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Introduzione

Un qualsiasi operatore della salute, che sia medico, farmacista, psicologo, fisioterapista, infermiere od altra figura sanitaria lo sa fin troppo bene: un paziente allegro, positivo, ottimista, felice non solo guarisce più facilmente e velocemente, ma si ammala anche meno.

Se però gli/le chiedessi di spiegarne le ragioni, in molti casi scopriresti che non ne sarebbe in grado e, non senza una una punta di vergogna, non posso che ammettere come fino a poco tempo fa fossi anch’io del tutto incapace di motivare quella che quindi era semplicemente una sorta di percezione.
Spesso mi sono ritrovato a dire “Sii positivo e andrà tutto bene”, ma al di là dell’augurio, a volte era semplicemente una sorta di speranza, legata a vaghi concetti di effetto placebo e simili.

Osservando la letteratura più recente, diciamo soprattutto negli ultimi 10 anni, non possiamo però fare a meno di notare come si stiano accumulando sempre più evidenze a sostegno di questi legami, ma soprattutto una maggior comprensione delle ragioni biochimiche che ne sono alla base: ci piace pensare forse che sia l’anima o lo spirito a influire, ma da innamorato della Scienza sono invece felice di poter spiegare come l’umore agisca direttamente sulla salute grazie a meccanismi spiegabili dalla fisiologia, dalle neuroscienze e dall’endocrinologia, perché questo per me significa disporre della dimostrazione inconfutabile di un certo fenomeno, che nulla toglie, anzi aggiunge, all’incommensurabile bellezza della Natura.

Il titolo di questo articolo è provocatorio, forse anche un po’ acchiappa-clic, ma è solo una delle conclusioni raccolte in un documento pubblicato recentemente dalla American Heart Association (Società scientifica che si occupa di cardiologia), in cui si legge tra l’altro che in due studi epidemiologici si è rilevato come uomini e donne più ottimisti godano di un’aspettativa di vita mediamente superiore del 10% al resto della popolazione. Non abbiamo la prova di un rapporto di causa-effetto, seppure dato sia senza dubbio incoraggiante, ma non è questo a mio avviso a rappresentare un punto di svolta di grande rilevanza nel panorama medico, quanto più la volontà di fare il punto della situazione su tutti i legami tra benessere psicologico e salute cardiovascolare, che mi auguro davvero possa fare da apripista ad un’attenzione sempre maggiore verso queste tematiche.

Il presente articolo non vuole essere un resoconto dettagliato di tutte le preziose informazioni raccolte nello Scientific Statement Pubblicato (il link all’originale è in calce), ma solo la raccolta di quelle che considero più importanti e/o interessanti per meglio comprendere tanto la complessità quanto la bellezza dei legami mente-corpo.

Ci concentreremo sul legame con le malattie cardiovascolari perché lo spunto alla scrittura nasce da un articolo focalizzato su questa branca medica, ma le conclusioni più generali possono ovviamente essere estese probabilmente alla totalità delle patologie umane.

Donna felice in mezzo alla natura

iStock.com/Jasmina007

Malessere psicologico e salute cardiovascolare

Le ricerche hanno ormai dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che non solo le malattie mentali, ma anche alcuni tratti caratteriali, lo stato d’animo prevalente e diversi fattori psicologici possono avere un impatto concreto in termini di salute.

L’esempio più lampante ed intuitivo è probabilmente rappresentato dallo stress; pensiamo ad esempio a tutte le rappresentazioni cinematografiche più o meno accurate e plausibili di infarti come conseguenza di eventi e notizie scioccanti, questo ci fa comprendere come il legame con la salute sia tanto noto, quanto in realtà spesso sottovalutato in termini di stress cronico.

Fornire una definizione che sia sufficientemente chiara, corretta e allo stesso sintetica del concetto di stress non è certamente compito banale e questo ha reso per certi versi complicato uno studio rigoroso e sistematico; se non siamo in grado di spiegarlo, come facciamo ad intrappolarlo all’interno di condizioni sperimentali sufficientemente definite?

Eppure, nonostante queste difficoltà, le ricerche sono state condotte e il risultato è inequivocabile: tanto gli eventi traumatici, quanto lo stress quotidiano di tipo familiare, sociale, economico, personale, … aumentano il rischio di malattie cardiovascolari. Un risultato scontato e prevedibile? Forse, ma non per questo meno importante se troviamo la volontà di trasformarlo da semplice curiosità a strategia di prevenzione, al pari della necessità di sostituire il divano con una passeggiata nella Natura o una merendina con una mela.

Ma poi ancora, scopriamo che l’isolamento sociale e la solitudine sono di per sé fattori di rischio e se ancora puoi dirmi che non è una grande novità, credo che meno scontato sia scoprire che vivere queste difficoltà da bambino si correla ad un maggior rischio di salute nella successiva età adulta ed anziana.

E se il legame tra depressione e ansia e salute del cuore può di nuovo apparirti scontato, il fatto che si sia molto vicini a scoprirne i meccanismi biochimici probabilmente non lo è altrettanto, così come di grande interesse credo che sia aver individuato correlazioni simili per condizioni molto più sfumate e non patologiche, come rabbia, ostilità e pessimismo.

Pensaci un attimo: un paziente tendenzialmente pessimista che si ammali gravemente, maturerà inevitabilmente un senso di rassegnazione verso la sua malattia, e questo inconsapevolmente aumenta la probabilità di un effettivo decorso negativo.

La buona notizia

In psicologia una profezia che si autoadempie si verifica quando un individuo, convinto o timoroso del verificarsi di eventi futuri, altera il suo comportamento in un modo tale da finire per causare tali eventi. È quello che succede con il paziente pessimista, che senza volerlo e contro il suo stesso interesse favorisce il realizzarsi dello scenario più negativo.

La buona notizia è che disponiamo delle prove che valga anche l’esatto contrario e no, non era scontato, e sì, è davvero una buona notizia perché questo ci consente di affrontare il disagio della malattia con un’arma in più.

E allora certamente l’ottimismo, ma anche trovare un senso da dare alla propria esistenza, saper godere delle piccole gioie quotidiane, sono sentimenti in grado di manifestarsi con risvolti concreti anche sulla salute.

Un meraviglioso esempio su tutti: uno studio ha rilevato che donne con punteggi di ottimismo più elevati mostrano una progressione più lenta dell’aterosclerosi a livello delle arterie carotidi.

Interessante sì, ma all’atto pratico perché dovrebbe importarcene?

Perché disponiamo di strumenti per favorire questo tipo di approccio alla vita; la psicoterapia per i casi patologici, certo, ma anche e soprattutto scelte che possiamo fare anche adesso, in questo istante, e così un giorno dopo l’altro, per migliorare la nostra qualità di vita ed abbattere i rischi di salute. Mi riferisco a scelte alimentari più sane, alla pratica di attività fisica nella Natura, che ha dimostrato di favorire il buon umore e lo scarico dello stress, la meditazione, che la stessa American Heart Association definisce come una ragionevole aggiunta terapeutica ad altri approcci più tradizionali in virtù dei costi risibili e dei potenziali benefici.

Da dove nascono questi legami?

Molti preziosi lavori di ricerca stanno iniziando ad esplorare le ragioni fisiologiche e biochimiche di questo stretto legame mente-corpo, ma non voglio annoiarvi parlando di epigenetica, assetto ormonale, stato d’infiammazione cronico, neuroscienze, purché sappiate che le connessioni esistono e non sono limitate ad un semplice effetto placebo/nocebo.

Più importante è invece sottolineare un diverso aspetto, anche questo spesso sottovalutato ma che invece dovrebbe rappresentare un target primario quando si cerca di curare un individuo o semplicemente preservarlo da future malattie, sia che si tratti di un nostro paziente, un nostro caro o noi stessi.

Essere pessimisti, ansiosi, depressi, insoddisfatti, sfiduciati, significa essere molto più inclini ad ad assumere comportamenti a rischio, siano essi bere, fumare, ingozzarsi di cibo spazzatura o preferire la televisione ad attività più stimolanti e costruttive. Ma non solo, essere ottimisti, felici, soddisfatti, consapevoli di vivere una vita piena e realizzata è strettamente connesso ad un aumento della probabilità di adottare e mantenere abitudini sane, come mangiare correttamente, godere di un’elevata qualità del sonno, praticare attività fisica e coltivare rapporti sociali proficui, scelte che a loro volta innescano, sostengono ed autoalimentano un circolo virtuoso di straordinaria efficacia ed utilità.

Correlazione non significa causazione

Personalmente mi definisco cinicamente scettico verso qualunque nuova scoperta, fortemente convinto del fatto che tanto più una scoperta è rivoluzionaria in rapporto allo status quo scientifico attuale, tanto maggiori e convincenti debbano essere le prove in grado di sostenerlo.

Questo mio approccio è tuttavia ragionevole in quanto divulgatore, ma la ricerca, la vera ricerca, è in realtà molto più spesso fatta di piccoli passi, spesso casuali e difficili da notare, pensa ad esempio alla capsula di Petri che Flemming avrebbe potuto tranquillamente buttare via e che invece poi gli è valsa la scoperta della penicillina. Una nuova scoperta si costruisce un poco alla volta, studio dopo studio, fino alla conferma inconfutabile di un legame diretto tra causa ed effetto (causazione) e non una semplice correlazione.

Per prescrivere un nuovo farmaco, c’è bisogno di prove di questo tipo.

Per modificare in modo sostanziale le linee guida su alimentazione ed attività fisica, c’è bisogno di prove di questo tipo.

Storicamente anche per dimostrare il pericolo del fumo c’è stato bisogno di prove di questo tipo.

Perché ti sto dicendo questo? Perché esiste un’eccezione a questa necessità. In presenza di un comportamento, un alimento, un evento per cui si inizi ad ipotizzare un beneficio di salute, purtuttavia senza ancora disporre di prove definitive, ma che sia di per sé sostenuto da altri evidenti e confermati vantaggi, beh, non c’è motivo per aspettare oltre, vale la pena farlo immediatamente proprio e, da un punto di vista superiore, promuoverlo a livello dell’intera popolazione.

Se quindi i legami provati di cui disponiamo tra stato di benessere mentale e salute nel complesso iniziano ad essere solidi, anche se per alcuni di essi non disponiamo ancora della prova di nesso causale non c’è davvero motivo di farsene un cruccio, saranno i ricercatori a farsi carico di approfondire fino a dare una risposta, noi semplicemente possiamo limitarci fin da oggi scommetterci su.

Conclusione

I medici dell’American Heart Association sottolineano quindi l’esigenza, dalla loro ottica, di dover iniziare a curare il paziente non solo a livello cardiaco e circolatorio, ma prestando la dovuta attenzione anche ad eventuali fattori di rischio di tipo psicologico; in quanto pazienti o potenziali pazienti è invece nostro dovere iniziare a ragionare in termini di prevenzione anche come ricerca quotidiana di uno stato di maggior benessere mentale.

Essere consapevoli che l’ottimismo sia un fattore di protezione e rallegrarcene non basta, abbiamo il dovere di perseguire proattivamente uno stato d’animo di piena felicità, serenità e salute, pur nella consapevolezza di quanto l’esistenza umana sia ogni ogni giorno più sfidante, quando non addirittura di ostacolo, al conseguimento di una vera realizzazione personale, familiare e sociale.

In un esperimento che ha fatto la storia della psicologia sono stati forniti degli elenchi di parole ai soggetti sottoposti al test, chiedendo loro di creare con esse semplici frasi di senso compiuto; alcuni di loro hanno ricevuto elenchi di termini rappresentanti concetti legati alla vecchiaia (calvo, rugoso, artrite, …), mentre altri fungevano da gruppo di controllo. Alla fine del test, osservati sperimentalmente ancora nel loro percorso del corridoio che li avrebbe condotti all’uscita dall’edificio, i soggetti esposti ai termini riferiti all’età anziana camminavano più lentamente.

Erano invecchiati? Certamente no, ma quello che vorrei dire, prima di tutto a me stesso, è che ogni giorno ci troviamo di fronte a numerose scelte e le strade che decidiamo di percorrere possono avere risvolti molto più profondi di quanto non sembri ad una prima superficiale analisi, possono essere l’incipit di un travolgente effetto farfalla.

Se questo sarà positivo o negativo… la responsabilità della scelta e delle sue conseguenze è nostra, ma ricorda

Punta alla nuvola più alta, così, se la mancassi,
raggiungerai comunque una montagna maestosa.
(proverbio Maori)

Fonte e bibliografia

Psychological Health, Well-Being, and the Mind-Heart-Body Connection – A Scientific Statement From the American Heart Association

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