Come si cura la COVID-19? Quali farmaci vengono usati?

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Introduzione

La COVID-19 è una malattia infettiva respiratoria causata dal virus denominato SARS-CoV-2, ma le caratteristiche cliniche (sintomi, segni ed eventuali complicazioni) con cui si esprime oggi sono significativamente diverse da quelle che l’hanno caratterizzata all’inizio della pandemia.

Segni e sintomi della malattia possono comparire da due a 14 giorni dopo l’esposizione (tempo d’incubazione, mediamente pari a 3-4 giorni nel caso delle varianti più recenti, da Omicron in poi) ed i più comuni sono

Disturbi meno comuni, ma comunque possibili, comprendono:

Piuttosto caratteristico, ma ad oggi decisamente meno frequente, è inoltre lo sviluppo di disturbi del gusto o dell’olfatto (da una modesta riduzione fino alla totale perdita, seppure temporanea).

L’infezione può manifestarsi accompagnata da numerosi altri sintomi, ma è importante sottolineare come nel complesso la malattia possa decorrere in modo del tutto asintomatico (priva cioè di una qualsiasi manifestazione) fino a quadri di polmoniti potenzialmente fatali che richiedono l’immediata ospedalizzazione del soggetto in terapia intensiva, dove sottoporlo tra l’altro a ventilazione meccanica.

È ad oggi sostanzialmente indistinguibile dall’influenza stagionale.

Le persone anziane corrono un rischio maggiore di sviluppare forme gravi da COVID-19, rischio che aumenta con l’età. Anche i pazienti affetti da condizioni mediche pre-esistenti sono esposte con maggior probabilità allo sviluppo di complicazioni

Alla luce di queste considerazioni appare quindi chiaro di come, parlando di farmaci per la cura di COVID-19, non si possa fare a meno di distinguere le diverse casistiche:

  • automedicazione
  • gestione domiciliare con assistenza del proprio medico
  • gestione ospedaliera
Vari farmaci su un piano azzurro

iStock.com/vchal

Quando rivolgersi al medico

Si raccomanda di rivolgersi al medico o direttamente in Pronto Soccorso in caso di:

o più in generale in presenza di altri sintomi anomali ed ingravescenti.

Pazienti con problemi di salute preesistenti corrono un rischio maggiore di andare incontro a complicazioni, quindi è consigliabile rimanere sin da subito in contatto con il curante, come nel caso di :

  • pazienti in terapia con farmaci immunosoppressori
  • cardiopatici
  • affetti da condizioni ai polmoni, al fegato o reumatologici,
  • sieropositivi (HIV),
  • diabetici,
  • affetti da tumore,
  • in condizione di obesità o demenza.

In questi pazienti è raccomandabile un’attenta valutazione della possibilità di ricorrere fin dai primi sintomi alla somministrazione di Paxlovid, un farmaco antivirale orale autorizzato specificatamente per il trattamento di soggetti

  • adulti,
  • non ospedalizzati
  • ma ad alto rischio di sviluppare complicazioni.

Per una valutazione complessiva del farmaco e le domande più comuni fare riferimento all’articolo specifico (Paxlovid).

A maggior ragione soggetti con sintomi gravi, e più in generale di chi necessita di cure ospedaliere, dovrebbe iniziarle il prima possibile.

Ancora oggi, seppure meno frequenti, le conseguenze di una forma grave di COVID-19 annoverano

  • morte,
  • insufficienza respiratoria,
  • sepsi,
  • tromboembolia (formazione di coaguli di sangue)
  • e insufficienza multiorgano, comprese lesioni al cuore, al fegato o ai reni.

Linee guida OMS

Con la pubblicazione delle più recenti linee guida OMS gli specialisti hanno introdotto alcune importanti novità, alla luce del fatto che l’infezione, ad oggi, sembra causa complicazioni con un tasso di rischio inferiore al passato.

Le stime effettuate sulla base delle più recenti osservazioni prevedono che il tasso di ricovero per COVID-19 non grave sarà pari a

  • 6% tra i pazienti ad alto rischio di ricovero ospedaliero, che includono quelli con diagnosi di sindromi da immunodeficienza, quelli sottoposti a trapianto di organi solidi e stanno ricevendo immunosoppressori e quelli con malattie autoimmuni che ricevono
    immunosoppressori.
  • 3% tra i pazienti a rischio moderato di ospedalizzazione, che sono quelli con più di 65 anni, quelli con obesità, diabete e/o malattie croniche malattie cardiopolmonari, malattie renali o epatiche croniche, cancro attivo, persone con disabilità e persone con comorbilità di malattia cronica.
  • 0.5% tra i pazienti a basso rischio di ricovero ospedaliero, che includono quelli che non sono né a rischio moderato né ad alto rischio. La maggior parte dei pazienti è bassa rischio.

Anche le stime del rischio di mortalità tra i pazienti con malattia non grave sono state riviste.

Di seguito si riporta infine l’infografica riassuntiva con gli interventi consigliati/sconsigliati (nelle righe) suddivisi per categoria di gravità dell’infezione (colonne); nella prima riga le indicazioni su come distinguere le categorie di pazienti.

Infografica con la sintesi delle linee guida OMS

Fonte: https://iris.who.int/bitstream/handle/10665/373975/WHO-2019-nCoV-therapeutics-2023.2-eng.pdf?sequence=1

Cosa fare a casa

La maggior parte delle persone guarisce oggi senza bisogno di cure ospedaliere; molti pazienti sviluppano fortunatamente forme lievi, spesso paragonate all’influenza stagionale o recentemente al raffreddore, e per questo necessitano al più di un trattamento esclusivamente sintomatico, mirato quindi esclusivamente ad alleviare i sintomi, che tipicamente prevede

  • Riposo
  • Assunzione costante di liquidi per prevenire la disidratazione
  • Regolare nutrizione (una dieta per quanto possibile normale); soprattutto in pazienti anziani, e per questo ad alto rischio di riduzione di massa muscolare (sarcopenia), è necessario un regolare consumo di alimenti proteici
  • Farmaci: Come suggerito dal Dr. Grattagliano, responsabile attività COVD-19 e vice-Presidente SIMG, nei casi sintomatici (per contrastare febbre, mal di testa e dolori muscolo-articolari) è ad esempio possibile valutare il ricorso a:
    • paracetamolo ,
    • antinfiammatori tradizionali (ketoprofene, ibuprofene a basse dosi, morniflumato, …) anche eventualmente in forma di colluttorio in caso di mal di gola,
    • antitussivi in caso di tosse stizzosa e frequente,
    • lavaggi nasali ripetuti anche con sola acqua fisiologica.
  • Promozione per quanto possibile del mantenimento in casa di una certa attività fisica (riducendo per quanto possibile l’allettamento), anche nell’ottica di prevenzione di eventi tromboembolici.

Con circolare del 26 aprile 2021 veniva confermata l’appropriatezza della vigile attesa, intesa come costante monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente.

In caso di tosse l’NHS inglese consiglia di

  • evitare di sdraiarsi sulla schiena, meglio invece rimanere in posizione più eretta o sdraiati sul fianco;
  • assumere un cucchiaino di miele (TASSATIVAMENTE VIETATO al di sotto dei 12 mesi di età).

Queste raccomandazioni hanno validità generica per tutti i pazienti che non siano in condizioni critiche, ma che anzi si riconoscano in infezioni lievi e moderate (circa l’80%, forse ad oggi anche di più); per pazienti a casa ma in condizioni diverse (ad esempio provenienti dall’ospedale ma non pienamente ripresi, con e senza necessità di ossigeno) le raccomandazioni sono più specifiche e l’assunzione di farmaci viene gestita in maniera più stringente dal curante, in genere in prosecuzione delle terapie prescritte in ospedale.

Antifiammatori o paracetamolo?

Il paracetamolo, spesso conosciuto con il nome commerciale di Tachipirina®, è un farmaco che ha azione prettamente antidolorifica ed antifebbrile, con un effetto antinfiammatorio sostanzialmente trascurabile. Alcuni Autori ritengano preferibile orientare la scelta verso un antinfiammatorio (ibuprofene, ma spesso vengono nominati anche aspirina e nimesulide) allo scopo di prevenire l’abnorme risposta antinfiammatoria tipica di molti quadri complicati (tempesta di citochine), e ad oggi nessun organismo nazionale ed internazionale esprime preferenze in merito (elenco non esaustivo):

Vale tuttavia la pena di segnalare un articolo pubblicato su TheLancet a firma del Dr. Remuzzi (già impegnato nella ricerca in passato, si veda ad esempio la pubblicazione su EClinicalMedicine di un interessante lavoro) che raccoglie importanti prove dell’utilità di preferire antinfiammatori rispetto al paracetamolo, suggerendo in particolare di

  1. intervenire fin dall’esordio dei sintomi (a casa), dopo aver contattato il medico ed eventualmente anche prima dell’esito del tampone;
  2. optare per molecole COX-2 selettive (come celecoxib o nimesulide).

In ultima analisi la scelta viene quindi in genere condotta in accordo con il proprio medico curante, tenendo eventualmente in debito conto le preferenze soggettive e la storia clinica del paziente, che potrebbero orientare la scelta verso il paracetamolo o verso i FANS a seconda dei casi.

Vale la pena notare che, se agli esordi della diffusione pandemica erano emersi dubbi su una possibile correlazione tra l’uso di FANS (antinfiammatori) e un aggravamento delle condizioni di salute, queste hanno trovato smentita nel Maggio 2020 a seguito di una comunicazione ufficiale dell’EMA.

Saturimetro

Sebbene non si tratti di un farmaco, può essere precauzionalmente consigliato al paziente di monitorare la saturazione dell’ossigeno del sangue mediante un saturimetro da dito.

Cosa NON fare a casa

Si raccomanda di valutare con il proprio medico il ricorso a qualsiasi altro farmaco, evitando in particolare l’assunzione autonoma di principi attivi quali:

  • Ivermectina: spesso suggerita in contesti poco professionali, è fermamente sconsigliata dall’EMA al di fuori di ristretti contesti di ricerca; seppure esistano alcune evidenze incoraggianti, ad oggi non disponiamo ancora delle necessarie prove che dimostrino un rapporto rischio/benefico chiaramente favorevole;
  • Idrossiclorochina: L’utilizzo di clorochina o idrossiclorochina non è raccomandato né allo
    scopo di prevenire né allo scopo di curare l’infezione. Gli studi clinici randomizzati ad oggi pubblicati concludono per una sostanziale inefficacia del farmaco a fronte di un aumento degli eventi avversi, seppure non gravi. Ciò rende negativo il rapporto fra i benefici e i
    rischi dell’uso di questo farmaco perché:
    • non riduce la mortalità,
    • non riduce il numero di pazienti che necessitano di ventilazione assistita
    • ed anzi è associata ad un sensibile rischio di effetti indesiderati.

La stessa OMS è fermamente contraria alla somministrazione di idrossiclorochina.

Cosa non fare SOLO dietro prescrizione medica

  • Corticosteroidi (cortisone): ne è sconsigliata l’assunzione in autonomia come cura domestica, se non espressamente prescritta dal curante (vide infra);
  • Eparine: L’uso delle eparine (solitamente le eparine a basso peso molecolare) nella profilassi degli eventi trombo-embolici nel paziente medico con infezione respiratoria acuta e ridotta mobilità è raccomandato dalle principali linee guida e deve continuare per l’intero periodo dell’immobilità. L’utilizzo routinario delle eparine non è raccomandato nei soggetti non ospedalizzati e non allettati a causa dell’episodio infettivo, in quanto non esistono evidenze di un benefico clinico in questo setting di pazienti / fase di malattia.
  • Antibiotici: la malattia COVID-19 è un’infezione virale e, per questa ragione, di per sé del tutto insensibile all’azione degli antibiotici come l’azitromicina. Recenti studi clinici randomizzati ben condotti (che nella maggior parte dei casi valutavano l’efficacia dell’azitromicina) hanno dimostrato che l’utilizzo di un antibiotico, da solo o associato ad altri farmaci, con particolare riferimento all’idrossiclorochina, non modifica il decorso clinico della malattia. L’uso di un antibiotico può essere considerato solo quando si sospetta la
    presenza di una sovrapposizione batterica, in rapporto al quadro clinico generale del paziente. Un ingiustificato utilizzo degli antibiotici può inoltre determinare l’insorgenza e il propagarsi di resistenze batteriche che potrebbero compromettere la risposta a terapie antibiotiche future.
  • Antivirali: Anche in questo caso si tratta di farmaci prescritti dal medico in specifiche condizioni, tipicamente pazienti ad alto rischio di progressione severa (vengono approfonditi in seguito).

Azitromicina

L’azitromicina è un antibiotico che trova applicazione nella terapia di infezioni batteriche delle alte e basse vie respiratorie, del cavo orale, della cute e dei tessuti molli e nelle infezioni uro-genitali.

I risultati degli studi disponibili non giustificano l’uso di routine dell’azitromicina per ridurre i tempi di recupero o il rischio di ricovero in ospedale per le persone con sospetto COVID-19.

Il ricorso ad azitromicina (od altri antibiotici) trova quindi senso solo in caso di sovrainfezione batterica, ovvero di sviluppo di un’infezione batterica (ad esempio polmonare) nel paziente affetto da COVID-19.

Antivirali

Sono ad oggi disponibili diversi antivirali per la prescrizione domiciliare (a casa), ovvero per il trattamento di soggetti adulti con COVID-19 che non necessitino di ossigenoterapia supplementare, ma che siano ad elevato rischio di complicazioni, presentando cioè una forma di grado lieve-moderato ed almeno uno tra i principali fattori di rischio:

Nirmatrelvir/ritonavir (Paxlovid)

Paxlovid è stato il primo farmaco antivirale orale ad essere stato autorizzato da EMA per il trattamento del COVID-19 in soggetti adulti, non ospedalizzati ma ad alto rischio di sviluppare una malattia grave da COVID-19.

Si tratta di un farmaco antivirale sviluppato da Pfizer la cui confezione contiene:

  • 20 compresse di nirmatrelvir da 150 mg di colore rosa (per ridurre la capacità di SARS-CoV-2 di moltiplicarsi nell’organismo)
  • 10 compresse di 100 mg di ritonavir di colore bianco (per prolungarne l’azione, consentendo a PF-07321332 di rimanere più a lungo disponibile in dosi sufficienti ad esprimerne l’effetto).

L’approvazione in Europa è di fine gennaio 2022 e segue di qualche settimana quella americana, mentre in data 22 aprile anche l’OMS si è espressa a favore dell’utilizzo del medicinale, definendola attualmente la miglior scelta terapeutica per i pazienti ad alto rischio (pur evidenziandone criticità non trascurabili in termini di disponibilità e mancanza di trasparenza dei prezzi negli accordi stipulati), mentre non ne giustifica l’utilizzo in pazienti lievi ed a basso rischio di ospedalizzazione.

Il farmaco è stato autorizzato per il trattamento di

  • pazienti adulti
  • con infezione recente da SARS-CoV-2 (il trattamento dev’essere iniziato entro 5 giorni)
  • con malattia lieve-moderata che non necessitano ossigenoterapia
  • con condizioni cliniche concomitanti che rappresentino specifici fattori di rischio per lo sviluppo complicazioni, come ad esempio

La terapia ha una durata di 5 giorni ed avviene per bocca (in forma di compresse); il dosaggio raccomandato consiste in due compresse rosa ed una bianca da assumere insieme per bocca ogni 12 ore per 5 giorni. È molto importante che, nei pazienti considerati a rischio, la terapia venga iniziata il più precocemente possibile e comunque entro 5 giorni dalla prima insorgenza dei sintomi.

Nel principale studio che ne ha permesso l’approvazione, Paxlovid è stato somministrato a pazienti infettati con Delta, ma studi successivi ne hanno dimostrato l’utilità anche contro Omicron e altre varianti.

Il farmaco è disponibile anche attraverso le farmacie territoriali mediante la distribuzione per conto (DPC), potendolo quindi ritirare gratuitamente dietro presentazione di ricetta medica che potrà essere redatta anche dal proprio medico curante.

Nella maggior parte dei pazienti si osserva il recupero in un arco di tempo variabile tra pochi giorni e due settimane.

Tra i più comuni effetti indesiderati si segnalano disturbi gastrointestinali (nausea, diarrea e vomito), mal di testa e alterazioni del gusto.

È controindicato in pazienti affetti da gravi disturbi epatici o renali (eGFR< 30 mL/min), per i quali dovrebbe essere preferito un antivirale alternativo.

Poiché il farmaco è in grado di interagire con numerosi altri medicinali (tra cui alfuzosina, amiodarone, flecainide, alcuni antibiotici, colchicina, alcuni antistaminici, alcuni antipsicotici, iperico, inibitori delle 5-fosfodiesterasi come Viagra, ansiolitici come diazepam, triazolam, …) è importante che la sua assunzione avvenga sempre rigorosamente dietro prescrizione medica; a questo proposito è stata pubblicata una checklist da parte dell’FDA americana che evidenzia importanti avvertenze relative a più di 120 farmaci, tra cui spiccano importanti indicazioni ad esempio su:

  • statine, farmaci per il controllo del colesterolo:
    • lovastatina/simvastatina: fortemente controindicate, devono essere totalmente sospese  durante la terapia antivirale, da 12 ore prima della prima dose a 5 giorni dopo l’ultima;
    • atorvastatina e rosuvastatina sono associate a rischi inferiori, ma dovrebbero comunque essere sospese nei 5 giorni di terapie antivirale;
  • pillola contraccettiva contenente etinil-estradiolo, richiede l’associazione di un altro contraccettivo fisico fino alla confezione successiva.

Remdesivir (Veklury)

Remdesivir è stato autorizzato nell’UE nel luglio 2020 con il nome di Veklury per il trattamento di COVID-19 in adulti e adolescenti a partire da 12 anni di età con polmonite che necessitano di ossigeno supplementare, mentre successivamente le indicazioni sono state estese oggi prevedono

  • trattamento del COVID-19 con polmonite che richiede ossigenoterapia supplementare,
  • trattamento del COVID-19 nei soggetti “che non richiedono ossigenoterapia supplementare e presentano un aumento del rischio di progressione a COVID-19 severa”.

Remdesivir è un farmaco antivirale nato come trattamento per la malattia da virus Ebola e le infezioni da virus Marburg e la cui azione è quindi per definizione diretta contro il virus, ed è stato il primo farmaco approvato negli Stati Uniti ed in Europa specificatamente per il trattamento della COVID-19.

Inizialmente aveva sollevato qualche dubbio in seno all’OMS, per essere poi rivalutato ed approvato nel mese di aprile 22 dalla stessa organizzazione alla luce dei dati clinici più recenti resisi disponibili.

La somministrazione avviene generalmente a livello ospedaliero perché mediante flebo in vena (infusione endovenosa); ogni dose richiede una tempistica compresa tra 30 e 120 minuti, una volta al giorno.

La dose raccomandata prevede:

  • una singola dose iniziale di attacco (200 mg) il giorno 1;
  • dosi quotidiane successive (100 mg) a partire dal giorno 2

per una durata prevista variabile in base alle caratteristiche del paziente:

  • 3 giorni in “pazienti adulti che non necessitano di ossigenoterapia supplementare per respirare e presentano un aumento del rischio di progressione a COVID-19 severa”.
  • 5-10 giorni in “pazienti adulti e adolescenti (di età compresa tra 12 e meno di 18 anni che pesano almeno 40 kg ) con polmonite e che necessitano di ossigenoterapia supplementare per respirare, ma che non sono sottoposti a ventilazione artificiale (mezzi “meccanici” utilizzati per assistere o sostituire la respirazione spontanea all’inizio del trattamento)”:

Quando assunto a scopo preventivo la terapia deve essere iniziata il prima possibile dopo la diagnosi di COVID-19 ed entro 7 giorni dalla comparsa dei sintomi.

Anticorpi monoclonali

Gli anticorpi monoclonali sono proteine prodotte in laboratorio che imitano la capacità del sistema immunitario di combattere i virus, ad esempio legandosi alla proteina Spike presente sulla superficie del virus con un duplice scopo:

  • impedire l’ingresso del virus all’interno delle cellule dell’ospite
  • fungere da marcatore per altri elementi del sistema immunitario, in grado così di riconoscere la presenza estranea e distruggerla.

Sono ad oggi autorizzati all’uso in Italia:

La popolazione candidabile alla terapia con i tre trattamenti è rappresentata da soggetti

  • di età pari o superiore a 12 anni (e almeno 40 Kg),
  • positivi al SARS-CoV-2,
  • non ospedalizzati per COVID-19,
  • non in ossigenoterapia per COVID-19,
  • con sintomi di grado lieve-moderato

ma che sono ad alto rischio di malattia severa.

Affinché sia possibile la somministrazione l’infezione dev’essere di recente insorgenza  (comunque da non oltre 7 giorni; il trattamento è possibile oltre i sette giorni dall’esordio solo in
soggetti con immunodeficienza che presentino specifiche condizioni).

Per tutte le tipologie di trattamento è prevista un’unica somministrazione endovenosa praticata in genere in ambiente ospedaliero.

L’efficacia degli anticorpi monoclonali può essere ridotta nei confronti di alcune varianti virali, per questa ragione la scelta del principio attivo può essere condotta caso per caso, ad esempio in base alle realtà locali e alla tabella di efficacia mantenuta dalla Stanford University.

Cosa succede in ospedale?

Sulla base delle numerose evidenze scientifiche accumulatesi negli ultimi mesi di pandemia COVID-19 per il trattamento dei soggetti ospedalizzati con COVID-19 l’attuale standard di cura è rappresentato dall’utilizzo di corticosteroidi ed eparina. (Fonte: AIFA)

A questi viene in genere affiancata l’ossigenoterapia e l’eventuale ventilazione meccanica (in terapia intensiva).

Per approfondire si rimanda alle raccomanda AIFA nel setting ospedaliero.

Corticosteroidi

I corticosteroidi (o più spesso popolarmente cortisonici) sono farmaci che vantano una spiccata azione antinfiammatoria ed antiallergica, grazie al loro effetto di modulazione sul sistema immunitario, la cui azione è ambivalente e per i quali effetti terapeutici e collaterali sono spesso facce diverse della stessa medaglia.

Ad oggi vengono prescritti per la terapia domiciliare (casa) solo in pazienti

  • con fattori di rischio di progressione di malattia verso forme severe,
  • in presenza di un peggioramento della saturazione dell’ossigeno nel sangue che richieda l’ossigenoterapia
  • ove non sia possibile nell’immediato il  ricovero per sovraccarico delle strutture ospedaliere.

Queste limitazioni derivano dall’osservazione che l’utilizzo della terapia precoce con  steroidi si è rivelata inutile se non dannosa in quanto in grado di inficiare lo sviluppo  di un’adeguata risposta immunitaria.

Nel trattamento della COVID-19 l’uso di corticosteroidi trova quindi applicazione solo in alcuni casi specifici dove tuttavia, come emerso da una metanalisi degli studi disponibili ed in particolare dei dati provenienti da importanti studi randomizzati (quali RECOVERY e SOLIDARITY), è l’unico trattamento farmacologico che abbia dimostrato un
beneficio in termini di riduzione della mortalità.

Desametasone, prednisone, metilprednisolone ed idrocortisone sono i principi attivi più usati a questo scopo ma, è bene ribadirlo nuovamente, la somministrazione dei corticosteroidi è raccomandata solo in pazienti ospedalizzati, perché per loro stessa natura responsabili di un indebolimento delle naturali difese immunitarie del paziente (da un diverso punto di vista si può affermare che il rapporto rischio/beneficio diventa favorevole solo in casi gravi, quando la risposta dell’organismo fosse già palesemente abnorme e quindi controproducente).

Eparina

Le eparine sono farmaci che agiscono da anticoagulanti, ovvero riducendo la facilità di formazione di coaguli nel sangue, e per questo sono comunemente prescritte per la prevenzione ed il trattamento di trombosi venosa profonda ed embolia polmonare.

Trovano applicazione nella cura della COVID-19 come profilassi degli eventi tromboembolici nel paziente ad alto rischio di sviluppo di episodi tromboembolici, ad esempio perché allettato o perché costretto ad una ridotta mobilità. Viene in questo senso prescritto sia ai pazienti gestiti a domicilio che a livello ospedaliero. Sono inoltre prescritte in pazienti che manifestino complicazioni, i cui meccanismi biochimici potrebbero aumentare il rischio di formazione di coaguli.

Altri farmaci

Casirivimab e imdevimab

Casirivimab e imdevimab (nome commerciale Ronapreve) sono anticorpi monoclonali diretti contro la proteina Spike utilizzabili per il trattamento per i pazienti adulti e pediatrici di età superiore a 12 anni ospedalizzati per COVID-19, anche in ossigenoterapia convenzionale
(non ad alti flussi e non in ventilazione meccanica), ma con sierologia negativa per gli anticorpi IgG anti-Spike di SARS-CoV-2.

La posologia prevede un’unica infusione endovenosa.

Tra gli effetti collaterali associati all’infusione sono stati segnalati:

  • nausea,
  • brividi,
  • capogiro (o svenimento),
  • eruzione cutanea,
  • orticaria,
  • prurito,
  • aumento della frequenza respiratoria (tachipnea)
  • e rossore.

Tocilizumab

Tocilizumab (nome commerciale RoActemra®) è un anticorpo monoclonale con effetto immunosoppressore, già autorizzato in Italia per il trattamento di alcune forme di artrite e altre condizioni.

Il farmaco è stato inserito nell’elenco dei farmaci per il trattamento di soggetti adulti  ospedalizzati con COVID-19 grave e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica e più nel dettaglio pazienti ospedalizzati in severo e rapido peggioramento.

La posologia raccomandata per il trattamento di COVID-19 è una singola infusione endovenosa.

Baricitinib

Baricitinib (nome commerciale Olumiant) viene proposto anche dall’AIFA (peraltro già dall’anno passato) come possibile approccio per i pazienti “adulti ospedalizzati con COVID-19 grave, in
ossigenoterapia ad alti flussi o in ventilazione meccanica non invasiva, e/o con livelli
elevati degli indici di infiammazione sistemica”; è per questa ragione disponibile unicamente a livello ospedaliero.

Baricitinib è stata la prima molecola individuata mediante il ricorso a strumenti di intelligenza artificiale, quale molecola potenzialmente utile nei pazienti con COVID-19 sulla base di un duplice effetto:

  • mitigazione della cascata infiammatoria (meccanismo alla base delle complicazioni più gravi)
  • riduzione dell’ingresso del virus nelle cellule polmonari.

Il farmaco viene somministrato per os (per bocca, in forma di compresse), una volta al giorno per due settimane; si tratta di un medicinale già un uso per artrite reumatoide e dermatite atopica, e quindi relativamente ben conosciuto in termini di effetti indesiderati, che tra i più comuni annovera:

È quindi lampante un effetto di immunosoppressione (riduzione delle difese immunitarie), che non dovrebbe sorprendere in quanto il meccanismo prevede un’inibizione di enzimi coinvolti nella trasmissione del segnale di citochine (mediatori dell’infiammazione)e fattori di crescita, implicati nella produzione delle cellule del sangue (tra cui i globuli bianchi) e più in generale nella risposta immunitaria.

Serve cautela in pazienti con disturbi renali, grave compromissione epatica (fegato), mentre non è utilizzabile nell’infanzia.

Anakinra

Anakinra (Kineret®) è un antagonista del recettore dell’IL-1 già autorizzato per il trattamento dell’artrite reumatoide ed altre condizioni meno comuni. Il suo utilizzo viene valutato in caso di soggetti adulti ospedalizzati con polmonite da COVID-19 moderata/severa ma non sottoposti a ventilazione meccanica.

Prodotto da un’azienda farmaceutica svedese, è una molecola usata principalmente per trattare l’artrite reumatoide, una malattia autoimmune, condizione in cui il sistema immunitario attacca per errore le proprie articolazioni causando dolore, gonfiore e perdita di funzionalità.

È un antagonista del recettore dell’interleuchina 1, una proteina prodotta dal sistema immunitario che la usa per favorire i processi infiammatori, ad esempio in caso d’infezione; l‘infiammazione diventa un problema quando è esagerata, aberrante, e si attiva in modo eccessivo, tanto da diventare pericoloso e controproducente.

Nella malattia COVID-19 è proprio questo secondo caso che si osserva, almeno nei pazienti che sviluppano complicazioni, attraverso la “tempesta di citochine”.

Vale la pena notare che gli studi recentemente pubblicati, ad esempio su Nature, dimostrano non solo questo effetto teorico, che rappresenta quello che si chiama plausibilità biologica, ma soprattutto un effetto tangibile sul paziente, attraverso l’evidenza di una riduzione della mortalità e/o della necessità di ventilazione meccanica invasiva.

La confezione contiene 7 siringhe preriempite per iniezione sottocutanea ed il trattamento è in genere di 10 giorni, ma è ovviamente usato solo in ospedale e in specifiche condizioni, quelle che ne rendono il rapporto rischio beneficio favorevole; tra gli effetti indesiderati possibili si annoverano:

  • Infezioni gravi, ad esempio, causate dalla stessa soppressione del sistema immunitario che si va cercando,
  • alterazioni epatiche
  • fastidi nel sito d’iniezione,
  • mal di testa,
  • nausea e vomito,
  • diarrea,
  • naso che cola,
  • dolore a stomaco
  • dolore articolare.

Rare le reazioni allergiche, ma possibili, ed infine aumenta temporaneamente i livelli circolanti di colesterolo.

L’iniezione viene praticata sottocute, quindi con ago piccolo, alterando tra addome, cosce, natiche e braccia.

Sarilumab

Sarilumab (nome commerciale Kevzara®) è un anticorpo monoclonale il cui uso può essere considerato per il trattamento di soggetti adulti ospedalizzati con COVID-19 grave e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica e in condizioni cliniche rapidamente  ingravescenti (in peggioramento).

Sarilumab è disponibile come siringa preriempita per somministrazione sottocutanea e prevede una somministrazione unica.

Conclusioni

Di fronte ad una malattia, qualsiasi essa sia, è molto importante non dimenticare mai alcuni principi fondamentali:

  • Il singolo episodio di guarigione non ha alcuna valenza scientifica per dimostrare l’efficacia di una terapia (“mio cugino è guarito assumendo X”).
  • Farmaci più recenti non sono necessariamente migliori di quelli di cui disponiamo da tempo.
  • Una dose più elevata non è necessariamente più efficace, ogni molecola dev’essere somministrata al dosaggio corretto.
  • Qualsiasi farmaco può causare effetti collaterali, talvolta anche gravi, quindi l’efficacia di un farmaco va sempre soppesata con gli eventuali rischi.

Ricerca bibliografica della prima stesura del testo a cura di Nicolò Romano, Science Writer (nicolo.romano@gmail.com)

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