È un errore che facciamo tutti, ma non per questo è meno grave

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Introduzione

Sono praticamente certo che risponderai sì ad almeno una di queste domande:

  1. Hai letto del paradosso francese, secondo cui i nostri amici d’oltralpe avrebbero un’incidenza di infarti inferiore agli Stati Uniti nonostante il grande consumo di formaggi, grazie al loro vino rosso ricco di resveratrolo.
  2. Hai letto che i soggetti carenti di vitamina D si ammalavano di COVID grave o di qualsiasi altra malattia più dei soggetti con livelli normali e quindi hai comprato un integratore o hai pensato di farlo.
  3. Hai letto uno dei tanti libri in cui l’autore studia almeno un centinaio di imprese o persone di successo per trarne i tratti comuni e suggerirli come strada maestra verso l’ottenimento degli stessi risultati.
Vino rosso

Shutterstock/Africa Studio

Alimentazione, medicina, self-help… non importa di cosa si parli, ma in tutti e tre i casi l’errore è lo stesso, pensare che due eventi correlati siano anche legati da un rapporto di causa ed effetto, ovvero che il primo causi direttamente il secondo:

  1. Il consumo di vino proteggerebbe dagli infarti.
  2. La somministrazione di vitamina D proteggerebbe dalla COVID grave.
  3. Fare propria un’abitudine comune delle persone facoltose aiuterebbe ad arricchirsi.

Sarebbe bello se fosse così, ma purtroppo temo che i primi due casi siano proprio conclusioni errate e per il terzo lascio giudicare a te, non è il mio campo, ma probabilmente fra un paio di minuti giudicherai anche questo in modo molto più scettico.

Correlazione non significa causalità

Lascia che ti faccia un altro esempio, che credo possa chiarire meglio di cosa ti sto parlando.

Gli Hadza sono una popolazione di cacciatori-raccoglitori africani, che hanno mantenuto uno stile di vita molto simile a quello che si pensa essere quello dell’uomo primitivo: gli uomini cacciano, mentre le donne sono raccoglitrici di piante commestibili. Uno degli alimenti fondanti della loro alimentazione è il miele, che può arrivare a rappresentare il 20% delle loro calorie giornaliere.. guarda che il 20% è tanto… se consideriamo che in Italia una donna moderatamente attiva, di età compresa tra 26 e 50 anni, dovrebbe assumere circa 2.000 calorie al giorno, significherebbe assumere 400 calorie dal miele, cioè mangiarne tutti i giorni più di un etto, e ti ricordo che il miele è sostanzialmente solo zucchero con un po’ di acqua.

In questa popolazione diabete e malattie cardiovascolari sono praticamente sconosciute, quindi probabilmente il miele li protegge da queste patologie e all’OMS sono una banda di sconsiderati se ci consigliano di limitare l’apporto di zuccheri semplici come il miele a meno del 5%, quando gli Hadza dimostrano chiaramente che dovremmo consumarne per un 20% delle calorie necessarie.

Solo che gli Hadza non lavorano tutto il giorno seduti in ufficio… il miele non lo comprano su Amazon per vederselo recapitare sulla soglia di casa… non lo consumano sul divano come comfort food dopo aver mangiato un piatto di pasta ed una fetta di torta a cena… no, gli Hadza partono al mattino presto per percorrere mediamente una decina di chilometri al giorno sotto il sole alla ricerca di un alveare… che viene poi raggiunto arrampicandosi personalmente sull’albero per cercare poi di convincere le api a condividere l’alimento… Senza dimenticare poi ovviamente gli sforzi fisici legati a caccia e raccolta di tuberi spontanei…

Questa è la ragione dei tassi di malattie cardiometaboliche prossime allo zero, lo stile di vita, non il consumo di miele.

Quelli bravi definiscono tale principio come “correlazione non significa causalità”, termini forse un po’ complicati che tuttavia descrivono un concetto molto semplice: anche se due eventi sembrano andare a braccetto, consumo tanto miele e non mi ammalo di diabete, non significa che il secondo dipenda dal primo.

  1. Gli amici francesi hanno un’aspettativa di vita superiore agli americani NONOSTANTE il consumo di formaggio e vino, grazie probabilmente alla dieta mediterranea, ad un tasso di obesità inferiore ed altri fattori.
  2. I soggetti carenti di vitamina D hanno una maggior probabilità di malattia grave perché, probabilmente, uno stile di vita non adeguato, una dieta squilibrata, la sedentarietà causano SIA la carenza di vitamina D che un sistema immunitario poco reattivo.

Quando diventi consapevole di questo possibile tranello mentale inizierai a vederlo dovunque e non preoccuparti se continuerai a caderci lo stesso, lo fanno anche tantissimi scienziati nonostante siano consapevoli del rischio: mi riferisco ad esempio agli studi cosiddetti osservazionali, in cui prendi una certa popolazione, poniamo ad esempio i sardi che sono notoriamente longevi, e ne studi abitudini ed alimentazione: di nuovo, troverai correlazioni, non necessariamente abitudini in grado di contribuire attivamente ad aumentare l’aspettativa di vita.

Non fraintendermi, gli studi osservazionali sono e rimangono preziosissimi perché ci permettono ad esempio di individuare possibili punti di partenza per approfondire un certo legame: correlazione non significa NECESSARIAMENTE causalità, ma d’altra parte per esserci un legame di causa-effetto deve prima esserci una correlazione.

In altre parole, se c’è un rapporto di causa ed effetto c’è anche correlazione, ma se c’è correlazione non è detto che ci sia un rapporto di causa effetto.

Concludiamo con un un esempio storico particolarmente interessante che risale al Medioevo, quando era diffusa la credenza che i pidocchi fossero utili per la salute, perché era molto raro osservarne su pazienti gravemente malati. L’idea era quindi che un soggetto si ammalasse poniamo di polmonite o di peste perché i fastidiosi parassiti venivano allontanati, ma la realtà è l’esatto opposto, i pidocchi se andavano dopo che i soggetti iniziavano a manifestare febbre, causa di fastidio per gli insetti.

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