Dieta low-carb, ovvero povere di carboidrati

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Cos’è una dieta low-carb?

Nel precedente articolo della serie abbiamo esordito con la ripartizione calorica consigliata dalla maggior parte delle linee guida

e concluso con la pubblicazione del “piatto del mangiar sano” proposto dai ricercatori dell’Università di Harvard, che ne dimostra un’interpretazione pratica in termini di distribuzione dei diversi alimenti

Il piatto del mangiar sano

Il piatto del mangiar sano

“Low-carb” è un termine inglese che significa “pochi carboidrati” e l’aggettivo “pochi” dev’essere interpretato in paragone al più comune approccio che prevede invece una netta preponderanza di calorie provenienti dai carboidrati.

Trovandosi al centro della definizione stessa è quindi importante conoscerli un po’ meglio.

Cosa sono i carboidrati?

I carboidrati possono vantare numerosi sinonimi, come ad esempio

  • glucidi
  • glicidi
  • saccaridi
  • zuccheri

che possono facilmente indurre confusione; ad aumentare questo rischio concorre il fatto che si tratta, nella loro forma più semplice, di molecole costituite da atomi di carbonio, idrogeno ed ossigeno, ma molto spesso è possibile trovarli in natura in forma di catene più o meno lunghe. Come abbiamo visto in precedenza per le proteine, che sono formate da lunghe catene di aminoacidi, anche i carboidrati sono in grado di formare catene di questo tipo:

  • carboidrati semplici
    • monosaccaridi (una sola molecola di zucchero)
    • oligosaccaridi (piccole catene formate da 2 a 9 molecole legate tra loro), tra cui si distinguono
      • disaccaridi (2 molecole legate)
      • trisaccaridi (3 molecole legate)
  • carboidrati complessi (catene formate da 10 molecole o più)
    • polisaccaridi.

I carboidrati rivestono importanti ruoli in numerose funzioni biologiche, tra cui spiccano per importanza

  • fonte energetica e riserva di energia
  • strutturale.

Tralasciamo la pur essenziale funzione strutturale per concentrarci invece sugli aspetti energetici; i carboidrati sono la più comune fonte di energia negli organismi viventi ed è per questo utile operare un’unica importante distinzione tra quelle che abbiamo elencato poc’anzi:

  • carboidrati semplici, catene corte, spesso limitate ad 1-2 molecole
  • carboidrati complessi, che se per definizione sono formate da 10 o più molecole, in realtà consistono spesso in centinaia, quando non addirittura migliaia di molecole legate tra loro.

Si potrebbero scrivere interi libri evidenziando le differenze e le caratteristiche di ciascun gruppo, ma ci limiteremo in questo caso a rilevare le peculiarità che ci saranno utili a comprendere i concetti successivi relativamente a diete low-carb (nel presente articolo) e nelle diete chetogeniche (articolo successivo), semplificando alcuni aspetti per rendere più comprensibili alcuni meccanismi.

Ogniqualvolta consumiamo del cibo che contiene dei carboidrati, questi per essere assorbiti devono essere letteralmente smontati fino ad ottenere monosaccaridi, ovvero molecole singole. Questo significa che i carboidrati semplici, ovvero costituiti da catene corte, verranno assorbiti un po’ più rapidamente di carboidrati complessi, ovvero costituiti da lunghe catene.

Esempi comuni di carboidrati semplici sono

  • zucchero da cucina, quello che hai nel barattolo in cucina
  • lattosio, il carboidrato più rappresentativo del latte vaccino
  • fruttosio, il carboidrato tipico presente nella frutta.

Tra i carboidrati complessi più rilevanti in termini di alimentazione umana possiamo invece ricordare l’amido, che è il carboidrato contenuto in pane, pasta, riso e patate; l’amido è costituito da lunghissime catene, in parte anche ramificate, di glucosio, uno zucchero semplice che ci accompagnerà lungo tutta questa breve trattazione. Quando consumiamo questi alimenti in forma raffinata, ad esempio pane e pasta bianco, è vero che le lunghe catene, che raggiungono anche centinaia di migliaia di elementi, devono essere smontate in singole molecole di glucosio, ma nonostante il numero e la dimensione in realtà il nostro intestino è abbastanza veloce e bravo nel farlo, quindi l’assorbimento nel sangue è solo un pochino rallentato rispetto agli zuccheri semplici.

Qualora invece optassimo, come consiglio sempre, per fonti integrali (pane integrale, pasta integrale, …) la presenza della fibra ostacolerebbe ulteriormente il lavoro di smontaggio delle catene di glucosio, che verrebbe quindi ulteriormente rallentato.

Perché è così importante che l’assorbimento sia lento? Per ragioni essenzialmente metaboliche, perché non vogliamo che la quantità di zucchero in circolo, la glicemia, sia troppo alta per troppo tempo. Meglio quindi fare in modo che l’assorbimento sia lento, graduale, così da dare il tempo all’organismo per organizzarsi al meglio e gestirlo.

E l’organismo cosa ci può fare con il glucosio?

Il glucosio è la benzina preferita dal nostro organismo, è la molecola che praticamente tutti gli organi del nostro corpo sono in grado di trasformare in energia; è vero che molti organi sono anche capaci di ricorrere ai grassi quando necessario, ma tra tutti ne spiccano alcuni che vengono definiti glucosio-dipendenti, non possono funzionare senza glucosio, e sono

  • midollo osseo,
  • occhio,
  • testicoli negli ometti,
  • i circa 25 bilioni di globuli rossi,
  • globuli bianchi
  • ma soprattutto, il cervello (questa è una piccola bugia bianca, come vedremo parlando di dieta chetogenica, ma per ora prendiamolo per buono).

Il cervello ed il sistema nervoso centrale in genere rappresentano i maggiori consumatori di zucchero, consumandone anche più di 100 g al giorno; il fatto che esistano organi e tessuti così dipendenti dal glucosio ha come ovvia conseguenza la necessità di fare in modo che questo sia sempre disponibile nel sangue, e lo misuriamo proprio attraverso la glicemia. Ma se una quantità troppo bassa in circolo non sarebbe compatibile con la vita, una quantità eccessiva farebbe biochimicamente danni enormi, che è una condizione che, almeno come nome, conosciamo purtroppo tutti: diabete.

Ricapitolando:

  • Se ci fosse una quantità troppo bassa di glucosio in circolo nella migliore delle ipotesi andremmo incontro ad uno svenimento, nel peggiore l’esito potrebbe essere prima il coma e poi la morte.
  • Se ci fosse una quantità troppo alta l’eccesso farebbe danni in giro per tutto l’organismo.

A questo punto potrebbe sorgere un dubbio: tutti quanti nella vita abbiamo esagerato con i dolci o con pane e pasta, eppure non è successo nulla e non siamo diventati improvvisamente diabetici, perché?

Perché l’organismo è estremamente bravo a reagire alle variazioni improvvise della glicemia per fare in modo che i valori rimangano sempre in un intervallo di sicurezza, né troppo, né troppo poco; ad esempio quando mangiamo viene immessa in circolo insulina, un ormone che stimola le cellule muscolari direttamente, ma indirettamente anche il fegato, a farsi carico di questo eccesso ed estrarre così glucosio dal sangue.

E cosa se ne fanno fegato e muscoli di questo glucosio? Lo mettono da parte, accumulano un po’ di riserve in modo che siano a disposizione del corpo al bisogno, se decidessi di farti una corsetta di qualche chilometro o se ti capitasse di saltare uno o più pasti.

D’altra parte se ci pensi è comprensibile, il glucosio è così importante che è naturale averne sempre un po’ da parte, ma potrebbe stupirti scoprire che in realtà si tratta di una capacità di riserva relativamente limitata, soprattutto rispetto ai grassi.

Nel precedente articolo l’avevamo già accennato, capacità di riserva limitata per i carboidrati, illimitata per i grassi, sembra strano alla luce dell’importanza dei carboidrati, non trovi? Mai nulla in Natura avviene per caso, a spiegare questa apparente incongruenza ci sono almeno due importanti ragioni legate all’efficienza delle molecole in gioco in termini di capacità di accumulare energia:

  • un grammo di carboidrati rende all’organismo circa 4 kcal, mentre la stessa dose di grassi ben 9 kcal, più del doppio; a parità di peso da portare in giro, che ha di per sé un costo energetico come si accorge ad esempio chi pratica attività fisica e perde peso: prova a fare una passeggiata di qualche chilometro con il tuo peso forma oppure in sovrappeso di 20 kg, in questo secondo caso è molto più faticoso, ovvero più dispendioso in termini di consumo energetico;
  • un grammo di carboidrati stoccati di riserva richiedono inoltre circa 2.5 g di acqua, seconado alcuni autori anche di più, mentre un grammo di lipidi solo 0.2, un decimo. Questo significa che se per assurdo potessimo accumulare 10 kg di glicogeno ci ritroveremmo a pesare 35 kg in più, 10 di scorta e 25 di acqua, accumulata solo per ragioni chimiche. 10 kg di grassi invece si peserebbero solamente 10 più 2, un’inezia in confronto.

In altre parole accumulare grassi di riserva è quindi molto più efficiente che accumulare carboidrati; molto indicativamente, nel corpo di un adulto troviamo 350-500 g di carboidrati, accumulati in forma di lunghe catene, ovvero carboidrati complessi, di glicogeno: circa 3/4 nei muscoli ed il resto nel fegato. Questi 500 g corrispondono peraltro, sempre indicativamente, al metabolismo basale giornaliero, 500 g x 4 kcal/g = 2000 kcal.

Quindi, sempre all’insegna della massima semplificazione, se continuassimo a mangiare pizza pur con le riserve di zuccheri piene che fine farebbero quelli che non avremo più posto per stoccare? Nella maggior dei casi verrebbero trasformati in grassi ed accumulati, perché in Natura non si butta via nulla.

Abbiamo quindi seguito la nostra molecola di carboidrati nel suo viaggio dal cibo al nostro organismo, ma resta un importante aspetto del suo metabolismo da evidenziare. Richiamiamo alcune nozioni emerse in questo articolo e nei precedenti:

  • L’organismo umano può sopravvivere diversi giorni anche senza mangiare.
  • Disponiamo nella migliore delle ipotesi di circa 500 g di carboidrati di scorta, quando queste sono piene.
  • Ci sono alcuni tessuti glucosio-dipendenti, che hanno necessariamente bisogno di glucosio (che proprio per questa ragione non deve mai venire meno dal sangue).

Questa apparente contraddizione, com’è possibile sopravvivere diversi giorni se le scorte finiscono necessariamente prima, trova la più semplice soluzione possibile: l’organismo è in grado di sintetizzare quel minimo di carboidrati necessari, per i tessuti che proprio non possono farne a meno, ed il processo si chiama gluconeogenesi. Si tratta di un insieme di reazioni biochimiche condotte prevalentemente nel fegato, che è così in grado di convertire altri macronutrienti, come proteine e grassi, in quel minimo di carboidrati strettamente indispensabili.

Dovrebbe essere ora chiaro perché i carboidrati in nutrizione non sono essenziali (come vedremo tra poco possiamo fare a meno di introdurne), ma sono comunque necessari.

 

Torniamo alla dieta low-carb

Dieta Low-Carb

Shutterstock/George Dolgikh

Se i primi approcci di diete volontariamente low-carb risalgono addirittura al XIX secolo, il concetto ha trovato ampia diffusione solo negli anni ’70 del secolo scorso, quando il Dr. Atkins, medico cardiologo americano, ha pubblicato un libro dal grande successo editoriale e ha dato il via alle accese discussioni, mia figlia direbbe ai dissing, che continuano ancora oggi.

Gli approcci nutrizionali low-carb sono letteralmente esplosi e, seppure con un cappello diverso e qualche strano orpello, molte delle diete più note al grande pubblico perché sostenute da media tradizionali e digitali, e spesso anche personaggi di spicco, altro non sono che diete low-carb.

Il motivo di questa promozione è presto detto: inizialmente consentono di dimagrire efficacemente e velocemente, anche perché venendo meno i carboidrati accumulati in forma di glicogeno viene rapidamente smaltita anche la relativa acqua e si tratta quindi di qualche chilo che va via abbastanza facilmente.

Ma cosa significa esattamente dal punto di vista pratico? Significa limitare o più spesso escludere dalla propria dieta alimenti tipicamente ricchi di carboidrati come cereali, verdure amidacee come le patate, i legumi e, a seconda degli approcci, eventualmente anche verdure e frutta secondo vari modelli.

Se una dieta low-carb è per definizione una dieta povera di carboidrati, perlomeno rispetto alle indicazioni e alle abitudini più comuni, la quantità consentita varia a seconda degli approcci, ma per esempio l’American Academy of Family Physicians definisce una dieta low-carb se l’equivalente calorico scende al di sotto del 20%, rispetto al normalmente consigliato 45-60%. Ma soprattutto è importante comprendere che se riduciamo la quantità di carboidrati introdotti dovremo necessariamente compensarla con altro e per farlo non restano che due scelte:

  • grassi (LCHF, low-carb high-fat)
  • proteine (LCHP, low carb high protein).

Questo ci porta ad evidenziare un secondo importante vantaggio delle diete low-carb quando vengano intraprese a scopo di dimagrimento: il consumo di proteine e grassi può condurre a sviluppare nel tempo una netta riduzione dell’appetito, rendendo più sopportabile la necessaria limitazione calorica che è e rimane indispensabile per perdere peso. Questo rapido senso di sazietà viene raggiunto essenzialmente attraverso due meccanismi:

  • biochimico, mediante meccanismi che analizzeremo meglio nel prossimo articolo dedicato alla dieta chetogenica,
  • mentale.

Molti approcci low-carb (ed anche molte delle diete deprecabili spesso promosse dall’attore di turno) sfruttano un importante meccanismo psicologico per ridurre il consumo calorico del pasto: limitare la varietà delle scelte possibili, inevitabilmente limita la quantità di cibo consumata, tanto che esistono regimi dietetici che addirittura consentono un consumo illimitato dal punto di vista quantitativo, al prezzo di una drastica limitazione degli alimenti tra cui scegliere. Poiché un tratto caratterizzante è per definizione l’esclusione di alimenti contenenti quantità rilevanti di carboidrati, questo significa in molti casi tagliare di netto anche ogni forma di snack (patatine, biscotti, torte, merendine, …) e questa è la ragione che spinge alcuni autori spiegare l’efficacia di tali diete in termini di perdita di peso come “una dieta meno peggio di quella libera di prima”.

Vantaggi

Il vantaggio che accomuna tutte le diete low-carb è che si ottiene generalmente una rapida perdita di peso a breve termine (mentre sul lungo termine non emerge un reale vantaggio rispetto a regimi più equilibrati, secondo le linee guida italiane anche per ridotta aderenza nel tempo).

Svantaggi

Parlare di di svantaggi è invece più complicato perché in questo caso approcci diversi possono essere associati a criticità differenti, ad esempio alcuni regimi chiaramente commerciali possono diventare rapidamente molto costosi perché richiedono l’acquisto di specifici pasti sostitutivi.

Dal punto di vista della salute è invece più complesso trarre conclusioni perché sotto il termine ombrello low-carb si trovano approcci sensibilmente diversi tra loro, per almeno due caratteristiche:

  • apporto consentito di carboidrati (dal 40%, che secondo alcuni autori è già considerato un apporto ridotto rispetto alle linee guida, fino al 5%),
  • rapporto tra proteine e grassi.

Uno degli aspetti più critici è ad esempio rappresentato da un possibile eccesso di grassi saturi (tipicamente di origine animale), molecole su cui pendono forti prove di una stretta correlazione con lo sviluppo di malattie cardiovascolari; va tuttavia detto che il loro effetto nelle diete a scarso contenuto di carboidrati rimane meno chiaro.

Con un apporto proteico potenzialmente più elevato, alcuni autori hanno espresso preoccupazioni sulla salute della funzione renale ma, seppure razionale, non ha tuttora trovato conferme in letteratura; rimane invece controindicata nei soggetti con una funzionalità già compromessa.

Risulta poco diffusa negli sportivi, perché il glucosio rappresenta il carburante d’elezione per i muscoli, soprattutto quando siano necessari sforzi esplosivi, ma a questo proposito segnalo il seguente video come utile approfondimento.

Rimane infine da trattare i possibili rischi legati ad uno stato di chetosi, che tuttavia affronteremo nel prossimo articolo.

Come viene stabilito il fabbisogno giornaliero di carboidrati?

Una domanda che potrebbe legittimamente insorgere a questo punto è come sia stato stabilito il fabbisogno ideale di carboidrati giornaliero (quel 45-60% di calorie proveniente giornalmente dai carboidrati). La risposta è duplice, si tratta di una valutazione che prende in considerazione:

  • la prevenzione della chetosi, un insieme di adattamenti metabolici che insorgono in caso di carenza di carboidrati, condizione an
  • apporto di glucosio superiore al fabbisogno minimo stimato in base al consumo dei tessuti incapaci di utilizzare fonti energetiche diverse dal glucosio.

È tuttavia stato dimostrato che, almeno sul breve termine, l’assenza di carboidrati non causi alcun problema di salute, tanto da spingere alcuni autori e sostenitori di un approccio low-carb a sostenere che in realtà non sia corretto parlare di fabbisogno minimo, perché il corpo può ottenere effettivamente tutta l’energia di cui necessita dalle proteine e dai grassi.

Dieta low-carb e diabete

Esistono due forme principali di diabete:

  • diabete di tipo 1, malattia autoimmune e quindi fondamentalmente non correlata allo stile di vita
  • diabete di tipo 2, malattia direttamente collegata alla qualità dello stile di vita, in cui fattori come obesità, sedentarietà e cattiva alimentazione spiccano per importanza.

Sebbene con meccanismi profondamente diversi, le due condizioni sono accomunate dalla presenza di una glicemia fuori controllo e per questo pericolosa per la salute. Alla luce di quanto descritto nell’articolo, non dovrebbe stupire scoprire che una dieta povera di carboidrati sia stata proposta nel trattamento di queste condizioni, peraltro con i primi tentativi che risalgono a più di due secoli fa.

Se nel caso del diabete di tipo 1, non si ottengono benefici generalizzabili, più interessante è invece indagare i risultati nei pazienti affetti da tipo 2, ovvero dove sia più rilevante il contributo in termini di miglioramento dello stile di vita.

Una recente meta-analisi pubblicata sul British Medical Journal (ovvero lo stato dell’arte delle tipologie di studio, pubblicata a sua volta su uno delle più prestigiose riviste scientifiche del mondo), ha preso in esame 23 studi per un totale di circa 1300 partecipanti, concludendo che in molti casi sia possibile ottenere una remissione della malattia che, è importante ricordare, era considerata incurabile fino a pochi anni fa.

La qualità della letteratura analizzata non è eccellente, quindi rimangono alcuni aspetti da chiarire, così come non è ancora chiaro se la remissione sia da legare all’approccio low-carb oppure al miglioramento di altri fattori correlati, come i valori di colesterolo sovrappeso; in altre parole, per esempio, non è necessariamente un approccio migliore di diete a normale contenuto di carboidrati ma ipocaloriche e genericamente più sane rispetto alla classica dieta occidentale. Ci sono ad esempio approcci portati avanti dal Dr. Barnard che ha dimostrato ottimi tassi di regressione anche mediante regimi vegani a basso contenuto di grassi, imperniato sul consumo di fonti di carboidrati integrali.

Fonti e bibliografia

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