Perché dobbiamo mangiare?
Perché ci alimentiamo? Intendo dire da un punto di vista biologico, a cosa serve introdurre cibo dall’esterno?
La risposta più ovvia è ovviamente la necessità di acquisire l’energia utile a sostenere i complessi meccanismi biochimici necessari alla vita; l’essere umano, come espressione della Vita, non può ovviamente sottrarsi al primo principio della termodinamica, che può essere così declinato
L’energia non si crea né si distrugge.
e richiede quindi un apporto di energia dall’esterno per potersi garantire un pieno supporto delle funzioni vitali, al pari della più piccola cellula batterica esistente, oltre che delle attività quotidiane. In questo momento sto scrivendo al PC e ciascun movimento delle dita che battono sui tasti ha un costo energetico, così come lo sforzo cerebrale di trovare le parole più adatte ad esprimere questo stesso concetto.
Si tratta di energia, tanta o poca che sia, che viene bruciata e proprio come un’automobile che richiede periodiche soste al distributore di benzina, così anche noi necessitiamo di periodiche ricariche.
Questo, dicevamo, è la ragione più ovvia alla base dell’esigenza di una qualsiasi cellula di nutrirsi, che si tratti di un essere umano, un batterio, un animale, una pianta od un fungo; c’è tuttavia una seconda ragione altrettanto importante: l’esigenza di disporre di pezzi di ricambio.
Pensa ad esempio ad un bambino in crescita, che di giorno in giorno si trasforma fisicamente in un essere vivente di volume sempre maggiore: anche questo, se ci pensi, è un’applicazione del primo principio della termodinamica, che può anche essere espresso in modo più generale
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Se un osso deve allungarsi, l’organismo avrà la necessità di disporre, tra l’altro, di calcio e fosforo; se il cuore deve ingrandirsi necessiterà di proteine, che come piccoli mattoni consentiranno di aumentare il volume del tessuto muscolare di cui è fatto.
Se questi esempi rendono conto di utilizzi strutturali e plastici di quanto ingeriamo, in realtà l’impiego copre un ventaglio molto più ampio di contesti, come ad esempio il rimpiazzo di proteine degradate utilizzate in reazioni biochimiche, sintesi di messaggeri biochimici, vitamine necessarie ad alcune reazioni e tanto altro.
Spogliata di tutti le affascinati implicazioni che ci guidano nella scelta di un cibo, quindi, l’alimentazione può essere ridotta a questi due obiettivi che valgono per qualsiasi cellula vivente, ovvero necessità di disporre continuamente di
- energia (per un utilizzo immediato o a scopo di riserva)
- parti di ricambio.
Volendo essere più precisi, in realtà gli organismi fotoeterotrofi (come le piante) traggono l’energia necessaria dalla luce, ma spero mi perdonerai per la precedente generalizzazione.
Cos’è una dieta?
Usando il termine dieta nel parlato comune si fa spesso riferimento ad un regime alimentare privativo, o comunque che abbia come obiettivo ultimo la perdita di peso, il dimagrimento, ma in realtà
“Dieta” è una parola derivata dal termine latino diaeta, derivato a sua volta dal termine greco δίαιτα, dìaita, «stile di vita», in modo particolare nei confronti dell’assunzione di cibo, ed indica l’insieme degli alimenti che gli animali e gli esseri umani assumono abitualmente per la loro nutrizione. Fonte: Wikipedia
Come descritto poco sopra gli organismi viventi necessitano dell’introduzione di nutrienti per sopravvivere e nel caso degli animali le modalità con cui si soddisfa questa esigenza prendono nell’insieme il nome di dieta (o regime alimentare).
La valutazione del tipo di dieta seguita da una specie animale è un campo di ricerca particolarmente affascinante, perché strettamente correlata a ricadute pratiche (un carnivoro sarà probabilmente un predatore, ad esempio) e con evidenti ripercussioni in termini evolutivi (non solo in termini di comportamento ed abitudini, ma anche anatomiche: dentatura e tratto digerente di un carnivoro sono profondamente differenti da quelli di un erbivoro).
Fin dalle sue origini il genere umano è onnivoro, capace cioè di alimentarsi con un’ampia varietà di derivati vegetali e animali (se te lo stessi chiedendo le scimmie comprendono sia esempi onnivori come noi, ad esempio scimpanzé e bonobo, che prevalentemente vegetariani come gli oranghi). Anche se poco utile agli obiettivi del presente testo, mi sembra interessante ricordare l’importanza della scoperta del fuoco, che secondo numerosi ricercatori avrebbe permesso di
- aumentare le calorie disponibili con la dieta,
- diminuire le ore necessarie all’alimentazione (non solo in termini di raccolta, ma anche di masticazione).
Questi due aspetti potrebbero essere alla base della capacità evolutiva dell’essere umano di sviluppare un cervello di dimensioni particolarmente significative in rapporto al volume corporeo (e per questa ragione con esigenze energetiche estremamente rilevanti, pari ad oggi al 20-25% del fabbisogno calorico giornaliero).
È peraltro possibile che anche il fatto stesso di essere onnivori, ossia in grado di consumare un ampio ventaglio di alimenti, sia alla base del successo che la specie homo sapiens sembra aver avuto nell’ecosistema della Terra (di quanto sia invece poco lungimirante, egoistico e capace di operare crudeltà al di là di ogni immaginazione magari lo affrontiamo in altra sede…), perché questo approccio consente di coprire con più facilità il fabbisogno dei cosiddetti nutrienti essenziali, ovvero che non siamo in grado di produrre in modo autonomo attraverso reazioni chimiche. Anche in questo caso è interessante ricordare alcune eccezioni e curiosità:
- la vitamina D siamo in grado di produrla autonomamente, ma necessitiamo per farlo dell’esposizione alla luce solare,
- non tutte le specie onnivore sono sovrapponibili in termini di nutrienti essenziali, ad esempio il cane è in grado di sintetizzarsi autonomamente la vitamina C, che invece per l’uomo è essenziale (Canis lupus familiaris viene in genere annoverato tra gli onnivori, pur avendo antenati carnivori, cui probabilmente deve la residua capacità di sintesi della vitamina).
Anche tralasciando le differenze individuali, legate a caratteristiche quali età (lattante-adulto, ad esempio), sesso e stato di salute, ritengo incredibilmente istruttivo osservare la variabilità dei modelli alimentari adottati nel mondo, che spaziano tra l’altro da approcci quasi esclusivamente vegani (alcune popolazioni tropicali) o vegetariani (ampie fasce di popolazione in India), ad approcci spiccatamente carnivori (inuit, nella regione artica).
È quindi chiaro di come l’alimentazione umana sia indissolubilmente intrecciata a fattori non solo biologici, ma anche psicologici, sensoriali e soprattutto socio-culturali, oltre che limitazioni più pratiche in termini di reperibilità e conservazione del cibo.
Non è un mistero che quest’ampia possibilità sia tra le ragioni alla base dell’esplosione delle diverse proposte di regimi alimentari nate negli ultimi decenni: la chiara ed innata capacità dell’organismo umano di adattarsi a condizioni con presupposti anche estremamente distanti tra loro, ha permesso il fiorire di un numero incalcolabile di diete, tra cui piani alimentari destinati a specifiche esigenze, come nel caso di sportivi o pazienti affetti da specifiche patologie (ad esempio celiachia), o volte a perseguire obiettivi etici (diete vegetariane e vegane, ma anche approcci più estremi come il fruttarismo) e di salute.
Pur consci della dimostrata versatilità dell’organismo umano nell’adattarsi a regimi alimentari differenti, è intuitivo comprendere che non tutte godono di un adeguata dignità in termini scientifici.
Come si valuta una dieta?
Quando si valuta una dieta non si può prescindere innanzi tutto dalla sua capacità di provvedere alle necessità dell’organismo, tanto in termini energetici quanto plastici; nell’immediato, ad esempio, una dieta è sufficiente che garantisca la sopravvivenza a breve termine, perché mediamente l’essere umano è in grado di sopravvivere non più di qualche settimana senza cibo (la variabilità è legata alla quantità di grasso corporeo accumulato, che funge da riserva energetica), ma esistono tuttavia numerosi altri aspetti alla base dei risultati che una dieta può produrre sul lungo termine, come
- capacità di prevenire carenze, ad esempio
- una dieta strettamente carnivora è ad alto rischio di sviluppare scorbuto (come conseguenza della carenza di vitamina C),
- mentre una dieta strettamente vegana richiede l’assunzione quotidiana di vitamina B12 (onde prevenire lo sviluppo di anemia megaloblastica);
- capacità di promuovere uno stato di salute, ad
- capacità di favorire una longevità in salute, concetto non necessariamente sovrapponibile al precedente (che ne rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente) e su cui si stanno concentrando da qualche anno gli studi,
- sostenibilità nel tempo, conseguenza ad esempio della sua capacità di appagamento in termini di quantità e gusto, ma anche di compatibilità sociale con quelle che sono le abitudini di un individuo e della sua cerchia di familiari ed amici.
A prescindere dalla definizione, altrettanto e forse più importante può essere l’interpretazione personale e l’applicazione quotidiana, fattori che che da soli possono stravolgere le premesse e gli obiettivi con cui un approccio dietetico è stato formulato: ad esempio una dieta flexitariana (alimentazione prevalentemente vegetale, che tuttavia prevede un consumo occasionale di fonti animali) ha dei presupposti sovrapponibili a quelle che sono le attuali linee guida, ma può essere condotta optando esclusivamente per alimenti industriali ed ultra-trasformati, ricchi di farine raffinate e priva di legumi, diventando così la via maestra per disturbi metabolici come il diabete di tipo 2.
Allo stesso modo è nuovamente l’applicazione quotidiana del modello a definire l’impatto calorico, determinando così un aumento o una perdita di peso, nonostante possano sussistere tendenze di fondo; ad esempio la dieta occidentale tende ad essere ipercalorica, cioè troppo ricca di calorie, al contrario delle diete vegane che favoriscono invece un precoce senso di sazietà, ma non è difficile pianificare in entrambi i casi un menù giornaliero volto ad ottenere risultati opposti.
Esistono poi diete che potrebbero essere formulate in modo tale da essere compatibili con un buon stato di salute, nonostante poggino su teorie prive di qualsiasi scientificità (come ad esempio la dieta del gruppo sanguigno, non riconosciuta dalla comunità scientifica); in questi casi nella migliore delle ipotesi a venire sacrificata è la possibilità di scelta, limitata senza ragione, mentre nel peggiore dei casi si può incorrere in carenze più o meno pericolose.

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… e allora perché la dieta X con me funziona?
Sostituire alla X una qualsiasi dieta, per strana o stramba che sia, variazioni sul tema di “migliaia di persone sono state meglio con questa dieta”.
Premesso che il singolo caso in ambito scientifico non ha alcun valore in termini di generalizzazione, in molti casi la spiegazione di un improvviso quanto inaspettato miglioramento in seguito ad un cambio di regime alimentare è conseguenza di quello che il mio professore di Chimica Organica 2 all’Università definiva come “Una cattiva regola è sempre meglio di nessuna regola”, oltre eventualmente al possibile effetto placebo e ad altri fattori confondenti:
- Una cattiva regola è sempre meglio di nessuna regola (corollario: la dieta attuale è meno peggio di quella precedente, cit: Vendrame): Aderire ad un regime alimentare pensato per la perdita di peso, anche se magari sbilanciato e carente, può comunque condurre a limitare l’impatto calorico quotidiano, ma questo non ne fa automaticamente un approccio consigliabile (senza contare che le diete dimagranti andrebbero valutate anche in termini di mantenimento del peso raggiunto).
- Effetto placebo: il paziente, convinto dell’efficacia del rimedio o della dieta, riferisce ed ottiene miglioramenti in termini di salute pur senza un reale legame con l’integratore/dieta scelta. Sembra impossibile, lo so, ma chiunque ne può essere inconsapevole vittima.
- Fattori confondenti: Quando si intraprende una dieta la scelta è in genere conseguenza di un’esigenza specifica, ad esempio perdere peso; non è difficile immaginare ad esempio che si sia contemporaneamente portati a fare qualche piano di scale in più (aumento del dispendio calorico), e magari anche fumare qualche sigaretta in più a causa delle rinunce agli spuntini (la nicotina ha blando effetto termogenico).
Senza voler entrare nello specifico, per poter generalizzare un qualsiasi risultato ottenibile mediante un regime alimentare specifico è quindi necessario ricorrere a studi condotti con metodo scientifico.
Sua maestà la dieta mediterranea
Le ultime linee guida italiane per una sana alimentazione sottolineano nelle pagine introduttive quanto segue:
Le fondamentali “regole” da seguire per una sana alimentazione , al fine di conservare un benessere prolungato per tutto l’arco della vita, sono poche e semplici. La prima regola è che nessun alimento – eccezion fatta per allergie o intolleranze – dovrebbe essere escluso da una corretta dieta che, come per la gloriosa “Dieta Mediterranea”, deve essere ricca di alimenti, completa e varia. Fonte: CREA
Ma cos’è esattamente la dieta mediterranea? Ecco, questa è proprio la ragione per cui diversi autori non condividono l’entusiasmo verso questo approccio: non ne esiste una reale definizione, perché pur essendo inserita dall’UNESCO nella lista dei patrimoni orali e immateriali dell’umanità, pur godendo di tonnellate di ottima letteratura a supporto, pur essendo richiamata da tutte le prestigiose società medico-scientifiche mondiali, è sostanzialmente impossibile individuarne le reali caratteristiche in modo univocamente condiviso.
Da un punto di vista molto generale si ritiene che sia un modello ispirato alle abitudini alimentari del secolo scorso di Paesi affacciati sul Mediterraneo (non solo Italia meridionale, quindi, ma anche Spagna e Grecia), ma questo si scontra ad esempio con le nette differenze tra le abitudini e le interpretazioni culinarie in regioni italiane diverse.
Può in ogni caso essere utile definire alcuni dei principali punti fermi condivisi dalla maggior parte delle linee guida attuali mondiali in merito a quella considerata come una dieta sana, completa ed equilibrata, non tanto per definirne arbitrariamente ed acriticamente la superiorità (sebbene non si possa dimenticare che è probabilmente lo stato dell’arte in relazione alle attuale conoscenza di Scienza Alimentare), ma per meglio apprezzare le differenze con altri approcci dietetici, che possono essere altrettanto scientifici e condivisi, magari a fronte di specifiche esigenze.
- Abbondanti alimenti di origine vegetale (non solo frutta e verdura, ma anche cereali integrali, legumi, noci, semi).
- Pesce e pollame consumato occasionalmente, carne rossa da limitare ad un consumo sporadico.
- Olio d’oliva come fonte privilegiata di grassi .
- Ripartizione indicativa delle calorie in
- 45-60% carboidrati
- 10-12% proteine (indicativamente 0.9 g/kg di peso corporeo)
- 20-35% grassi.
Si noti che si tratta di semplificazioni estreme, perché da declinare in base a fattori individuali, come ad esempio nel caso di:
- livello e tipologia di attività fisica giornaliera,
- sesso,
- età.
Nel prossimo articolo, dedicato ai nutrienti, ripartiremo proprio da qui per meglio comprendere cosa significhi applicare il punto 4 quando si decide di cucinare un pasto completo.
Autore
Dr. Roberto Gindro
laureato in Farmacia, PhD.Laurea in Farmacia con lode, PhD in Scienza delle sostanze bioattive.
Fondatore del sito, si occupa ad oggi della supervisione editoriale e scientifica.