Cosa cambia nel tuo corpo se il ferro non arriva più dalla carne?

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Il ferro è uno dei nutrienti più discussi quando si parla di alimentazione vegetale. La sua forma più facilmente assorbibile, il ferro eme, si trova solo nei cibi di origine animale, ma non dobbiamo dimenticare che anche nella carne solo una parte del ferro è eme: il resto è ferro non-eme, lo stesso che si trova negli alimenti vegetali.Ma cosa succede esattamente nel nostro intestino quando riduciamo il consumo di carne? È vero che si rischia una carenza di ferro?

Uno studio controllato ribalta la prospettiva

Un recente studio pubblicato su Molecular Nutrition & Food Research ha analizzato l’assorbimento del ferro non-eme, confrontando vegani e onnivori. I partecipanti hanno consumato un pasto test a base di pistacchi, tra le fonti vegetali più interessanti per contenuto di ferro: 7 mg ogni 100 g (a titolo di paragone, 100 g di filetto crudo ne contengono poco più di 2 mg, destinati a ridursi ulteriormente con la cottura).

Adattamento fisiologico: il corpo si adatta

Misurando l’area sotto la curva (AUC) dei livelli sierici di ferro nelle ore successive al pasto, lo studio ha rilevato che nei vegani l’assorbimento era superiore del 50%.

Il corpo, insomma, si adatta: in assenza di ferro eme, ottimizza l’assorbimento del ferro non-eme.

Vale la pena di notare che questo adattamento non è una risposta a una carenza, visto che non sono state rilevate differenze significative nei livelli di ferritina, emoglobina o recettore della transferrina, ma piuttosto un meccanismo fisiologico naturale.

Questo non significa che chi segue una dieta vegetale sia immune da carenze — la sorveglianza clinica resta fondamentale — ma i dati oggi disponibili rafforzano l’idea che una dieta prevalentemente vegetale, ben pianificata, possa essere non solo sostenibile, ma anche fisiologicamente intelligente.

Il ruolo dell’epcidina e del microbiota

L’ormone chiave in questo processo è probabilmente l’epcidina, che il cui ruolo fisiologico è l’inibizione dell’assorbimento del ferro. I livelli di epcidina erano significativamente più bassi nei vegani, facilitando così un maggior assorbimento intestinale.

Un’altra ipotesi affascinante, non esplorata direttamente dallo studio ma sostenuta da ricerche precedenti, riguarda il ruolo del microbiota intestinale nel modulare l’espressione dei trasportatori del ferro in base alla sua disponibilità.

Troppo ferro? Anche questo è un rischio

Donna tiene in una mano una bistecca, nell'altra dei pistacchi

È vero che l’anemia da carenza di ferro è riconosciuta dall’OMS come la carenza nutrizionale più diffusa al mondo, ma è altrettanto vero che l’eccesso di ferro, in particolare quello eme, può aumentare il rischio di diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori al colon-retto.

In questo senso il ferro non-eme ha un vantaggio spesso trascurato: il suo assorbimento è molto più finemente regolato. L’organismo sa aumentarlo se necessario, ma anche ridurlo quando le riserve sono piene, proteggendosi così da un possibile eccesso.

La regolarità conta

Perché questo meccanismo di adattamento funzioni, serve tuttavia costanza: cereali integrali, legumi, frutta secca a guscio e semi (le fonti di ferro vegetale) e alimenti ricchi di vitamina C (che aumenta l’assorbimento del ferro non-eme) devono far parte della dieta abituale, non solo occasionale.

L’organismo regola la produzione di epcidina e l’espressione dei trasportatori intestinali sulla base delle abitudini, non del singolo pasto.

In altre parole, non serve essere perfetti ogni giorno, ma coerenti nel tempo. È la regolarità, non l’intermittenza, a plasmare un metabolismo efficiente e in equilibrio.

 

Per approfondire: Come sostituire il ferro della carne?

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