Alzheimer: esame del sangue in arrivo, ma…

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Per la prima volta negli Stati Uniti è disponibile un esame del sangue per identificare soggetti con probabile presenza di beta-amiloide cerebrale, una delle lesioni caratteristiche della malattia di Alzheimer. Il test, chiamato PrecivityAD e prodotto da C2N Diagnostics, rappresenta una potenziale svolta nella diagnosi precoce, perché è in grado di fornire una stima della probabilità che nel cervello del paziente siano presenti placche amiloidi, elemento centrale della diagnosi biologica dell’Alzheimer.

Questa innovazione ha il potenziale di sostituire — almeno in parte — esami più invasivi o costosi, come la PET cerebrale o la puntura lombare, soprattutto in contesti territoriali e non solo in centri specializzati.

Perché non è quello che pensi…

Immagine concettuale del cervello con accumuli di beta amiloide

Il test attuale è utile per distinguere l’Alzheimer da altre forme di demenza in persone che mostrano già sintomi cognitivi importanti.

Uno studio pubblicato su JAMA nel luglio 2024 ha mostrato che il test, basato sulla rilevazione di proteine associate alla malattia, migliora l’accuratezza diagnostica dei medici.

Purtroppo l’Alzheimer si sviluppa silenziosamente per decenni, senza sintomi evidenti e il vero obiettivo — ancora lontano — è un test in grado di identificare precocemente chi sta sviluppando la malattia prima che compaiano i sintomi, combinato con una cura che possa bloccarne la progressione in questa fase iniziale (molti scienziati credono che intervenire così presto potrebbe prevenire la comparsa dei sintomi, ma questo resta da dimostrare).

Perché è necessaria cautela?

Nonostante il grande potenziale, è essenziale sottolineare le criticità ancora aperte:

  1. Limitata validazione nei soggetti asintomatici: come spiegato nel paragrafo precedente gran parte degli studi riguarda pazienti con sintomi cognitivi lievi. L’uso nei soggetti asintomatici per screening su larga scala rimane sperimentale e non raccomandato.
  2. Rischio di falsi positivi/negativi: come ogni test di screening, esiste un margine di errore. Un risultato positivo non equivale a una diagnosi di Alzheimer, né un risultato negativo lo esclude con certezza. Inoltre, la presenza di amiloide cerebrale non implica necessariamente un futuro sviluppo di demenza (fenomeno noto come “amiloidosi asintomatica”).
  3. Conseguenze psicologiche e sociali: ricevere un risultato che indica “alto rischio” può generare ansia e stigma, soprattutto in assenza di sintomi clinici. È fondamentale che il test sia sempre accompagnato da una consulenza specialistica adeguata.
  4. Costi e accessibilità: sebbene meno costoso rispetto a una PET, il test ha oggi un costo elevato e, in ogni caso, ad oggi in Italia non è ancora disponibile nella pratica clinica.
  5. Rappresentatività delle coorti di studio: molti studi finora pubblicati sono stati condotti in centri altamente specializzati, su popolazioni selezionate e con alto livello di istruzione. L’applicabilità dei risultati a popolazioni diverse (diverse etnie, livelli socioeconomici, comorbidità multiple) resta da dimostrare.

Fonti

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