La tua dieta fa (davvero) schifo. E lo dice la scienza
Negli ultimi anni, la qualità della nostra alimentazione quotidiana è cambiata in modo profondo, silenzioso e spesso sottovalutato.
A testimoniarlo non sono opinioni, tendenze o mode del momento, ma dati scientifici concreti: uno studio recente condotto dall’Istituto Superiore di Sanità ha analizzato le abitudini alimentari della popolazione italiana negli ultimi 15 anni e i risultati sono tutt’altro che rassicuranti.
Altro che dieta mediterranea
Quando si parla di “dieta mediterranea”, molti immaginano ancora il modello alimentare tradizionale degli anni ’60:
- cereali integrali,
- legumi,
- verdure,
- olio extravergine d’oliva.
Uno stile di vita più che una dieta, che tutto il mondo ci ha invidiato per decenni.
Eppure oggi, quella dieta è diventata archeologia alimentare.
Nel triennio 2018–2020, solo il 6% in peso degli alimenti consumati dagli italiani era costituito da cibi ultraprocessati. Potrebbe quasi sembrare una buona notizia, ma c’è un problema: quel piccolo 6% era responsabile di circa il 23% delle calorie totali introdotte giornalmente.
In altre parole, quasi un quarto delle calorie che ingeriamo arriva da una piccolissima fetta di cibo ad altissima densità energetica, spesso povero di nutrienti e ricco di zuccheri, grassi raffinati, sale e additivi.
Due dati, due problemi
Questo dato apparentemente tecnico ci racconta due verità scomode:
- Primo: gli alimenti ultraprocessati sono estremamente calorici rispetto al loro peso. In piccole porzioni apportano grandi quantità di energia, ma non saziano a dovere. Snack “light”, piatti pronti, barrette, patatine e merendine: tutti esempi di cibi iper-palabili, disegnati per essere irresistibili, consumati in fretta e spesso in quantità maggiori di quanto crediamo.
- Secondo: ne consumiamo troppi. Se un quarto del nostro fabbisogno energetico giornaliero arriva da alimenti industriali ultralavorati, allora non è un problema di “carboidrati” o di “grassi” in senso assoluto come spesso si litiga sui social, ma di qualità complessiva del cibo. Basta leggere le etichette per rendersene conto.
Ma cosa significa “ultraprocessato”?
Secondo la classificazione NOVA, oggi utilizzata anche dall’OMS e da numerosi studi epidemiologici internazionali, si definiscono ultraprocessati quei prodotti alimentari che:
- non somigliano più all’alimento di partenza, per aspetto, struttura e composizione nutrizionale
- contengono ingredienti industriali raffinati o isolati, come zuccheri aggiunti, oli vegetali idrogenati, amidi modificati, proteine isolate
- sono ricchi di additivi, come emulsionanti, coloranti, edulcoranti, aromi artificiali
- sono spesso progettati per essere conservabili a lungo, iperappetibili e facilmente consumabili
In realtà non si tratta solo di junk food conclamato, talvolta anche prodotti apparentemente “sani” – come yogurt zuccherati alla frutta, cereali per la colazione, snack “fit”, zuppe pronte – possono rientrare in questa categoria.
Una trappola alimentare moderna
Non è questione di demonizzare questi prodotti. Viviamo in un mondo dove il tempo è scarso, la cucina domestica è spesso sacrificata e l’offerta industriale è abbondante, accessibile, economica.
Ma sottovalutare l’impatto metabolico e comportamentale di questi alimenti è un errore che paghiamo in termini di salute pubblica: aumento di obesità, diabete, sindrome metabolica, disturbi del comportamento alimentare.
I cibi ultraprocessati:
- alterano i segnali di fame e sazietà
- inducono un consumo più rapido (meno masticazione, pasti brevi, meno consapevolezza)
- forniscono meno fibra, meno micronutrienti, meno varietà
- favoriscono il consumo in eccesso, grazie a consistenze e sapori studiati a tavolino
Mangiare cibo vero, cucinato anche in modo semplice, richiede più tempo. Ma proprio quel tempo permette al cervello di registrare il senso di sazietà, modulare l’appetito e ridurre gli eccessi.
La soluzione è semplice. Ma non facile.
La proposta non è estremista. Nessuno pretende che si cucini ogni giorno come in un monastero zen. Ma serve consapevolezza: riconoscere i cibi ultraprocessati e limitarne il consumo è il primo passo.
Le raccomandazioni, in fondo, non sono cambiate e possono essere così riassunte:
- Mangia cibo vero.
- Poco.
- Soprattutto vegetale.
Lo diceva anche Michael Pollan, ma oggi lo conferma anche l’epidemiologia nutrizionale.