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Introduzione
Se non hai mai approfondito l’argomento Omega-3 potrebbe stupirti scoprire che la nostra storia di oggi nasce nel freddo dell’artico, ovvero nella zona che circonda il Polo Nord; è qui infatti che vivono Inuit e Yupik, due popolazioni che un tempo chiamavamo nel complesso eschimesi, termine che tuttavia è considerato dispregiativo da entrambi e per questo andrebbe quindi evitato.
Ebbene, l’attenzione occidentale verso gli effetti miracolosi degli Omega-3 nasce proprio qui, ed in particolare dal prezioso lavoro condotto da due ricercatori danesi, Bang e Dyerberg. Negli anni ’70, spinti da alcuni resoconti aneddotici, i due scienziati si sono recati sul posto per confermare ed indagare quello che sembra un apparente paradosso: perché in popolazioni la cui l’alimentazione è prevalentemente carnivora, quasi priva di frutta e verdura e quindi apparentemente esatta antitesi di una dieta sana per il cuore, si osserva un tasso estremamente basso di infarti?
La risposta che si sono dati, culminata con la pubblicazione di un articolo su Lancet nel 1978, è che tutto il grasso di foca e balena consumato, estremamente ricco di omega-3, funge da efficace protezione.
Il problema è che non è vero, non è vero che gli Inuit non soffrono di malattie cardiovascolari, ma questo l’abbiamo verificato con certezza solo nei decenni successivi, quando ormai era stato dato il la all’interesse scientifico, che è comunque una cosa buona, e commerciale, cosa meno buona.
Già più di mille anni fa gli Eschimesi soffrivano di malattie cardiovascolari, scoperta resa possibile dagli studi effettuati su ritrovamenti di mummie locali con evidenti tracce di aterosclerosi, ovvero di placche di grassi all’interno dei vasi sanguigni che oggi sappiamo essere causati principalmente da un eccessivo consumo di grassi animali.
Da dove sia nato l’equivoco è presto spiegato, i due ricercatori sembra che abbiano dato per scontato che le voci circolanti sulla ridotta diffusione di eventi cardiovascolari fosse vera, senza accertarsene personalmente, nonostante ci fossero dati risalenti addirittura agli anni ’30 del 900 che evidenziavano una realtà ben diversa.
Pensa che, ancora più paradossalmente, si tratta di popolazioni con una salute così compromessa da aver tratto beneficio dalla recente occidentalizzazione delle loro diete, che ha effettivamente abbassato i tassi di cardiopatia ischemica. Parafrasando le parole del Dr. Greger, sai che la tua dieta è pessima, quando la scoperta di Coca Cola ed M&M’s migliorano il tuo stato di salute…
Ti prego però di non fraintendermi, il mio sarcasmo non vuole in alcun modo essere una critica, non sono nessuno per farlo e soprattutto qualsiasi ricercatore sa che tantissime scoperte scientifiche sono frutto del caso, di errori e di strade sbagliate. I due sfortunati danesi hanno comunque a mio modo di vedere il merito di aver evidenziato l’importanza di molecole fondamentali per la salute umana, anche se magari con sfumature differenti da quelle ipotizzate inizialmente.
In questo articolo l’obiettivo che mi sono prefissato è provare a tracciare una veloce storia degli ultimi decenni di scoperte sugli omega-3, non miracolosi ma tutt’altro che inutili; per esperienza sapevo che affrontare uno studio sistematico della letteratura disponibile era come salire sulle montagne russe, centinaia di studi che, a seconda del periodo, esaltavano gli effetti dell’integrazione massiva, per poi smentirli allo studio successivo, per questa ragione ho chiesto aiuto a chi queste ricerche le fa di mestiere, Nicolò Romano, un eccellente scientific writer già firma di Nature Italia.
Ma torniamo a noi…

@Okrasiuk via Twenty20
Cosa sono gli Omega-3?
Gli Omega-3 sono acidi grassi, composti molecolari comprendenti una caratteristica catena di atomi di carbonio ed idrogeno, che puoi davvero immaginare come una catena propriamente detta.
Hanno però una particolarità, che li distingue ad esempio dalla maggior parte degli acidi grassi presenti nella fiorentina al sangue che hai mangiato ieri, possiedono non solo legami singoli tra gli atomi di carbonio, ma anche doppi, rendendo quindi le catene meno libere di muoversi nello spazio e questa è ad esempio la ragione per cui quasi sempre gli acidi grassi con uno o più doppi legami sono liquidi a temperatura ambiente, pensa ad esempio all’olio d’oliva o all’olio di pesce, mentre quelli senza doppi legami sono solidi, come ad esempio burro e lardo.
Gli Omega-3 in particolare fanno parte della “famiglia” di acidi grassi poli-insaturi, ovvero aventi più di un doppio legame, di cui il primo si trova in posizione 3, ovvero a tre atomi di carbonio di distanza da quello terminale, chiamato “omega” come l’ultima lettera dell’alfabeto greco.
Si tratta dell’introduzione chimica agli omega-3 più frettolosa e superficiale di sempre, ma quello che mi preme oggi è farti capire se e come devi assumerli, non gli aspetti teorici, ma c’è ancora un’importante informazione introduttiva che devo darti e che ci servirà per capire il resto: gli omega-3 sono una categoria di acidi grassi definiti essenziali, questo aggettivo in nutrizione ci dice che il nostro organismo ne ha richiede l’introduzione con la dieta perché, nonostante gli servano per funzionare correttamente, non è in grado di produrli in autonomia.
A cosa servono?
Probabilmente sai già che il nostro organismo è composto interamente da cellule, ma magari non sai che la membrana cellulare, sostanzialmente l’involucro della cellula, è costituita da uno specifico tipo di grassi, i fosfolipidi. Come puoi immaginare è proprio la membrana cellulare che permette alla cellula di esistere come unità propria e la sua importanza è quindi capitale. Oltre ai fosfolipidi, le membrane cellulari sono composte anche da altre sostanze e altri tipi di grassi, come gli Omega-3, inseriti allo scopo di conferire specifiche capacità alle membrane, li troviamo infatti soprattutto in tessuti specializzati, come retina, cervello e sperma.
Oltre ad un ruolo strutturale, all’interno delle membrane cellulari, gli omega-3 possono anche essere usati come fonte di energia come qualsiasi altro grasso, ma soprattutto sono il punto di partenza per la sintesi di eicosanoidi, molecole che vengono usate come messaggeri di tipo chimico per modulare aspetti di grande rilevanza nel nostro organismo, come l’infiammazione e la capacità di coagulazione. Questi aspetti sono emersi per la prima volta proprio negli anni ‘70, ecco perché in fondo l’errore di Bang e Dyerberg è tutto sommato comprensibile, se non proprio giustificabile.
Successivamente le evidenze scientifiche riguardo ai possibili usi degli Omega-3 ed i diversi ruoli nella fisiologia umana, avrebbero subito numerosi alti e bassi. Esaminiamoli nel dettaglio per arrivare poi a quelle che sono le attuali evidenze scientifiche.
Dalle stelle alle stalle
L’attenzione clinica nei confronti dell’apporto dietetico degli Omega-3 può dirsi nata negli anni ‘70, con lo studio danese del 1978 a fare ufficialmente da apripista.
Negli anni successivi cominciarono a cumularsi evidenze anche di natura clinica e le prime proposte di meccanismi fisiologici causali, ovvero in grado di rilevare direttamente un rapporto di causa ed effetto e non solo una generica associazione, relativamente alla riduzione dedl rischio cardiovascolare con un’integrazione di Omega-3, inizialmente peraltro attraverso un ancora oggi condivisibile aumento del consumo di pesce.
Possiamo individuare nella pubblicazione di Phillipson del 1985 sul “The New England journal of medicine”, probabilmente ancora oggi la rivista medico-scientifica più prestigiosa del mondo, il lancio della tematica nel pieno dibattito scientifico collettivo.
Facciamo un rapido salto di 15 anni e mi riempie di orgoglio ricordare lo studio quinquennale del Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’Infarto Miocardico (GISSI per gli amici), che ebbe rilevanza mondiale per la dimensione della ricerca: due anni di dati per più di 11000 pazienti studiati, che ebbe anche il merito di essere il primo a indagare l’uso di veri e propri integratori, e non semplici cambi di abitudini di dieta. Obiettivo dello studio è stato quindi di isolare la variabile “Omega-3”, escludendo il più possibile altri possibili fattori confondenti, che inevitabilmente possono affliggere studi fondati sulla dieta. Banalmente, se ti consiglio di mangiare più pesce tu quel pesce lo sostituirai in gran parte alla carne e sarà meno probabile sviluppare un infarto, ma come capire se la riduzione del rischio sia legata alla diminuzione del consumo di carne, agli Omega-3 del pesce o magari addirittura a qualche altra molecola contenuta nel pesce?
Gli integratori di Omega-3 entreranno effettivamente nella pratica clinica dopo gli anni 2000, anche grazie al rilievo che lo studio di Marchioli et al. in Circulation riscosse, mostrando la rapidità con cui la supplementazione riducesse il rischio di aritmia in soli tre mesi con dosi di un grammo al giorno.
Da qui in poi è stato il festival degli integratori di Omega 3, con evidenze di efficacia che si accumulavano anno dopo anno e le vendite di integratori che aumentavano a ritmi vertiginosi ed un’intera industria con il vento in poppa… ma ad un certo punto il vento ha iniziato prima a rallentare e poi stagnare…
Nel secondo decennio del 2000 sono emersi i primi segnali che efficacia ed utilità non erano quelli ipotizzati negli ultimi anni di pubblicazioni: tra i numerosi grandi studi possiamo ricordare l’OMEGA. Io non sono un ricercatore, ciononostante leggere le righe introduttive del lavoro di ricerca mi ha fatto fare un balzo sulla sedia:
Non esiste [ad oggi] uno studio randomizzato in doppio cieco che verifichi l’effetto prognostico di acidi grassi omega-3 altamente purificati in aggiunta all’attuale trattamento dell’infarto miocardico acuto come da linee guida.
Tradotto, significa che pensavamo di avere una grande macchina da Formula 1 che avrebbe stravinto il successivo campionato del mondo, ma l’avevamo sempre fatta girare in pista da sola, gasandoci per i tempi registrati, senza mai metterla a confronto con altro.
Risultato dello studio, nessun miglioramento comparando gli effetti della supplementazione con gruppi a cui veniva somministrato placebo.
Ovviamente sto semplificando moltissimo le cose, ad esempio si tratta in alcuni casi di studi di prevenzione primaria, ovvero volti a chi non ha mai sviluppato un infarto, in altri di prevenzione secondaria, ovvero in chi un infartino o più l’ha già fatto, ma spero di essere riuscito a trasmetterti quello che è stato il sentimento che definirei senza mezzi termini bipolare che ha caratterizzato gli Omega-3 negli ultimi anni.
Insomma, dopo un decennio di luna di miele, pieno speranza, si è passati nemmeno troppo gradualmente ad un decennio caratterizzato da moltissimi dati che hanno pesantemente ridimensionato l’entusiasmo nei confronti degli Omega-3 (ORIGIN, ASCEND, Risk and Prevention) assieme al famigerato studio SELECT che sembrò addirittura correlare alti livelli di Omega-3 ad un rischio aumentato di cancro alla prostata.
Cosa sappiamo oggi
Dal 2018 circa le evidenze si accumularono, rivelando un quadro più chiaro ma meno eccitante.
Studi come STRENGHT e REDUCE-IT mostrarono effetti positivi, ma meglio contestualizzarono l’uso della supplementazione, che divenne sempre meno considerata come di beneficio per tutti e tutto, e più finemente contestualizzata soprattutto nei dosaggi e negli effetti positivi verso specifiche patologie.
Si è cioè passati dal desiderio di dimostrare un’esaltante utilità per l’intera popolazione, ad una indagine più accurata e mirata, ad esempio come un elevato dosaggio di Omega-3 possa effettivamente funzionare piuttosto bene con pazienti a rischio, ma già in terapia con statine, grazie all’effetto di riduzione dei trigliceridi sanguigni.
Risultati che non sono automaticamente generalizzabili a tutti i pazienti a rischio, ad esempio senza livelli eccessivi di trigliceridi.
Ma perché questi risultati così drammaticamente contrastanti negli anni? Per ora abbiamo solo ipotesi, volte a spiegare la conflittualità dei lavori di ricerca.
Il dosaggio, come dicevamo, pare essere molto importante, ma altri fattori rilevanti da tenere in conto sono la diversità delle popolazioni in studio, con ENORMI differenze dietetiche, ad esempio tra quella giapponese in JELIS e quella italiana negli studi GISSI. E poi intorno agli anni ‘90 ci fu sicuramente una certa sponsorizzazione della supplementazione nella popolazione generale, elemento che ha indotto alcuni a ritenere che i dati degli studi successivi fossero in qualche modo “viziati” da una alimentazione che, di base, era diventata arricchita di Omega-3 per via indiretta.
E poi, aggiungo io, vuoi che la sponsorizzazione non abbia raggiunto anche una parte di ricercatori… si conoscono da anni le interferenze dell’industria, tanto farmaceutica quanto alimentare, nel campo della ricerca.
Conclusioni
Alla luce di tutto quanto scritto finora, possiamo trarre conclusioni certe? Sì, qualcosa sì, e per farlo possiamo usare le parole degli autori di una delle più prestigiose revisioni degli studi disponibili, che nell’introduzione al loro lavoro tracciano a mio avviso con precisione l’attuale stato delle conoscenze in merito:
Gli omega-3 contenuti nell’olio di pesce e nelle fonti vegetali possono giovare alla salute cardiovascolare, tanto che che le più recenti linee guida raccomandano l’aumento del consumo di alimenti ricchi di omega-3 e talvolta l’integrazione. Fonte: Cochrane
E allora dividiamo questi due casi: salvo eccezioni, non importa chi tu sia né il tuo stato di salute, per prevenire malattie e favorire la longevità è importante includere nella dieta più omega-3 di quanto non faccia la maggior parte della popolazione e per farlo è sufficiente includere regolarmente nella tua alimentazione il consumo di pesce, che andrà così anche a sostituire altri alimenti meno sani. Anche le noci ne rappresentano una buona fonte, noci che sono peraltro consigliate a prescindere in tema di salute cardiovascolare, mentre vegani e vegetariani possono ricorrere al consumo di semi di lino (macinati o masticati bene bene bene) o più semplicemente, io faccio così, olio di semi di lino, ma rigorosamente quello che trovi in frigo e che in frigo devi continuare a conservare.
Lo stato attuale della ricerca infine supporta, ma non dimostra in maniera conclusiva, possibili e moderati effetti protettivi degli integratori nei confronti di patologie cardiovascolari, mentre l’evidenza a favore di effetti benefici da integrazione, per la popolazione generale è in definitiva scarsa e inconcludente; sicuramente abbassano i livelli di trigliceridi e potrebbero ridurre il rischio di alcuni eventi cardiovascolari, probabilmente soprattutto tra le persone con un basso apporto di omega-3 nella dieta, ma in generale l’effetto protettivo sembra più forte per le persone con malattia coronarica esistente, più che per gli individui sani.
Insomma, gira e rigira la conclusione è sempre quella, lo so che è più comodo buttare giù una perla di omega-3 al mattino e poi, forti di questa integrazione, andare a mangiare da McDonalds senza sensi di colpa, ma purtroppo non funziona così. Il favore migliore che tu possa farti oggi è invece quello di abituarti ad includere nella tua dieta alimenti che li contengano naturalmente e, possibilmente, senza aspettare l’infartino.
Si ringrazia il Dr. Nicolò Romano, scientific writer, per la preziosa collaborazione
Fonti e bibliografia
Oltre agli studi linkati direttamente nell’articolo sono state consultate le seguenti risorse:
Autore
Dr. Roberto Gindro
laureato in Farmacia, PhD.Laurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.