizioni di luce fioca.

La retinite causa anche la perdita della visione periferica (laterale), ovvero una difficoltà a percepire oggetti e persone ai lati del campo visivo; nel tempo questo si restringe progressivamente, fino a residuare nella sola visione centrale (chiamata anche visione a tunnel).

La velocità con cui la malattia progredisce è variabile da un paziente all’altro, ma tendenzialmente purtroppo al termine del decorso la perdita della capacità visita coinvolge anche la parte centrale, seppure la fase finale non sia quasi mai una completa cecità.

Spesso si rilevano anche:

  • Sensibilità alla luce intensa
  • Perdita della capacità di distinguere i colori.

Tra gli effetti tardivi si annovera lo sviluppo di fotopsia, ovvero l’anomala percezione di lampi di luce, che in alcuni pazienti può anche progredire fino al punto di indurre allucinazioni visive.

La retinite pigmentosa affligge in genere entrambi gli occhi, ma è raro che conduca all’assoluta cecità.

Complicazioni

Oltre alla perdita progressiva della vista, evento già drammatico di per sé, è necessario tenere in considerazione ulteriori importanti aspetti; una volta formulata la diagnosi la prognosi diventa relativamente prevedibile, quindi è necessario che il paziente e la famiglia predispongano i necessari cambiamenti volti ad apprendere la massima indipendenza possibile, più a lungo possibile, a partire da scelte banali come la disposizione dei mobili (che deve essere stabile nel tempo) e la valutazione di illuminazioni aggiuntive nelle aree di lavoro.

È purtroppo molto comune lo sviluppo di sentimenti d’ansia e di depressione, legate alle inevitabili rinunce cui la condizione obbliga.

Diagnosi

Il medico oculista può diagnosticare la malattia con un esame indolore, che consiste nell’instillare un collirio nell’occhio per indurre la dilatazione della pupilla e poi osservare la retina con un apposito strumento (esame del fondo oculare).

È poi possibile ricorrere ad ulteriori esami (ad esempio l’elettroretinografia, che misura la risposta della retina alla luce, ma anche il campo visivo ed altri) per valutare le caratteristiche di progressione della malattia, oltre che test genetici per valutarne il profilo da questo punto di vista.

Cura

Purtroppo non esiste ad oggi cura in grado di arrestare la progressione della malattia, quindi la terapia è limitata alla prescrizione di ausili per aiutare il paziente ad ottenere il massimo della propria capacità visiva.

Secondo alcuni autori la somministrazione di vitamina A potrebbe rallentare la perdita della vista di alcune forme di retinite, ma poiché la terapia

va valutata caso per caso.

Si raccomanda in genere l’utilizzo di occhiali da sole per proteggersi da un’eccessiva esposizione alla luce, che potrebbe accelerare la progressione delle lesioni.

Sono allo studio terapie geniche, ma si tratta per ora di approcci esclusivamente sperimentali.

Fonti e bibliografia

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