Vitamina D
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Introduzione
Numerosi studi dimostrano associazioni tra le concentrazioni sieriche di vitamina D e una molteplicità di disturbi, tra cui malattie muscoloscheletriche, metaboliche, cardiovascolari, tumorali, autoimmuni e infettive.
Iniziano così le recentissime linee guida evidence-based, redatte cioè sulla base dell’attuale letteratura disponibile, e prodotte dalla Endocrine Society, la società medico scientifica degli endocrinologi americani.
Linee guida sulla vitamina D che non solo rappresentano un parere estremamente autorevole su diverse questioni calde, ma che ci permetteranno anche di fare qualche considerazione in più su come orientarsi nel mare magnum di informazioni che ci travolgono ogni giorno.
Ma partiamo ovviamente dalla vitamina D, perché sono sicuro che è quello che più t’interessa.
Integratori di vitamina D, quando?
Le centinaia, forse migliaia di studi che in questi ultimi anni hanno correlato vitamina D e malattie di ogni tipo, hanno favorito una diffusa integrazione della vitamina D e, parallelamente, un rilevante aumento dei test di laboratorio per il dosaggio nella stessa nella popolazione generale.
È molto probabile che anche tu abbia recentemente assunto un integratore di vitamina D e/o ti sia sottoposto agli esami del sangue, e se così non fosse sicuramente conosci qualcuno che invece l’abbia fatto.
Ma la realtà è che il rapporto rischio-beneficio di queste azioni rimane ancora tutto da dimostrare… almeno per gli adulti in buona salute. Oh, bada bene, lo dicono le linee guida, non io (io mi limito con tanta umiltà a condividerne la conclusione), benché l’integrazione empirica di vitamina D sia comunque ritenuta poco costosa e tutto sommato ragionevolmente sicura per la maggior parte delle persone.
Per integrazione empirica s’intende l’assunzione di integratori per raggiungere dosi superiori a quelle raccomandate perché ritenute necessarie, ovvero 600 UI al giorno (che corrispondono a 15 mcg), che invece rimangono l’obiettivo minimo e imprescindibile da raggiungere quotidianamente per tutti gli adulti, che diventano poi 800 UI al giorno (20 mcg) dopo i 70 anni (o 75 secondo i nostri LARN).
Se quindi, lo ribadisco, la copertura di questo fabbisogno raccomandato rimanga un punto fermo per garantire il corretto funzionamento del tuo corpo, andare oltre probabilmente non è né necessario né vantaggioso; e la ragione di questo scetticismo verso l’utilità di dosi superiori è molto semplice:
Sebbene l’integrazione di vitamina D sembri essere sicura, poco costosa e facilmente accessibile, gli studi selezionati nella revisione sistematica non hanno mostrato alcun beneficio sostanziale dall’integrazione.
Come diciamo spesso, se un po’ fa bene, non è detto che di più faccia più bene.
È tuttavia importante notare che gli autori del documento specificano che “gli adulti sani in questa fascia di età potrebbero scegliere razionalmente di assumere integratori di vitamina D nel caso ci fossero i presupposti per pensare che il fabbisogno minimo non sia coperto attraverso l’esposizione al sole e la dieta”.
Quindi, riassumendo:
- devi sempre assicurarti, tra sole e dieta, di raggiungere almeno le 600 UI al giorno (800 nel caso di diversamente giovani),
- se avessi qualche dubbio in proposito è ragionevole pensare di affidarsi a un integratore, in questo caso meglio con assunzione quotidiana rispetto alle dosi settimanali o mensili,
- ma dosi superiori ad oggi appaiono ingiustificate.
Chi deve integrarla?
Un’integrazione empirica, ovvero oltre al fabbisogno raccomandato, potrebbe invece avere senso in alcune specifiche categorie di popolazione, per le quali la letteratura dimostra in modo più chiaro una certa utilità:
- soggetti di età compresa tra 1 e 18 anni, per prevenire il rachitismo nutrizionale e potenzialmente ridurre il rischio di infezioni del tratto respiratorio,
- diversamente giovani con più di 75 anni, perché potrebbe ridurre la mortalità,
- donne in gravidanza, per le quali si osserva una riduzione del rischio di alcune complicazioni,
- pazienti con diagnosi di pre-diabete ad alto rischio, in associazione alle modifiche allo stile di vita, per contrastare il rischio di progressione della malattia.
Interessante notare come l’integrazione empirica possa essere perseguita non solo attraverso integratori, ma anche in combinazione con alimenti fortificati, ovvero ai quali la vitamina D sia stata aggiunta durante la preparazione industriale, come si vede ad esempio in certi latti e bevande vegetali.
Al di fuori di queste situazioni, e ovviamente escludendo quei casi in cui si riconoscano indicazioni consolidate per il trattamento con vitamina D, non è necessario integrarla senza una precisa ragione, come la dimostrazione di una carenza mediante esami del sangue.
Esami del sangue
E chi dovrebbe sottoporsi al dosaggio della vitamina D nel sangue?
La posizione espressa dalle linee guida è anche in questo caso molto chiara: nella popolazione adulta generale non è necessario pensare a valutazioni di routine, ovviamente a meno che non ci siano ragioni specifiche per sospettare una carenza, e no, nemmeno in caso di obesità o carnagione scura. Anche in questo caso fanno ovviamente eccezione specifiche condizioni per cui invece il ricorso al test è consolidato, come nel caso dell’ipocalcemia.
E io già ti sento… “Che male potrà mai fare un esamino del sangue? Tanto per essere sicuri, no?”
Ebbene, si tratta di un altro punto che mi sta molto a cuore della questione e la risposta è nelle parole in un commento alle linee guida, pubblicato su Medscape, che a mio avviso è di grandissimo buon senso nella sua solo apparente semplicità:
Quando i medici misurano la vitamina D [nel sangue di un paziente], sono poi costretti a decidere cosa fare di fronte al risultato. È qui entrano in gioco le domande ancora aperte sui livelli ottimali, per questo gli autori delle linee guida concludono che ad oggi sia preferibile evitare di misurarla.
Questo è esattamente il nocciolo della questione, perché NON si hanno dati che dimostrino che lo screening permetta di migliorare la qualità della vita.
Ovviamente non tutti sono d’accordo sulle conclusioni delle linee guida, ma che personalmente le ritengo invece coraggiose e condivisibili, perché di fronte alla mancanza di prove certe, solide, di un qualche beneficio (per i più tecnici mi riferisco a trial randomizzati in doppio cieco), è stato ritenuto preferibile un approccio cauto alla questione, evitando un potenzialmente pericoloso pensiero del tipo “è naturale, cosa mai potrebbe andare storto?”.
Principio di cautela, stiamo ai primi danni.
Ovviamente i test per identificare i soggetti con bassi livelli di vitamina D o per monitorare la risposta alla terapia possono al contrario essere necessari in popolazioni specifiche, in presenza di fattori di rischio associati a un elevato rischio di carenza.
Concludiamo ora con qualche domanda tra le più comuni che sicuramente potrebbero legittimamente nascere di fronte a quando finora scritto.
Com’è possibile che sia inutile?
Che la vitamina D sia implicata in un numero straordinariamente alto di reazioni biochimiche in pressoché tutti gli apparati del corpo umano è ormai certo, così come sono tonnellate gli studi che dimostrano come valori bassi nel sangue siano associati a una lista infinita di malattie e problemi di salute.
Il problema è che, ad oggi (ripeto, ad oggi), quando abbiamo provato a integrare la vitamina D oltre ai valori ritenuti normali al fine di prevenire queste malattie i risultati sono stati quasi sempre deludenti…
La spiegazione più plausibile a questa apparente contraddizione è che la vitamina D sia un ottimo indicatore di salute, ma la cui carenza potrebbe non essere direttamente implicata nell’insorgenza delle malattie. Un esempio banale è quello dell’obesità.
Che i soggetti obesi siano ad alto rischio di carenza è un dato di fatto, ma questa è una causa o una conseguenza?
Perché la carenza potrebbe semplicemente riflettere la natura lipofila della vitamina D, che in caso di sovrappeso tende a venire sequestrata nei depositi adiposi… senza contare il fatto che i soggetti obesi sono spesso sedentari, e quindi potrebbero esporsi statisticamente meno tempo al sole e quindi avere ridotti livelli di vitamina D.
La difficoltà nel trarre conclusioni deriva dal fatto che ci sono meccanismi biologici che dimostrano il coinvolgimento della sostanza nel buon malfunzionamento degli adipociti, ma come spesso accade integrarla non sembra favorire la perdita di peso.
Insomma, per riassumere: ci sono tutti i presupposti per pensare che la vitamina D protegga da mille mila malattie, ma quando è stata messa alla prova in condizioni rigorose ha quasi sempre deluso.
Osservazioni simili possono essere condotte per una marea di altre condizioni e questo ci porta a discutere un altro punto importante.
Il medico X invece dice che…
Nella scienza non solo è inevitabile trovarsi di fronte a opinioni contrastanti, ma questa discussione è funzionale agli avanzamenti della disciplina.
Una delle critiche più comuni che si leggono sui social è quella legittima e comprensibile lamentela che possiamo così riassumere:
Tu dici A, lui dice B. Mettetevi d’accordo.
Oppure qualcosa del tipo “Il medico X che si occupa di vitamina D dice una cosa diversa, informati meglio”.
Quando ci troviamo di fronte a queste apparenti controversie la scelta più ragionevole che si possa fare è tuttavia quella di affidarsi alla cosiddetta piramide delle evidenze scientifiche:
In estrema sintesi, non solo non tutti i gli studi hanno un uguale valore, ma è importante ricordare che l’opinione degli esperti è di per sé considerata il livello più basso di affidabilità, ovvero la base della piramide.
Attenzione, NON significa che siano sbagliati, ma semplicemente che restano quantomeno ancora da dimostrare.
Le linee guida non ritengono necessario assumere megadosi di vitamina D, al contrario del medico X. Cosa fare?
Dal punto di vista del paziente, che in qualche modo deve decidere su cosa scommettere nel seguire una voce o l’altra, la scelta più sicura è quindi in qualsiasi momento affidarsi alla punta della piramide, che comprende revisioni sistematiche e le linee guida che vengono prodotte sulla base di queste. Non dimentichiamo inoltre che le linee guida sono esse stesse prodotte da esperti del settore, che dopo una discussione condivisa tra loro sulla base di tutta la letteratura di qualità traggono le conclusioni, fotografando l’attuale situazione, per quanto potrebbe un domani rivelarsi anche sbagliata, ovviamente.
Ma decidere di seguire un’opinione controcorrente è esattamente come una scommessa più o meno rischiosa:
- potrebbe garantirti un grande ritorno in termini di salute se nel tempo si rivelasse vera, proprio come un cavallo oggi sconosciuto ma che domani potrebbe diventare un campione;
- ma allo stesso tempo in alcuni casi scommettere sull’exploit di un cavallo sconosciuto potrebbe tuttavia rivelarsi rischioso, e penso ad esempio a pratiche alternative di cura del cancro, anche se va detto che nel caso della vitamina D ad oggi non sembrano esserci grossi rischi e, forse (forse!), alla peggio potrebbe essere inutile.
Autore
Dr. Roberto Gindro
laureato in Farmacia, PhD.Laurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.