Spezzare gli spaghetti prima della cottura è un gesto che divide l’umanità più dell’ananas sulla pizza, ma oltre a offendere l’onore della tradizione italiana e provocare svenimenti tra i puristi, potrebbe sorgere un dubbio più scientifico: rompere gli spaghetti ne modifica lindice glicemico?
Anche se forse la vera domanda è un’altra ancora: ma che razza di dubbi ti viene in mente di porti?
La forma della pasta influenza la glicemia?
In realtà sì. Non è solo una questione estetica.
La struttura fisica della pasta influisce sul modo in cui l’amido viene rilasciato e digerito.
Le paste corte hanno generalmente un IG più elevato rispetto alle paste lunghe, il che significa che possono (potrebbero… in teoria…) aumentare la glicemia più rapidamente, ma anche altri fattori, come il tipo di farina, il contenuto di glutine, la durata della masticazione e i processi di produzione, influenzano il parametro.
E quindi: spezzare gli spaghetti cambia qualcosa?
La risposta breve è: potenzialmente sì, ma non in modo drammatico.
Spezzare gli spaghetti prima della cottura aumenta la superficie esposta all’acqua e alla masticazione, il che può facilitare la gelatinizzazione dell’amido e rendere la pasta leggermente più facile da digerire. E più facile da digerire significa IG potenzialmente più alto.
Sempre sulla carta spaghetti più corti (spezzati) potrebbero inoltre portare a una masticazione facilitata e più efficace… ma sarebbe folle pensare di masticare volontariamente poco per ridurre l’influenza sulla glicemia, perché la masticazione è il primo passo della digestione, non un optional da barattare per risparmiare qualche punto di indice glicemico. Masticare bene non solo aiuta a sminuzzare il cibo, ma attiva enzimi digestivi fondamentali e regola i segnali di sazietà. Tagliare corto su questo processo sarebbe follia (oltre che un’efficace predisposizione allo sviluppo di reflusso e mal di pancia).
Ci importa davvero?
Posto che spezzare gli spaghetti potrebbe in teoria cambiare l’indice glicemico, quanto sarebbe rilevante?
Praticamente zero, perché l’effetto sarebbe nella migliore delle ipotesi minimo rispetto ad altri fattori, come:
- Tempo di cottura: una pasta cotta al dente ha un IG più basso rispetto a una stracotta.
- Condimento (i grassi rallentano l’assorbimento)
- Tipo di farina: integrale, semola, farine alternative cambiano tutto.
- Quantità consumata (devo spiegarti perché è il fattore forse più importante? Non credo… )
Il verdetto scientifico (e un po’ dissacrante)
Spezzare gli spaghetti è un crimine contro l’arte culinaria, ma non trasforma la tua cena in un attentato glicemico.
Se stai monitorando il tuo IG per motivi medici o per farti un’illusione di controllo sulla tua dieta, preoccupati più della cottura e del tipo di grano (optando per farine integrali, anche se in realtà l’indice glicemico non cambia molto è importante per altre ragioni) e soprattutto della dieta nel complesso (anzi, dello stile di vita nel complesso) che non della lunghezza degli spaghetti.
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